«Una vita sentendomi diversa dagli altri, poi ho saputo affrontare la dislessia»

LA STORIA. Irene, la diagnosi a 26 anni e l’impegno come volontaria nell’Aid di Bergamo. «Importante superare i pregiudizi».

«La dislessia è come una porta chiusa a doppia mandata – scrive Giacomo Stella, psicologo e psicolinguista, esperto in disturbi di apprendimento –. Per aprirla bisogna trovare la chiave giusta». Irene ha trascorso oltre vent’anni tenendo dentro di sé questa «zona buia» prima di scoprire da dove venivano le difficoltà che la facevano sentire «diversa»: «Ho avuto la diagnosi di questo disturbo di apprendimento da adulta, a 26 anni, ed è stata una liberazione, una soddisfazione personale. Ho capito finalmente che sotto certi aspetti il mio cervello funziona in modo diverso da altre persone, ma non c’è niente di sbagliato in me. Può sembrare una cosa da poco, ma in realtà anche dal punto di vista psicologico è stata una conquista, che mi ha portato a una scoperta graduale del mio valore personale e delle mie potenzialità». Per lei, che ama il trekking, è stato come scalare la cima più alta.

Per questo Irene è in prima linea come volontaria nel gruppo dei giovani dell’Associazione italiana dislessia (Aid) di Bergamo: «Ci sono tanti pregiudizi su questa condizione, mi sono resa conto di quanto sia importante lavorare per diffondere informazioni corrette, sensibilizzare le persone e cambiare il clima culturale».

Quel tirocinio rivelatore

Vivace e curiosa, Irene ha deciso di sottoporsi ai test grazie allo stimolo di un collega: «Stavo svolgendo un tirocinio in un’azienda. Il mio tutor parlandomi della fidanzata, studentessa fuori sede come me, mi ha raccontato del suo percorso di studi. Si stava laureando in Psicologia con una specializzazione specifica nei disturbi di apprendimento a San Marino. Mentre mi parlava di dislessia e discalculia, spiegandomi quali siano i segni caratteristici di questi disturbi, ho iniziato a chiedermi se alcune lentezze e goffaggini di cui mi ero accorta potessero avere un’origine di questo tipo. Mi sembrava di rientrare perfettamente nei casi che mi stava illustrando. Ho deciso quindi di approfondire, sottoponendomi al percorso diagnostico. Non è stato facile trovare un centro adatto, perché la maggior parte si rivolge a ragazzi in età evolutiva. Sono poche le batterie di test rivolte agli adulti, le psicologhe che mi hanno seguito hanno dovuto richiederle a un centro specializzato di Padova».

Ci sono tanti strumenti di compensazione dedicati ai ragazzi, per gli adulti invece gli interventi sono più difficili. Non mi hanno consigliato potenziamenti, perché mi hanno detto che ero ormai cresciuta e per certi versi avevo consolidato con metodi personali le mie capacità. Ho seguito invece un percorso di auto-accettazione. Volevo imparare a conoscere meglio le mie caratteristiche e particolarità, e superare la paura di sembrare più debole rispetto ad altri. Ho passato tanti anni a chiedermi perché fossi così diversa, sentendomi inferiore. È stato quindi un sollievo scoprire che si tratta di genetica».

Una diversa prospettiva

È stata un’occasione per rileggere il suo percorso sotto una diversa prospettiva: «Quando ero piccola vivevo in un paese del Friuli, dove c’erano ancora scarsa sensibilità e preparazione rispetto al problema dei disturbi di apprendimento. I miei insegnanti erano convinti che i miei problemi fossero passeggeri e che si sarebbero risolti con la crescita. Mi davano spesso note perché dimenticavo i libri oppure li confondevo. Pensavano che fossi sbadata oppure che non mi impegnassi abbastanza. Anche alle Medie è successo lo stesso, i professori dicevano ai miei genitori che mi distraevo, che forse ero innamorata, mi consideravano immatura e lo attribuivano a tutte quelle cause adolescenziali, che invece avrebbero dovuto essere investigate meglio. Gli anni di scuola sono trascorsi tra alti e bassi, tante difficoltà e sacrifici, tanto studio, supporto da parte dei miei genitori, pomeriggi trascorsi a studiare, perché faticavo a memorizzare non avendo mezzi compensativi i miei sforzi erano doppi rispetto ai miei compagni».

Irene ha frequentato l’Istituto chimico biologico a Udine: «Dopo il diploma mi sono trasferita a Bergamo per proseguire gli studi all’Istituto tecnico superiore (Its) in biotecnologie all’istituto «Natta». I miei genitori, entrambi periti agrari, mi seguivano nei compiti, mi aiutavano a risolvere i problemi più complessi, trascorrendo i pomeriggi così. Non è stato semplice rispettare gli impegni scolastici, quando avevo un’interrogazione dovevo alzarmi alle 5 del mattino per ripassare. Nonostante questo non mi sono mai arresa e ho proseguito anche se ho dovuto sacrificare la mia vita sociale, dato che tutto il mio tempo veniva assorbito dallo studio, e questo mi ha reso un po’ più timida e insicura nelle relazioni. I professori, però, hanno sempre apprezzato la mia determinazione, la mia voglia di fare, il mio desiderio di riuscire. Quando prendevo un brutto voto mi facevo sempre in quattro per rimediare. Non riuscivo a ignorare il peso dei voti scolastici, ce l’ho messa tutta per poter avere una buona media».

