L’Atalanta, Sinner e i segnali: quando guardare in alto diventa un dovere

Chiamateli, se volete, segnali. In una delle sue peggiori giornate dall’inizio della stagione l’Atalanta esce indenne da Udine grazie a un gol in pieno recupero, mantiene il quinto posto, si porta a un punto dal quarto occupato da un Napoli in caduta libera e non perde terreno nei confronti di Milan (terzo a + 3 sulla banda Gasperini), Roma e Lazio.

È raggiunta dalla Fiorentina, è vero, che però batte quel Bologna che fra le inseguitrici viene indicato come la più pericolosa. E quindi un punto guadagnato anche su quello...

Insomma, nel giro di pochi secondi la testata di Ederson ha cambiato gli scenari immediati (un conto è arrivare alla sosta con il fiatone ma indenni, un altro avere una sconfitta su cui rimuginare per due settimane prima di potersi di nuovo sfogare in campo) e quelli a lunga scadenza. Perché fra le rivali in piena crisi d’identità e quelle che non decollano, la sensazione è che questa Atalanta abbia il dovere di guardare in alto. Non di arrivarci per forza, ma di provarci senza nascondersi. Lo impone la classifica, lo impongono i segnali, lo impongono gli investimenti della società che in estate ha operato sul mercato come mai prima nella storia e che ancora ieri, attraverso l’ad Luca Percassi, si è detta «disponibile a intervenire se ci sarà l’occasione per migliorare questa squadra».

Chi in alto ci guarda senza nascondersi, con l’allegra sfrontatezza dei suoi 22 anni e della sua folta chioma rossa, è il tennista Jannik Sinner. Ieri alle Atp Finals di Torino ha battuto Stefanos Tsitsipas e la pressione dell’esordio, che era tutta su di lui. Domani se la vedrà con il più forte di tutti, Novak Djokovic, e a prescindere dal risultato ha la concreta possibilità di essere il primo italiano della storia ad arrivare alle semifinali di quello che una volta era il Masters. Il giocatore sogna e fa sognare, ma il fenomeno Sinner è altro. Con lui, il tennis italiano ha completato il suo capolavoro. Nel 2001, quando Sinner nasceva, Angelo Binaghi diventava presidente di una Federazione e di un annesso movimento ridotti a un cumulo di macerie. Oggi quel movimento ha numeri da capogiro per quantità e qualità, ma soprattutto ha creato un campione che va oltre il suo mondo. Un modello che scatena un entusiasmo contagioso, fino a investire la sfera sociale. Uno come Pietro Mennea, Alberto Tomba, Valentino Rossi. Diciamolo senza paura. Perché quando hai uno così, hai il dovere di guardare in alto.

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