Un «Jolly» sulla ferita del melanoma, la cicatrice non esclude la svolta positiva

Guja Cornelli. Sposata e madre di due figlie, racconta la recidiva a 40 anni e l’aiuto di «Insieme con il sole dentro».

Pescare un Jolly è il sogno proibito di qualunque giocatore di carte: può sempre rappresentare una scorciatoia verso la vittoria. Guja Cornelli se l’è tatuato sulla spalla, accanto al punto dove nel 2016 le hanno diagnosticato e asportato un melanoma. La cicatrice dell’operazione ora scorre accanto al disegno, che è rimasto intatto: questo simbolo è sempre lì per ricordarle che la vita è imprevedibile, che è impossibile tenere tutto sotto controllo. Ma in una partita a carte, nei momenti più critici, si può sempre giocare il Jolly: è importante continuare ad avere fiducia in una svolta positiva. Sono passati anni, nel frattempo Guja ha perso la madre a causa di un tumore alle ovaie. Nel gennaio del 2021, proprio nel giorno del suo quarantesimo compleanno, è arrivata la brutta scoperta di una recidiva con metastasi a milza, fegato e polmoni.

Questa improvvisa recrudescenza della malattia ha cambiato profondamente il suo sguardo sulla realtà e sulla vita: «Ho iniziato a vedere il tempo in maniera diversa. Mia madre e io stavamo combattendo la stessa battaglia e quando lei non ce l’ha fatta mi sono scoraggiata. Ho sentito mancarmi la terra sotto i piedi». A gettarle un’ancora di salvezza, standole sempre vicine, sono state Marina Rota e le altre amiche dell’Associazione «Insieme con il sole dentro. Melamici contro il melanoma» (https://insiemeconilsoledentro.it). Anche per questo ha accettato di posare per il calendario «Ferite di luce» del 2022, che raccoglie dodici volti di donne con una storia di melanoma, pronte a mostrarsi con la propria fragilità. Il sorriso di Guja è proprio sulla prima pagina, e in quello scatto la cicatrice del suo intervento risplende. È come se fosse stata saldata con la tecnica giapponese del kintsugi, che permette di riparare gli oggetti con l’oro, rendendoli unici e preziosi. Una crepa che causa molto dolore, ma da cui - nonostante tutto - entra la luce.

La forma e il colore del neo

Quel neo da cui tutto è incominciato sembrava piccolo e innocuo: «Aveva un aspetto strano per forma e colore - sottolinea Guja - l’ho notato per caso guardandomi allo specchio. Ho pensato subito che fosse meglio controllare. Il dermatologo mi ha consigliato di asportarlo d’urgenza e così ho fatto, rivolgendomi a una struttura privata. Dopo l’operazione è arrivato l’esito dell’esame istologico che ha confermato la presenza del melanoma, ma è andato tutto bene: è servito solo un allargamento dell’asportazione e l’esame dei linfonodi è risultato negativo».

Ha conosciuto Marina in quel periodo: «Mi sentivo confusa e smarrita, non sapevo niente del melanoma. Ho cercato notizie ed esperienze su internet e così mi sono imbattuta nella pagina in cui lei raccontava la sua storia ‘Mary dall’altra parte’. Mi sono messa subito in contatto per chiederle informazioni e lei è stata gentilissima e molto disponibile. Non si è limitata a fornirmi qualche dato generico, ma ha ascoltato le mie paure, le mie perplessità, mi ha spiegato chiaramente quale percorso avrei dovuto affrontare. Questo mi ha colpito positivamente e mi ha rassicurato. Ci siamo poi incontrate di persona ad Almè, durante una presentazione del suo libro. In seguito ho iniziato a partecipare alle attività dell’associazione. L’esperienza del calendario è stata una sfida ma anche un divertimento. Mi sentivo intimidita davanti all’obiettivo, ma in quelle giornate ho avuto la possibilità di confrontarmi con altre persone che hanno avuto la mia stessa esperienza, ed è stato prezioso. C’era chi aveva fatto più interventi di me, chi deve affrontare problemi di mobilità alle braccia e alle gambe. Parlando con loro sono riuscita a collocare ciò che sto vivendo nella giusta prospettiva».

Risucchiata nel vortice degli esami

Guja vive a Locate, sposata con Massimo ha due figlie, Ginevra di 16 anni e Veronica di 12 e lavora come operaia in una ditta di verniciatura, V.i.tre srl. «Nel mese di dicembre del 2020 mi sono accorta di una insolita stanchezza e di alcuni dolori, a volte piuttosto intensi, soprattutto nella zona della milza. Era un periodo stressante a causa della pandemia, in azienda c’erano colleghi assenti, il carico di lavoro era aumentato, perciò non mi sono sentita di restare a casa anch’io. Ero in ansia anche per mia madre, che in quell’anno poco prima di Natale aveva subito un intervento. Quindi nel frattempo ho aspettato e sopportato, pensando che il mio malessere fosse dovuto alla situazione generale. Dopo le feste, però i sintomi sono peggiorati e su suggerimento del mio medico di base il 4 gennaio, proprio il giorno del mio compleanno, mi sono rivolta al Pronto soccorso». I dolori si erano estesi ai polmoni perciò Guja temeva che si trattasse di Covid, non si aspettava proprio la recidiva: «Quando i medici me l’hanno detto ero sola. Ho subito un colpo durissimo, e non sapevo come comunicarlo alla mia famiglia, e in particolare a mia madre. Ho dovuto farlo per telefono, perché avevo bisogno di fornire subito ai medici la documentazione che riguardava il melanoma. Proprio quel giorno ho risposto a Marina, che mi scriveva per gli auguri, che ero in ospedale e avevo appena scoperto che il melanoma era tornato».

