Spesa, libri, lettere: quei volontari così speciali in giro per la città

ASSOCIAZIONE SAN PAOLO IN BIANCO. I partecipanti svolgono piccole commissioni per chi ne fa richiesta.

«Tutti per uno, uno per tutti»: Jefferson, Pietro, Giacinto e Alessandro sono come i moschettieri di Alexandre Dumas, una vera squadra in cui ognuno si prende cura degli altri. Ogni settimana dedicano uno o due pomeriggi al volontariato, serio al pari di un lavoro, con l’associazione San Paolo in Bianco, in città.

Si ritrovano fianco a fianco, con pari dignità, persone con e senza fragilità, una caratteristica peculiare delle attività dell’associazione. Non importa in quei momenti la distinzione dei ruoli, anche se Alessandro è un educatore, Giacinto un volontario, Jefferson si sposta sulla sedia a rotelle a causa di una malattia degenerativa e Pietro, il più alto dei quattro, è autistico. Con naturalezza e allegria, senza neppure averlo pianificato, mettono insieme le loro capacità migliori e smontano gli stereotipi, perché sono «fuori dalle righe»: basta trascorrere qualche ora con loro, come abbiamo fatto noi, seguendoli nei loro impegni, per cambiare sguardo sul mondo e imparare un nuovo stile.

Sono insieme per aiutare gli altri, in tanti modi diversi, anche nell’ambito dell’iniziativa del Comune «Bergamo x Bergamo», come volontari a servizio di tutti i cittadini. Per il progetto «A casa tua» ritirano libri dalla biblioteca Tiraboschi e li consegnano agli Spazi di quartiere oppure a chi li ha richiesti a domicilio. Consegnano inviti, volantini, biglietti d’auguri che la parrocchia di San Paolo dedica ai nonni per i loro compleanni. Oppure, grazie al progetto «Due mani in più» vanno a ritirare la spesa alla Coop Lombardia di via Vela (angolo via Broseta) per persone con difficoltà di deambulazione.

La chiave di tutto sono le relazioni

Incombenze molto semplici, che hanno un grande valore per chi ne ottiene beneficio ma anche per chi li compie, come mezzo di crescita e conquista di una maggiore autonomia, autostima e consapevolezza di sé. La chiave di tutto sono le relazioni: quelle ormai salde nate all’interno della squadra, che operando insieme ha imparato a conoscersi, e quelle spesso sorprendenti che nascono con i destinatari delle azioni dell’associazione.

L’itinerario dei loro pomeriggi di volontariato inizia dalla biblioteca Tiraboschi, dove la squadra ritira i pacchetti di libri da distribuire. Da lì tutti gli spostamenti avvengono a piedi e in autobus.

«Jefferson fa da apripista - spiega Giacinto con un sorriso -, ormai è capace di aggirare qualsiasi ostacolo». Perfino sulla carrozzina elettrica, insomma, schiacciare sull’acceleratore è una tentazione costante. Jefferson non si fa disarmare dai materiali che a volte ingombrano i marciapiedi né dai mezzi parcheggiati in modo avventuroso, quando serve si fa aiutare dai compagni ad aprirsi la strada. Anche se noi restiamo un po’ feriti e amareggiati dall’indifferenza dimostrata da chi blocca i passaggi pedonali senza preoccuparsi delle conseguenze. Ama scherzare e ogni tanto si inventa qualche «numero» semi-acrobatico, suscitando un po’ di apprensione nei compagni: «Pietro lo tiene d’occhio - sottolinea Giacinto - avvertendolo dei pericoli».

Durante il percorso si scambiano qualche aneddoto sul «grande aperitivo» promosso dall’associazione San Paolo in Bianco una volta al mese, un’occasione in cui si incontrano nuovi amici, con e senza disabilità: le altre squadre di volontari più altri ospiti invitati da loro. «Succede sempre qualcosa di divertente» osserva Jefferson.

Per strada i membri della squadra procedono ognuno col suo ritmo, ma sempre mantenendo un filo tra di loro. Agli sguardi curiosi dei passanti rispondono con sorrisi e saluti.

Arriviamo a Porta Nuova, alla fermata dell’autobus. La prima destinazione è la Casa di quartiere di Monterosso, perciò dobbiamo prendere la linea 6 dell’Atb.

C’è qualche minuto di attesa, che trascorre chiacchierando: Giacinto e Alessandro stanno pianificando come costruire in modo creativo «il cielo in una stanza» con lampadine e particolari coperture realizzate a mano per proiettare delle «stelle». Potrebbe essere un bel dono per i volontari dell’associazione.

«Ho iniziato questa attività da pochi mesi - commenta Giacinto - ma sto già imparando molto dai ragazzi, ascoltandoli e osservando le loro reazioni, a ogni uscita li conosco un po’ meglio. Per me da quando li frequento è iniziata una seconda vita. Molte cose che sperimentiamo insieme nel nostro lavoro di squadra prima non le notavo affatto oppure le davo per scontate. Ora ho sviluppato uno sguardo più acuto e sensibile. Mi sono accorto per esempio di tanti aspetti della mobilità e dell’assetto della città che potrebbero funzionare meglio, e che non favoriscono un clima autentico di inclusione. Penso che la responsabilità di migliorare riguardi ognuno di noi nei gesti e nei comportamenti quotidiani».

