«Cieco dalla nascita, ho esplorato la vita e il mondo grazie allo sport»

GUGLIELMO BONI. Il 56enne di Sorisole ha anche partecipato alle Paralimpiadi. «Judo e corsa, che gioie».

Sognare e inseguire orizzonti lontani anche senza poterli vedere: non è una sfida impossibile, come spiega Guglielmo Boni, 56 anni, di Sorisole, che da sempre vive «da esploratore», senza paura, pur essendo «cieco assoluto dalla nascita».

Da Barcellona al Colorado, da Sidney al Giappone, Guglielmo ha girato il mondo grazie ai suoi successi sportivi. È stato campione del mondo di judo, ma ha ottenuto risultati brillanti anche nell’atletica, partecipando a due edizioni delle Paralimpiadi nel salto triplo, salto in lungo, salto in alto e staffetta. Ora il tempo delle gare è finito ma si allena con le giovani promesse dell’associazione Omero Asd per trasmettere loro lo stesso entusiasmo che ha animato ogni sua prova, e che gli ha permesso di affrontare a viso aperto difficoltà e fatiche.

Spesso si associa lo sport alle grandi performance, ma il suo valore sociale è forse ancora più importante. Lo diceva già Nelson Mandela, quando divenne presidente del Sudafrica, e iniziò a considerarlo come un potente strumento di riconciliazione: «Lo sport ha il potere di cambiare il mondo. Ha il potere di ispirare. Esso ha il potere di unire le persone in un modo che poche altre cose fanno». Anche Guglielmo ha sperimentato su di sé che una disciplina sportiva può aiutare a cambiare completamente prospettiva sulla vita: «Per me - spiega - è un’occasione preziosa di conoscenza e scambio, mi ha permesso di stringere nuove amicizie, di viaggiare e imparare continuamente. Quando sei sul campo conta ciò che riesci a esprimere, non la tua disabilità».

Guglielmo percepisce solo luci e ombre, e per lui il mondo è sempre stato così: «Sono cresciuto a Treviolo, dove ho iniziato le elementari usando il Braille. Era una specie di sperimentazione nella scuola pubblica, perché erano i primi anni di inserimento dei disabili nelle classi. Prima i ciechi frequentavano scuole “su misura” all’istituto di Milano. Per tenermi al passo nel pomeriggio prendevo lezioni di Braille dal presidente dell’Unione Ciechi di allora. È stata un’opportunità preziosa, perché mi ha permesso di crescere con gli altri ragazzi del paese, svolgendo le stesse attività e giochi, compresi scherzi e sciocchezze tipici di quell’età. Dal punto di vista dell’integrazione sociale è una strada vincente. Per me è stato un periodo intenso, a volte un po’ duro, ma mi ha insegnato rapidamente come stare al mondo. I miei compagni e io trascorrevamo molto più tempo all’aperto rispetto ai bambini di oggi: restavamo in casa solo per i compiti, ma per il resto della giornata giocavamo fuori, così mi sono fatto le ossa imparando a orientarmi nello spazio. Sono stato fortunato, perché sono cresciuto senza mai sentirmi inferiore o a disagio con gli altri. Ho avuto la fortuna di incontrare ragazzi che mi hanno accolto e accettato. Molte amicizie hanno resistito alla prova del tempo e durano ancora oggi».

Fra esse anche quella con Matteo Tassetti, anche lui non vedente, medaglia d’oro di staffetta alle paralimpiadi di Sidney del 2000, compagno di avventure dell’associazione Omero: «Conosco bene anche la sua famiglia e in caso di bisogno ci diamo una mano a vicenda. Lo stesso avviene con gli altri amici e volontari dell’associazione e dell’Unione ciechi, che rappresentano una seconda famiglia»

Dopo le medie, che ha frequentato sempre nel suo paese, Guglielmo seguendo la sua inclinazione ha provato a iscriversi al liceo scientifico in un istituto cittadino: «Negli Anni ’80, però, mancavano i supporti necessari agli studenti non vedenti. Non c’erano libri in Braille né insegnanti di sostegno. C’era un lettore che veniva a casa mia ogni pomeriggio per affiancarmi nello studio, ma purtroppo questo non è bastato. Per di più non c’erano le tecnologie di oggi, per registrare una lezione bisognava affidarsi alle audiocassette, di qualità spesso inadeguata». Dopo quest’esperienza difficile, Boni ha deciso di iscriversi a un corso per centralinisti a Brescia: «Si svolgeva in orario diurno e riuscivo ad andarci da solo, in treno, poi tornavo a casa la sera e nei weekend potevo incontrarmi con i miei amici».

A 18 anni, dopo il diploma, ha iniziato a lavorare come centralinista in una banca. «Già dopo pochi giorni - prosegue Guglielmo - ho iniziato a svolgere anche altri piccoli compiti supplementari che mi riempivano la giornata, straordinari compresi. Spesso mi fermavo in ufficio oltre le 19 per finire il lavoro, e non era mai facile ottenere giorni di ferie».

