A piccoli passi un viaggio alla scoperta del Giappone

LA RECENSIONE. Nicolas Bouvier, nato nella cittadina svizzera di Grand-Lancy, è tra gli scrittori di viaggio più rilevanti del Novecento, seppur ancora poco noto in Italia. Il suo sguardo analitico contraddistingue una narrazione affabile e a tratti seducente, capace al tempo stesso di portare il lettore alla scoperta della specificità culturale dei luoghi che Bouiver tocca e attraversa.

«Cronache giapponesi», originariamente pubblicato nel 1975 e ora proposto da Feltrinelli nella traduzione di Paola Olivi e di Beppe Sebaste, rappresenta al meglio, insieme a «Il pesce-scorpione», le qualità letterarie di un viaggiatore puro, ma anche di un saggista attento e accurato. Costruito per brevi paragrafi, «Cronache giapponesi» è una lunga e preziosa introduzione al mondo giapponese per piccoli passi. Bouvier accompagna il lettore portandoselo letteralmente con sé in un’avventura comune, in cui le scoperte accadono come in presa diretta.

Non è certo possibile trasferire il senso di una cultura millenaria in qualche centinaio di pagine, ma Bouvier riesce alla perfezione nel rappresentare lo stato di disagio che coglie l’uomo occidentale, la perdita di riferimenti, la distanza linguistica. Il viaggio è anche una lunga rincorsa alla ricerca di sé stessi in un luogo sconosciuto che vive di codici differenti. Bouvier attraversa con lentezza il Giappone, come per farlo aderire alla propria pelle nei giusti tempi: senza fretta, senza frenesia.

Grande camminatore, Bouvier attraversa campagne e città: l’intento non è certamente quello di mostrare l’interezza del Giappone, ma di dar conto di un mondo possibile, diverso e soprattutto capace di stupire svelando e rivelandosi. «Cronache giapponesi» è un libro sull’ascolto, sulla capacità di comprendere il prossimo proprio in virtù delle differenze. L’istante diviene dilatato all’estremo permettendo al lettore di penetrare nell’intimità di un vero e proprio mondo diverso e distante. Domande e risposte viaggiano su binari che non si incrociano, molte delle questioni che Bouvier si pone resteranno eluse, altre risposte, invece, arriveranno improvvise e inaspettate, offrendo un panorama rinnovato di una terra che pretende uno sguardo attento e curioso. Cogliere l’attimo, questo è il segno dominante della narrazione di Bouvier, che non a caso è anche fotografo. Coglierlo per dare forma ad uno spazio inedito, non ordinato, anzi dentro al quale lo spaesamento, la perdita di ogni certezza, porti ad una nuova e rinnovata, quanto sorprendente, forma di felicità.

© RIPRODUZIONE RISERVATA