Papà e mamma morti di Covid
«Ho raccontato il dolore al Papa»

Carlo Chiodi, autotrasportatore di Carobbio, ha perso i genitori nella pandemia. Ricevuto da Francesco con la famiglia. In dono la bandiera «Noi amiamo Bergamo» e un libro sui morti di Covid.

Impugnare la penna come gesto di riscatto dalla sofferenza, nella speranza che tradurre le emozioni con l’inchiostro possa contribuire ad accettare il vuoto lasciato nel cuore dal virus. Per Carlo Chiodi, 50enne di Carobbio degli Angeli, imprimere su carta l’esperienza della perdita di entrambi i genitori a causa del Covid-19 è stato un gesto di fede, come quello che lo ha spinto a imbustare il suo vissuto nella cassetta rossa e bombata delle Poste, indicando come destinatario Papa Francesco. «Non ho potuto salutare nei loro ultimi momenti di vita le persone che mi hanno messo al mondo – spiega Carlo – e così, mosso dal mio amore verso di loro e per onorare la loro memoria, ho sottoposto la mia esperienza alla persona che, nel silenzio del vuoto di piazza San Pietro dello scorso 27 marzo, ha veicolato con più forza la sofferenza che tutta l’umanità stava provando».

Il viaggio verso Roma

La missiva arriva sulla scrivania del Pontefice, che invita il 50enne, professione autotrasportatore, in Vaticano insieme alla sua famiglia. La risposta del Papa spiazza Chiodi, che accoglie la notizia con un brivido di incredulità. Così sabato si mette in viaggio alla volta di Roma per partecipare, alle luci dell’alba della domenica, alla Messa in Santa Marta per ricevere il saluto e la benedizione papale. Un’ulteriore inaspettata sorpresa aspetta Carlo con la moglie Monia, 44 anni, e i figli Daniele, 16 anni, e Gaia, 13. I quattro trascorrono la mattina in Vaticano e alle 11 vengono introdotti nel Palazzo Apostolico, dove il Papa vuole riceverli in udienza privata. La famiglia viene fatta accomodare nella biblioteca e, dopo pochi istanti, «vediamo il Santo Padre fare ingresso da solo - racconta Carlo Chiodi -, evitare lo scranno al centro della stanza per prendere posto accanto a noi, parlandoci a bassa voce e guardandoci negli occhi, come un amico». A Papa Francesco portano in dono la bandiera «Noi amiamo Bergamo», una confezione di aceto balsamico fortificato prodotto a Carobbio e un volume scritto dal medico di base dei Chiodi, Emanuele Berbenni, che raccoglie le storie di alcune vittime bergamasche di Covid.

Venti i minuti in cui la famiglia resta da sola in compagnia del Santo Padre. «Ha voluto sapere come sta il mio cuore - racconta Carlo –. Gli ho risposto che è stato messo a dura prova. I miei genitori godevano di ottima salute e vederli andarsene così in fretta mi ha lasciato un vuoto. Mi ha detto che il pianto e la collera sono umani, che arrabbiarsi è lecito e che rappresenta una forma di preghiera, quando si è soli e si prova dolore. Ha continuato dicendo che trattenersi e convincersi di non soffrire non è la soluzione, ci si deve liberare dei pesi che attanagliano il cuore. Ha ammesso di sentire dentro di sé il dolore del mondo e che prega ogni giorno Dio per comprendere il senso di questa sofferenza. Durante l’udienza tremavamo, siamo rimasti a bocca aperta per l’umanità del Papa, che ci ha riservato un momento di ascolto indimenticabile». L’incontro è stato poi ricordato da Papa Francesco durante l’Angelus.

Il dramma di Carlo e della famiglia Chiodi ha inizio a fine febbraio. Il padre Giuseppe, 77 anni, comincia ad accusare sintomi influenzali nella sua casa di Montello e Carlo si trasferisce dai genitori per aiutarli nelle faccende domestiche e sostenerli in un momento di forte angoscia collettiva. Le condizioni del padre peggiorano e l’11 marzo viene trasferito al San Marco di Zingonia.

«Era uscito di casa sulle sue gambe – rivela Carlo – e nulla mi faceva presagire che non l’avrei più rivisto. Il 14 marzo, per lui, non c’è stato più nulla da fare. Solamente due ore prima della sua morte mia madre Giuseppina, 78 anni, è stata trasferita all’ospedale Humanitas Gavazzeni. Speravo di poterla riabbracciare, ma una sensazione, da dentro, mi turbava profondamente. Così, decisi di darle un bacio prima che fosse caricata in ambulanza. Dieci giorni dopo, il 24 marzo, ho saputo che quello è stato l’ultimo istante trascorso con mia mamma».

La quarantena

Dal 14 marzo Carlo si è trovato a «scontare» due settimane di quarantena solitaria nella casa in cui è cresciuto, dove i suoi genitori hanno costruito un matrimonio durato 54 anni, di cui 40 spesi fianco a fianco anche sul posto di lavoro (erano colleghi alla Videoplastic di Gorlago), e che li ha visti spegnersi sotto i colpi invisibili di un nemico che toglie il fiato.

Nelle lunghe sere lontano da moglie e figli Carlo aveva davanti agli occhi i biglietti del viaggio in Liguria che i suoi genitori avevano prenotato proprio per i giorni in cui, invece, hanno salutato questo mondo. Di giorno ha trovato il conforto della moglie Monia, che dalla strada lanciava sguardi e parole di supporto verso il marito affacciato alla finestra. Ad ammorbidire i pensieri taglienti della notte ci pensava Gianluca, amico fidato, a cui Carlo ha confessato il senso di vertigine che stava provando, anche rispetto alla sua fede. Nei giorni in cui era costretto tra le mura di casa, sono stati celebrati i funerali dei genitori nel cimitero di Costa di Mezzate.

«Nel momento in cui il feretro di mia madre stava per essere tumulato - racconta Carlo -, l’argano si è fermato. Nell’attesa di poterlo ripristinare, mia sorella Terry, presente alla cerimonia privata, ha fatto notare che accanto al colombario dove riposa mio padre c’è un posto libero. Una volta ottenuti i permessi, mia mamma è stata messa a fianco di mio papà, fianco a fianco, come avrebbero desiderato. Un segno del destino che ha permesso loro di stare vicini nonostante il virus abbia strappato loro gli ultimi anni in cui avrebbero potuto manifestare l’uno all’altra il loro amore eterno».

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