Irene ha sentito su di sé il peso dei pregiudizi, che minavano la sua autostima: «Mi sono data moltissimo da fare per mascherare quelle che la società considerava come debolezze, invece erano soltanto particolarità. Per evitare discriminazioni imitavo i miei compagni, in laboratorio osservavo ogni loro mossa con attenzione, per essere a livello degli altri, sempre con il timore di essere considerata “diversa”, come purtroppo capitava spesso». La dislessia influenza in qualche modo anche la carriera professionale, ma non è necessariamente uno svantaggio: «C’è qualche punto critico, per esempio lavorare per otto ore è più faticoso per me rispetto ad altri. Ho una memoria più labile, mi capita di essere più lenta, meno precisa. Mi sono imbattuta in persone convinte che i dislessici siano meno intelligenti, non è così: spesso hanno molti punti di forza, come la creatività, la tenacia, la capacità di individuare soluzioni alternative, l’empatia».

Gli ostacoli al lavoro

Non sempre è facile spiegare la propria situazione sul posto di lavoro, molti scelgono di non farlo: è un argomento delicato, c’è chi si comporta in modo sensibile e comprensivo e chi no. C’è a volte il timore di offrire un’immagine negativa, di essere poco considerati. Ci sono poi imprese «illuminate» che seguono strategie di inclusione, per approcciarsi meglio a processi di integrazione e inclusioni. Alcune ottengono la certificazione «dyslexia friendly» per dare a tutti la possibilità di lavorare alla pari.

Irene si impegna attivamente nella sensibilizzazione per aiutare persone come lei: «Dal momento della diagnosi ho seguito diversi workshop dell’Aid, sono entrata nel gruppo giovani, mi sono dedicata a campagne di sensibilizzazione, per offrire informazioni corrette. Ci occupiamo anche dei social e pubblichiamo post sui disturbi di apprendimento, spiegando quali sono i mezzi compensativi e pubblicizzando gli incontri promossi dall’associazione sui disturbi di apprendimento».

Far parte di un gruppo è un’esperienza fondamentale per Irene: «Ci confrontiamo, ci sosteniamo a vicenda e condividiamo le nostre esperienze. Ho scoperto così, per esempio, che altri come me hanno difficoltà a guidare in autostrada, a causa di alcuni problemi visuo-spaziali».

L’Aid di Bergamo periodicamente promuove anche incontri rivolti agli studenti universitari: «Non tutti conoscono la possibilità di presentare le certificazioni anche in occasione dei test di ammissione e poi nelle facoltà di appartenenza per ottenere strumenti compensativi, come mappe concettuali e tempo in più alle prove scritte. Cerchiamo di far conoscere anche i supporti tecnologici come audiolibri e libri liquidi, nuovi formati che integrano il testo con estensioni multimediali».

Sono molte le famiglie, le insegnanti, le educatrici che partecipano agli incontri: «Gli incontri in presenza sono ripresi e sono sempre molto apprezzati. Ne siamo molto felici, è un passo per contribuire a smontare i pregiudizi. Una volta il termine dislessico veniva usato a sproposito per qualcuno che non parlava bene, si ingarbugliava. Molti ritenevano che si trattasse solo di un problema di linguaggio, invece è una questione più complessa. Ogni dislessico ha caratteristiche diverse dagli altri. C’è chi ha soltanto un problema di apprendimento e chi ne ha diversi, come per esempio disgrafia, discalculia, disortografia, chi associa a essi anche problemi di attenzione e di coordinazione. È un fenomeno articolato che merita di essere ben conosciuto».

Alla ricerca dell’equilibrio

Non è stato facile per Irene arrivare a questo punto: «Ho passato momenti bui in cui mi sentivo affaticata e smarrita, non riuscivo a ottenere risultati nonostante un grandissimo impegno e non ne capivo il motivo. Penso che la cosa più importante sia riuscire a trovare il proprio equilibrio, mettere a punto metodi di studio personali adatti alle proprie esigenze, e riconoscere i propri talenti».

Nonostante la dislessia, una delle più grandi passioni di Irene è la lettura: «Grazie alla serie di “Harry Potter” ho imparato ad amare i libri fantasy, da lì in poi ho continuato a leggere anche se sono molto più lenta degli altri. In questi romanzi c’è sempre un eroe che compie un cammino di crescita personale in cui è bello identificarsi. Leggo volentieri anche Mauro Corona, che affronta in modo poetico temi legati alla montagna».

Nei weekend Irene si cimenta in percorsi sempre nuovi sulle Orobie: «Sono una persona curiosa che cerca stimoli in tutto ciò che ha intorno. Ora mi piacerebbe riprendere gli studi, magari nel campo della chimica, che mi interessa molto. Ho fatto pace con il mio percorso, sogno traguardi sempre nuovi. In ogni esperienza che compiamo, perfino nelle più difficili, si può trovare un frammento di bellezza».

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