Locatelli: «Azioni mirate per contenere le varianti, altrimenti si torna indietro»

Franco Locatelli, presidente del Consiglio superiore di sanità e membro del Cts: «Fase delicata». «La prudenza non va allentata. I vaccini sono efficaci, avanti per immunizzare 40 milioni di persone entro giugno»

La tonalità della Lombardia resta gialla. Ma incise nei numeri scorrono venature che pennellano qualche allarme, a cui rispondere con la massima attenzione. Perché dal giallo, appunto, si può tornare indietro all’arancione. Perché le varianti circolano e «pesano». La risposta al diffondersi delle mutazioni del Sars-CoV-2 è dunque un combinato disposto di più elementi: mantenere alta la guardia, accelerare la campagna vaccinale, potenziare il sequenziamento, intervenire chirurgicamente nei territori dove i contagi si moltiplicano. Il professor Franco Locatelli, presidente del Consiglio superiore di sanità e componente del Comitato tecnico scientifico, parla di «fase delicata»: «Ciò che abbiamo ottenuto è importante non venga dissipato da comportamenti improntati a una cattiva interpretazione della situazione», sottolinea nella giornata in cui la cabina di regia nazionale ha deciso le nuove «fasce».

Professore, la Lombardia resta in zona gialla, ma i dati recentissimi inducono una certa preoccupazione.

«Questi dati vanno assolutamente valutati con attenzione. La Lombardia rimane sì gialla, ma teniamo presente, per mantenere alta l’allerta, che l’intervallo superiore di confidenza dell’Rt supera l’1 (è a 1,01, mentre l’Rt puntuale è a 0,97, ndr). È una situazione che non è tale da poterci permettere di allentare ciò che si è deciso a suo tempo. Lo scenario dell’Italia è più favorevole a quella di tanti altri Paesi europei: da qui a dire che possiamo essere tranquilli, assolutamente no. Il fatto che alcune Regioni da gialle siano tornate arancioni rafforza il messaggio della massima prudenza necessaria».

Nel rialzo della curva, incidono di più le riaperture o le varianti?

«Il discorso delle varianti merita assolutamente attenzione. La variante inglese è connotata da una maggior contagiosità. E se anche la capacità patogena non è maggiore, questa diffusività porta comunque a più pressione ospedaliera e a più decessi se i contagi sono maggiori. Di fatto, nello studio condotto nelle giornate 4-5 febbraio la prevalenza nazionale di questa variante inglese ha sfiorato il 18%, con alcune regioni, come Abruzzo o Umbria, con valori anche ben maggiori».

Quali misure si possono adottare? Le zone rosse provinciali sono efficaci?

«Da un lato, è necessario monitorare con grande attenzione la circolazione delle diverse varianti di Sars-CoV-2, in coerenza con raccomandazioni nazionali e internazionali: penso anche all’importanza del sequenziamento, su cui è fondamentale investire. Dall’altro lato, si devono portare riflessioni sulle misure da adottare: l’idea è di agire chirurgicamente, in maniera molto precisa, veloce e puntuale, proprio per evitare che una situazione di criticità si allarghi ad aree limitrofe».

I vaccini sono ugualmente efficaci?

«Va detto a chiarissime lettere che i vaccini sono efficaci anche contro la variante. La strada, anzi, è quella di accelerare il più possibile sui vaccini. Sostanzialmente il Paese è stato in grado di impiegare tutte le dosi che sono state fornite: in ambito europeo siamo il Paese che dopo la Germania ha somministrato più vaccinazioni, e siamo addirittura avanti in termini di soggetti vaccinati anche con la seconda dose».

Dopo le criticità delle scorse settimane, le consegne sono tornate regolari?

«Per quel che riguarda Moderna e AstraZeneca, la situazione è assolutamente regolare: il numero di dosi corrisponde sostanzialmente a quelle pattuite. Con Pfizer c’è il segnale di maggior fornitura. La progressione complessiva in questo primo trimestre è stata di 2 milioni di dosi a gennaio, 4 a febbraio, 8,3 a marzo».

E quante dosi sono in arrivo, a breve?

