Atalanta, questo è il dilemma: tridente o non tridente? Analisi dei costi e dei benefici dei due sistemi di gioco

scheda. L’analisi tattica di Gianluca Besana

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T ridente sì o tridente no? Questo è l’argomento che appassiona, e in parte divide, i tifosi nerazzurri. Sì, perché ancora una volta, quando l’Atalanta sembrava aver trovato la sua espressione migliore raccogliendo il consenso di tutti, è giunto un nuovo cambiamento tecnico, in nome della «sostenibilità». “Non sempre l’Atalanta potrà sopportare il tridente”. Così si era difatti espresso Gasperini prima della gara contro il Sassuolo, richiamando in causa un’altra parola, sempre molto in auge nel mondo del calcio: equilibrio. Proprio quell’equilibrio che l’Atalanta sta inseguendo da tempo, ovvero da quando la dirigenza ha deciso che bisognava chiudere con un ciclo per aprirne uno nuovo. Per capire cosa comporta (a livello di equilibri) giocare con il tridente o meno, dobbiamo ripercorrere quanto fatto in campionato dai nerazzurri in questa stagione, partendo proprio dal principio, ovvero le prime otto partite di campionato. Dopo il ritiro di Rovetta, dove l’Atalanta negli allenamenti a porte chiuse aveva provato e riprovato la soluzione con il lancio lungo (si provò spesso il lancio lungo di Koopmeiners per Ederson), l’Atalanta si presentò ai nastri di partenza nella sua versione più cinica e attendista, che la portò a vincere così tanto da issarsi in testa alla classifica di A. Con quella soluzione tattica i nerazzurri si proponevano in una forma speculativa, che andava contro tutte le logiche gasperiniane: baricentro basso, elevato utilizzo del lancio lungo, responsabilità individuali un po’ annacquate in un sistema che prediligeva gli aiuti di reparto, poca pressione offensiva, poco controllo del gioco, ma soprattutto pochi tiri e pochi xG prodotti, appena 1.17 di media a partita.