Le antiche miniere del Monte Misma
Qui le pietre che affilavano spade e falci

L’evoluzione tecnologica continua ha modificato radicalmente atteggiamenti e modalità di lavoro anche nel mondo rurale, ma non è raro vedere ancor oggi, nelle nostre valli, contadini intenti all’affilatura delle lame dei vari attrezzi nel modo tradizionale, ossia con la pietra coti.

L’evoluzione tecnologica continua ha modificato radicalmente atteggiamenti e modalità di lavoro anche nel mondo rurale, ma non è raro vedere ancor oggi, nelle nostre valli, contadini intenti all’affilatura delle lame dei vari attrezzi nel modo tradizionale, ossia con la pietra coti.

Tali pietre, «cùt» in dialetto bergamasco, derivano da rocce sedimentarie che contengono silice. Sono particolarmente diffuse nella zona del Monte Misma, che abbraccia i comuni di Albino e Pradalunga, ma anche nei vicini Nembro e Cenate Sopra.

Per secoli hanno costituito un’attività primaria della zona, tanto importante che ha suscitato in tempi recenti un nuovo interesse da parte di ricercatori e documentaristi. Tra questi Flaviana Cugini, che ha scritto il libro «Le cave dell’Abbazia», edito con il contributo della Città di Albino. Le prime estrazioni, a cielo aperto in quanto affioramenti superficiali sulle sommità, risalgono all’epoca romana, addirittura a prima della fondazione di Roma, come testimonia anche Plinio il Vecchio. Successivamente si è reso necessario un lavoro di scavo per raggiungere la «éna» (vena), cioè il filone vero e proprio di pietre coti. Essendo la vena molto sottile e il terreno instabile e umido, l’estrazione era molto difficile e pericolosa; se ne doveva scavare una ingente quantità per ricavare un numero modesto di pietre. Venivano usati esplosivi tant’è che numerosi sono gli incidenti negli anni, anche mortali.

Questa attività conobbe un notevole sviluppo soprattutto fra i due conflitti mondiali.

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