Il volontario Giacinto: «Da quando frequento i ragazzi è cominciata una seconda vita»

Quando l’autobus si ferma, segnalano all’autista che c’è bisogno della pedana per far salire la carrozzina di Jefferson. Ci vuole qualche minuto per attivare correttamente il meccanismo, ma alla fine tutto fila liscio. A bordo la squadra si sistema in ordine sparso, Jefferson nello spazio sicuro dedicato alle persone con disabilità. Quando la carrozzina si è sistemata la corsa riparte. Il viaggio è breve: anche in discesa bisogna attivare la pedana, questa volta il procedimento è più agevole.

Pietro intanto ha già estratto dallo zaino il pacchetto di libri da consegnare. È un suo compito, perciò, una volta scesi, lo porta a termine da solo, con passo rapido e sicuro, tenendo d’occhio la strada e l’attraversamento pedonale, mentre il resto della squadra lo osserva a breve distanza, alla fermata dell’autobus, senza interferire. Riporta indietro un altro pacchetto con i nuovi libri da rendere alla biblioteca Tiraboschi, che ripone nello zaino.

«Ogni volta diventa più facile - spiega Alessandro - ogni obiettivo raggiunto è un passo verso una maggiore autonomia e rafforza l’autostima. Pietro ci tiene molto, è accurato e preciso». Il percorso riprende per recarsi verso il secondo punto di consegna, allo spazio di quartiere della Malpensata.

L’educatore Alessandro: «Ogni obiettivo raggiunto aggiunge autonomia e autostima

Pietro ogni mattina partecipa alle attività del centro Hub Nadir, un progetto propedeutico alla gestione di un appartamento: «I ragazzi imparano tutte le attività utili per la vita quotidiana - dice Alessandro - la cucina, l’uso della lavatrice, le pulizie». Fra i suoi impegni c’è anche un laboratorio di falegnameria al Patronato San Vincenzo di Sorisole: «Apprende molto facilmente, anche se all’inizio c’è sempre un po’ di agitazione. Abbiamo imparato a usare tutti gli strumenti necessari, abbiamo costruito una recinzione con i bancali di recupero. Col tempo Pietro ha imparato a moderare il suo desiderio di tenere tutto sotto controllo per adattarsi alle situazioni. Si è messo alla prova anche dando una mano per un giorno alla settimana al bar dell’oratorio di San Paolo».

Così i ragazzi trovano occasioni sempre diverse per superare i limiti, scoprendo che possono raggiungere traguardi, che all’inizio sembravano impossibili. Come scrive Paul Coelho: «Chiudi la porta, cambia musica, rimuovi la polvere. Smetti di essere chi eri e trasformati in chi sei».

Jefferson, originario dell’Ecuador, deve fare i conti con una malattia degenerativa, cerca di rallentarne gli effetti svolgendo una regolare attività fisica e fisioterapia. Oltre all’associazione San Paolo in Bianco in passato ha frequentato il Centro diurno disabili del Comune. «Ha una grande forza di volontà - sottolinea Alessandro - quando decide di cimentarsi in un’impresa riesce sempre a portarla a termine. Ha provato il baskin, basket in carrozzina, e il nuoto. È molto socievole, allegro e generoso, per lui sono importanti le amicizie con i coetanei. Ha un carattere solare, gli piace rendersi utile».

Pietro, Jefferson, Alessandro e Giacinto hanno instaurato un rapporto prezioso fatto di attenzione, rispetto, solidarietà reciproca. Ogni giornata insieme è diversa, ognuna porta qualcosa di nuovo e sorprendente: a volte sono solo sguardi, gesti di gentilezza, la possibilità di ridere insieme scambiandosi battute, la capacità di rileggere in modo ironico anche gli inconvenienti. «Non sempre l’interpretazione di una situazione è univoca - sottolinea Giacinto - anche questo l’ho imparato nella mia attività di volontario con l’associazione San Paolo in Bianco. Quello che all’inizio sembra un grosso problema può trasformarsi in un’opportunità. Le differenze possono allontanare, oppure, come accade fra di noi, possono diventare una fonte di conoscenza, un arricchimento reciproco».

Ci avviamo a piedi da Porta Nuova alla Malpensata, passando da via Paglia. Si presentano di nuovo le stesse difficoltà del percorso di andata: dai cartoni abbandonati sui marciapiedi ai mezzi ingombranti. L’umore della squadra, però, resta sempre molto allegro. «Non importa, ce la faccio» dice ogni volta Jefferson, supera e «sfonda», ma con il giusto garbo, i tratti difficoltosi. Ogni volta che può, dà un po’ di sprint all’andatura del gruppo: per stargli dietro bisogna procedere a passo spedito. Chi l’ha detto che la disabilità rende più lenti?

Dopo la seconda consegna allo Spazio di Quartiere di via Furietti, svolta con la stessa cura e precisione della prima, arriva l’ora di rientrare: dopo due ore di attività si sente un po’ di stanchezza, ma è più forte la soddisfazione di aver portato a termine i compiti assegnati, di aver trascorso insieme un pomeriggio bello e denso conquistando una nuova prospettiva. La squadra dei moschettieri si saluta con grandi sorrisi, che abbracciano anche noi: «Ci vediamo la prossima volta».

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