Fin da ragazzino aveva iniziato a praticare judo «una disciplina che fa bene al corpo e alla mente», e da quando aveva 17 anni nel suo calendario si erano intensificati gli allenamenti e l’attività agonistica. «Dopo cinque anni e mezzo in banca - spiega - ho cercato quindi un altro impiego, che mi permettesse di avere più tempo libero e di tenere fede ai miei impegni sportivi». Ha trovato posto in un ente di previdenza sociale, dove ha avuto la possibilità di esercitare i suoi talenti e di trovare spazio per espanderli oltre il ruolo di centralinista, occupandosi del settore informatico: «Grazie a questo nuovo ruolo ho girato per le sedi di tutta l’Italia e ho ottenuto molte soddisfazioni. Da gennaio sono felicemente pensionato».

Guglielmo ha iniziato a partecipare alle prime gare di judo con la Federazione sport disabili: «Grazie allo sport ho rafforzato l’autonomia negli spostamenti e ho imparato a viaggiare da solo, conquistando abilità utili anche nella vita professionale. Nel ’91 ho vinto la coppa del mondo e mi hanno assegnato una borsa di studio di un mese in Giappone, un’opportunità straordinaria. Nel ’92 sono stato convocato per le paralimpiadi di Barcellona. Purtroppo mi è capitato un infortunio, una frattura del pollice, proprio due giorni prima della competizione, e alla fine mi sono classificato quinto. Ho partecipato a diverse gare internazionali e mondiali, finché nel ’95, in Colorado, durante il campionato del mondo mi sono lussato una spalla. Al ritorno, dopo mille ragionamenti, ho deciso che per me era arrivato il momento di cambiare sport. Mi sono cimentato nell’atletica leggera, contando sulla mia preparazione fisica: ho dovuto imparare i gesti tecnici, ma per il resto ero pronto». In questo modo Guglielmo ha messo a frutto la sua flessibilità e la capacità di adattarsi a nuove situazioni.

Nel ’97 ha vinto un campionato europeo nel salto triplo ed è arrivato terzo nel salto in lungo e nel salto in alto. Ha partecipato anche alle paralimpiadi di Sidney del 2000. Nel 2002 ha deciso di concludere l’attività agonistica, ma non per questo ha rinunciato allo sport: «Ho cambiato di nuovo specialità - sorride -, adesso mi dedico al mezzofondo, e ogni tanto partecipo a una maratona. Pormi degli obiettivi mi aiuta a proseguire gli allenamenti con regolarità e continuità e a mantenermi in forma. Lo sport è un’opportunità preziosa per socializzare e potersi confrontare, correndo ho allargato ancora la mia rete di conoscenze. Molti atleti-guida sono diventati miei amici e ci frequentiamo anche al di fuori dell’ambiente sportivo. Ogni passo di questo cammino mi ha aiutato a costruirmi una vita piena e realizzata».

Di recente è tornato anche in palestra per qualche lezione di judo: «È stato come ritrovare il mio primo amore, anche se poi ho preferito discipline diverse».

Adesso che ha più tempo a disposizione Guglielmo si dedica volentieri alle iniziative dell’associazione Omero e dell’Unione ciechi: «Ci piacerebbe rimodernare la sala informatica della nostra biblioteca e sistemare i computer. Sono felice di poter mettere a servizio le competenze acquisite nel percorso professionale».

Nella vita di Guglielmo c’è spazio anche per un’altra passione, la massoterapia: «È una delle possibilità che avevo valutato al momento di scegliere il mio futuro, ma a quei tempi non c’erano scuole a Bergamo e neppure nelle vicinanze. Avrei dovuto trasferirmi in un’altra città per qualche anno, una condizione che mi pesava molto, così ho preferito il corso per centralinisti. Nel 1995, però, dopo aver lasciato il judo, ho sentito nuovamente il desiderio di provare a percorrere questa strada: così ho frequentato un corso serale per un anno a Bergamo, poi ho proseguito la formazione a Pietra Ligure e a Trieste. Essendo un atleta la cura del corpo mi interessa molto».

Quando gira per la città spesso si fa accompagnare da Kira, cagnolina meticcia di tre anni, salvata da un canile: «Avevo un cane guida che purtroppo è morto l’anno scorso. Ero affezionato a lui, ho sofferto per la sua perdita, perciò inizialmente non volevo prenderne un altro. Poi ho ricevuto in dono Kira, un concentrato di energia e di vivacità. Pensavo di tenerla solo per compagnia, poi ho provato a insegnarle a guidarmi e ho scoperto che apprendeva con facilità. Ci è voluto un anno di pazienza, fatica, tanti esercizi, ma è diventata bravissima. Mi aiuta a evitare gli ostacoli e a camminare più spedito. Non è perfetta, è molto giocherellona, ma mi porta in giro in modo sicuro. Il tempo di percorrenza di qualunque tragitto si dimezza grazie a lei. La porto con me ovunque: sui mezzi pubblici, al bar, al ristorante, e mi aiuta moltissimo. Oltre a questo, dato che vivo da solo mi fa compagnia».

Guglielmo tiene molto alla sua indipendenza, ma sa di poter contare su tanti amici e sulla sua famiglia: «Non posso lamentarmi, sono circondato da persone che mi vogliono bene, e anche questo mi aiuta a guardare la vita con serenità e speranza».

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