«Nel trimestre aprile-giugno, avremo ulteriori 23 milioni di dosi di Pfizer e Moderna. Se AstraZeneca riuscirà a mantenere l’impegno preso, dovremo avere altre 22 milioni. Se come ci si aspetta attorno a marzo ci fosse l’approvazione di Johnson & Johnson, che ha il vantaggio di essere a dose singola, e anche l’approvazione di CureVac, avremmo ulteriori 14,6 milioni di dosi. Sommando quelle del primo trimestre, ci avvicineremmo a quasi 80 milioni di dosi entro fine giugno: vuol dire poter immunizzare 40 milioni di persone».

Recentemente si sono avute polemiche sull’efficacia dei vaccini. Qual è la performance dei sieri in corso di approvazione?

«Johnson & Johnson è stimato attorno al 70%, un buon valore, mentre per CureVac non sono ancora disponibili questi dati. Quando ragioniamo su questo tema, va ribadito che già ora vi è evidenza dell’efficacia del vaccino: tra gli operatori sanitari, la categoria vaccinata per prima, si osserva una marcatissima riduzione percentuale dei soggetti contagiati. E oltre che efficaci, i vaccini sono sicuri. Queste osservazioni devono fornire ulteriore incentivo all’adesione».

E Sputnik V, il vaccino russo? L’Italia può puntare anche su quello?

«Il dato pubblicato su Lancet, una delle prime riviste scientifiche al mondo per affidabilità, indica una capacità protettiva sopra il 90%. Penso che dobbiamo avere un atteggiamento laico: non importa da dove il vaccino viene, dobbiamo solo attenerci alle prove scientifiche».

Guido Bertolaso ha annunciato di voler vaccinare tutti i lombardi entro giugno: è fattibile?

«È chiaramente una grande sfida e un orizzonte particolarmente impegnativo. Me lo auguro, però teniamo presente che è una sfida decisamente importante».

A proposito di Lombardia: le tensioni tra Pirellone e Roma si sono risolte?

«La collaborazione credo ci sia sempre stata, e credo continui a esserci. L’articolazione dei piani regionali non può a mio parere prescindere da passaggi di interazione tra Regioni e organismi centrali, nel caso specifico il ministero della Salute. Fatte salve le peculiarità regionali, che indubitabilmente ci sono e vanno anche valorizzate, è importante mantenere una strategia comune, affinché anche la campagna vaccinale non diventi un’occasione di divisione tra chi ha la fortuna di vivere in regioni maggiormente performanti e chi no».

Nel dialogo tra Regioni, però, alcuni governatori stanno facendo uno scatto avanti cercando di acquistare autonomamente vaccini. Si mina un principio di solidarietà?

«Su una tematica come questa, il meccanismo di approvvigionamento dovrebbe assolutamente rimanere su scala nazionale, per evitare diseguaglianze e disparità. È stata una scelta assolutamente oculata aderire al meccanismo di procurement europeo: trovo singolare che si voglia passare a un meccanismo invece diverso tra Regioni».

Con quale ordine di priorità si procederà, nella fase massiva della campagna?

«È stato molto importante lo sforzo di identificare le categorie di quelle persone estremamente vulnerabili a cui garantire per prime la vaccinazione, con i sieri accreditati di maggior capacità protettiva. Si tratta di 2,1 milioni di persone in Italia con patologie molto gravi: per esempio fibrosi polmonari, scompensi cardiaci in fase avanzata, malati oncologici, soggetti con sindrome di Down, chi ha ricevuto trapianto di organo solido o è in attesa, i soggetti grandi obesi, i 50 mila dialitici».

Il cambio di governo ha impattato sull’attività di contenimento della pandemia?

«In maniera risoluta, dico di no. L’attività degli organi tecnici sono andate avanti senza essere minimamente sfiorate da questo passaggio. Anche l’interazione con le Regioni è proseguita nella maniera abituale. Il ministro Speranza? Mi sono in passato pubblicamente esposto nel dire che ritengo che il ministro Speranza abbia lavorato con passione e competenza, e ne confermo il giudizio».

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