Il super sensore per realtà virtuale e case smart

Un super-sensore si è dimostato più efficiente del 200% nel convertire la luce infrarossa in elettricità: si basa su un meccanismo della fisica quantistica ed è stato messo a punto dall'taliano Riccardo Ollearo, che lavora all’Università Tecnologica di Eindhoven, nei Paesi Bassi, utilizzando la luce verde e una cella simile a quelle impiegate nei pannelli solari. Il risultato, pubblicato sulla rivista Science Advances, apre ad una vasta gamma di applicazioni, come dice Ollearo all’ANSA.

“Le possibili pplicazioni vanno dai veicoli a guida semi-autonoma ai sistemi per la realtà aumentata e virtuale, dai dispositivi per case smart fino all’autenticazione biometrica. Inoltre – prosegue il ricercatore – il nostro sensore è in grado di rilevare segnali di luce molto piccoli anche a distanze elevate: abbiamo dimostrato, per esempio, che può monitorare in modo non invasivo il battito cardiaco e la respirazione di una persona da oltre 1,3 metri”. I test in laboratorio hanno infatti dimostrato che, senza entrare in contatto diretto con il dito,  il sensore è riuscito a rilevare piccoli cambiamenti nella quantità di luce infrarossa provocati da variazioni nella pressione sanguigna, che a loro volta indicano la frequenza cardiaca. Puntando il sensore verso il petto, invece, si può misurare la frequenza respiratoria a partire dai leggeri movimenti del torace.

Il nuovo sensore è un fotodiodo, cioè un sensore che trasforma i segnali luminosi in segnali elettrici, centinaia di volte più sottile di un foglio di giornale. Per funzionare correttamente, un fotodiodo deve soddisfare due condizioni fondamentali: ridurre al minimo la corrente generata in assenza di luce, la cosiddetta ‘corrente oscura’ (minore è la corrente oscura maggiore è la sensibilità del sensore), e distinguere il ‘rumore di fondo’, cioè i segnali luminosi diversi da quelli nella lunghezza d’onda dell’infrarosso. Purtroppo, questi due fattori di solito non vanno per niente d’accordo.

Per risolvere il problema, il gruppo di Ollearo ha messo a punto un cosiddetto ‘sensore tandem’. In pratica, ha combinato due strati diversi, uno composto da un materiale chiamato perovskite e l’altro formato da una cella fotovoltaica organica, una tecnica che sta diventando sempre più diffusa anche nelle celle solari, “che infatti possono essere considerate un po’ come le sorelle dei fotodiodi”, osserva il ricercatore italiano. Questo ha permesso di raggiungere un’efficienza del 70%, che però non era ancora sufficiente. “Ho quindi deciso di provare ad aumentare l’efficienza con l’aiuto della luce verde: grazie a ricerche precedenti, sapevo che illuminare le celle solari con una luce aggiuntiva può modificare la loro efficienza. Con mia sorpresa, però – prosegue Ollearo – ha funzionato molto meglio del previsto”.

Il risultato si basa su un meccanismo della fisica quantistica: “pensiamo che la luce verde faccia accumulare elettroni aggiuntivi nello strato di perovskite, che sono poi liberati quando la luce viene assorbita dall’altro strato”, spiega il ricercatore; “In altre parole, ogni fotone di luce infrarossa che viene convertito in elettrone, riceve un altro elettrone ‘bonus’, che porta l’efficienza al 200%”. Ollearo precisa, però, che non si tratta propriamente di efficienza energetica (tipica delle celle solari), “ma di efficienza quantistica, ovvero di quanti elettroni vengono generati (ed estratti come corrente) a partire dai fotoni di luce che arrivano sul dispositivo”.

© RIPRODUZIONE RISERVATA