Guja è stata risucchiata nel vortice di esami, visite, controlli, seguita con impegno e attenzione dal suo medico di base, Sharon Bravi. Ha iniziato con grande fatica le terapie, trovandosi subito alle prese con gli effetti collaterali. Intanto c’erano molti aspetti pratici da gestire, a cui pochi pensano, anche se sono al centro della vita di tutti i giorni: «Dopo l’operazione di mia madre abbiamo chiesto aiuto all’Anmic (associazione mutilati e invalidi civili) per la pratica necessaria per ottenere l’assistenza domiciliare, che poi si è rivelata cruciale per noi. Nel frattempo io dovevo pensare a gestire in modo corretto la mia situazione lavorativa: fortunatamente la mia azienda si è mostrata disponibile. Mi hanno detto di preoccuparmi di stare bene, e mi hanno assicurato che il mio posto sarebbe stato salvaguardato. Mi sono rivolta ai sindacati per ottenere un supporto nella gestione pratica di questioni come la malattia, una materia particolarmente delicata e fluida in un periodo di pandemia. Nella mia nuova condizione di soggetto fragile, infatti, ho dovuto anche fare i conti con le normative anti-Covid, che cambiavano rapidamente, spesso con un po’ di incertezze sull’applicazione».

La vita di Guja ha subito molte scosse: «Ho imparato ad accettare i cambiamenti nel mio corpo: i farmaci hanno provocato un significativo aumento di peso. Sulla pelle mi sono comparsi i segni della vitiligine (una malattia della pelle che si manifesta con chiazze più chiare). Soffro di vertigini, di frequenti malesseri, e questo spesso condiziona il mio umore e le mie relazioni. Ho letto molto su questo, mi ha colpito e mi ha fatto riflettere l’articolo in cui un medico spiegava che dopo un po’ il malato oncologico non si preoccupa più della malattia, ma di stare bene. La patologia sai che c’è, non dipende da te, diventa più importante la qualità della vita».

L’orizzonte temporale si sposta di tre mesi in tre mesi: «C’è sempre, in sottofondo, l’attesa dei controlli, ma nel frattempo vorresti almeno stare bene e riuscire a fare qualcosa con la tua famiglia, con i tuoi figli. Vorresti che avessero più ricordi possibile, che vivessero intensamente ogni momento con te. Malesseri ed effetti collaterali hanno un peso e un’influenza anche sui rapporti con gli altri. Inizialmente sono tutti premurosi, poi ognuno torna a fare la sua vita e il resto passa in sottofondo. Alla fine resta vicino chi è in qualche modo coinvolto, chi sta passando attraverso le stesse esperienze, come le altre ragazze dell’associazione e chi magari ne è uscito, perché sanno con certezza che cosa stai provando. Gli altri non se ne dimenticano, ma ovviamente vanno avanti con la loro vita, trovano un loro equilibrio».

La prevenzione è un tema sempre presente nella sua vita: «Credo ci sia molto da lavorare, anche da parte delle strutture sanitarie, non sempre attrezzate in modo adeguato a garantire controlli e interventi tempestivi, non sempre dotate delle apparecchiature necessarie per operazioni importanti come la mappatura dei nei. Fra la gente comune, d’altra parte, ci sono molti pregiudizi, nonostante le campagne informative c’è ancora chi crede che la pelle si rafforzi grazie al sole. È molto importante invece prestare la massima attenzione all’applicazione delle protezioni adatte al tipo di pelle e moderare l’esposizione, evitando le ore più calde e seguendo i consigli dei dermatologi. Neanche questo può garantire che non si presenterà, prima o poi, un melanoma, ma può sicuramente influenzarne la gravità e l’evoluzione».

«Andare avanti»

Non sempre le giornate di Guja sono buone: «Mi manca la possibilità di essere attiva come ero prima, lavorare, uscire, dedicarmi ai miei compiti quotidiani. A volte mi sembra di non essere abbastanza forte per affrontare la situazione, e ho bisogno di sfogarmi, perché ci sono troppe lacrime nel mio cuore e non riesco più a trattenerle. Ma buttare fuori la tristezza mi aiuta a reagire e andare avanti». Scrive Rudyard Kipling nella celebre poesia «Se»: «Se saprai serrare il tuo cuore, tendini e nervi/ nel servire il tuo scopo quando sono da tempo sfiniti,/ E a tenere duro quando in te non c’è più nulla/ Se non la Volontà che dice loro: “Tenete duro!” (...)/ Tua sarà la Terra e tutto ciò che è in essa/ E - quel che più conta - sarai un Uomo, figlio mio!». Allo stesso modo Guja ha imparato nel suo percorso ad accogliere la sua fragilità e perfino, ogni tanto, a sorriderne, come fa nella foto del calendario «Ferite di luce», con Marina e le altre amiche dell’associazione «Insieme con il sole dentro» pronte ad aiutarla a leggere la speranza fra le stelle anche nelle notti più buie.

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