Popolizio un one man show epico e lirico, giovedì al Teatro Nuovo di Treviglio

Teatro. Lo spettacolo «Furore» in scena al Tnt, una della più devastanti migrazioni di contadini della storia.

«Raccontando la più devastante migrazione di contadini della storia moderna, Massimo Popolizio dà vita a un one man show epico e lirico, realista e visionario, sempre sorprendente per la sua dolorosa, urgente attualità. Il controcanto è affidato al caleidoscopio di suoni realizzati dal vivo dal percussionista Giovanni Lo Cascio». Così Emanuele Trevi, che ne ha curato l’adattamento, descrive lo spettacolo tratto da «Furore» di John Steinbeck che Massimo Popolizio (ideazione e voce), presenterà giovedì 1 dicembre (alle 21) al Tnt - Teatro Nuovo Treviglio, nell’ambito della rassegna Il teatro, che meraviglia, spettacolo impreziosito dalle creazioni video di Igor Renzetti e Lorenzo Bruno, una produzione Compagnia Umberto Orsini / Teatro di Roma - Teatro Nazionale. « Cosa dire di un capolavoro come “Furore”? Diciamo che questa è una sorta di operazione “fuori catalogo”, - ci dice Massimo Popolizio - in realtà io sono un leggio, perché lo spettacolo è come una specie di grande doppiaggio, come quando si devono doppiare i film, dove do voce a molte immagini di un racconto epico.

“Furore” nasce da una serie di articoli giornalistici che Steinbeck fece sulla condizione dei contadini dell’Oklahoma. Da lì poi nacque il romanzo. La famiglia Joad, che è la protagonista del film che poi ne trasse John Ford, con Henry Fonda, la recuperiamo soltanto alla fine, con un pezzo magnifico». «I protagonisti sono la polvere, i trattori, i venti, l’odio: Steinbeck parla per la prima volta di un grande disastro climatico e dell’emigrazione che ne segue andando alla ricerca di un Eldorado, che è la California, che si rivelerà invece tutt’ altro che un Eldorado».

“Furore” nasce da una serie di articoli giornalistici che Steinbeck fece sulla condizione dei contadini dell’Oklahoma.

«Chiaramente ci dice molto di quello che succede oggi, non ho messo l’evidenziatore ma certamente ci dice molto anzi, è impressionante quanto ci sia vicino e quanto questo tema dell’immigrazione sia un tema di importanza biblica». «Non è un “reading”: no, è una vera e propria opera, io non so fare il teatro di narrazione come sanno fare altri, interpreto, quindi ci sono tante voci, faccio tanti personaggi, do voce a delle figure che sono rappresentate da circa 180 immagini di Dorothea Lange che è la fotografa che fece un reportage incredibile durante tutto il viaggio lungo la Route 66 e do voce alle figure che appaino accompagnato da un commento sonoro pazzesco del percussionista Giovani Lo Cascio che suona una trentina di strumenti, in questo senso dico che non è proprio un reading». Il combinato disposto tra catastrofi naturali e emigrazione oggi è di stretta attualità: «Sì, non l’abbiamo fatto apposta naturalmente, nel senso che lo abbiamo scelto soprattutto per la potenza epica del testo, testo che evoca immagini visive, e le immagini evocate dalle parole sono impressionanti.

«Non è un “reading”: no, è una vera e propria opera, io non so fare il teatro di narrazione come sanno fare altri, interpreto, quindi ci sono tante voci»

Si racconta dei componenti di questa famiglia che non ha un mezzo di trasporto e costruiscono una specie di roulotte con dei rottami di ferro e si mettono sulla Route 66. Aspettano e arriva una berlina che aggancia la roulotte: e qui c’è forse la frase più bella del testo: “Come si può avere un coraggio simile e tanta fede nel prossimo?” questa è la domanda che nessuno si pone quando uno parte, poniamo, dalla Libia: come si fa ad avere quel coraggio? E quanta fede devi avere negli altri? sapendo che puoi morire da un momento all’altro e parti lo stesso. Questa specie di grande domanda che nessuno si pone: quanto coraggio hanno queste persone , forse venuto dalla disperazione, ma quanta fede hanno negli altri?, questo è molto importante, è una domanda che non ci poniamo più, ma Steinbeck ce la pone alla fine di questo racconto: come fanno a essere morti di fame e a sfidare la morte? Quanti di noi riuscirebbero a farlo? Sono le stesse domande che oggi ci poniamo quando vediamo le città senza elettricità e riscaldamento in Ucraina e magari noi ci lamentiamo perché abbiamo due gradi in meno: grassi, pigri, lenti non siamo più capaci di guardare con occhi lucidi quello che sta succedendo ».

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