Le notti bianche delle guardie mediche tra attese e stress

IL RACCONTO. Viaggio nel cuore della crisi della Continuità assistenziale. Pazienti in cerca di un consulto fino alle tre del mattino e medici tempestati di richieste.

«Le luci dentro sono accese, qualcuno ci dev’essere per forza». «Non si fa così… Avevo un appuntamento 20 minuti fa, ma non è ancora uscito nessuno». «Io sono prima di lei, signora. L’appuntamento l’avevo alle 21.45». «Va bene, io torno al pronto soccorso». «Ma avete provato a richiamare il 116.117?».

Arriviamo all’entrata della continuità assistenziale – una qualsiasi delle poche rimaste operative – in una qualsiasi sera della settimana. Ci sono otto persone che aspettano, quasi tutte con l’appuntamento. Nel giro di cinque minuti se ne vanno in due. Passano altre sei-sette minuti, poi nel parcheggio si ferma un’auto. Qualcuno riconosce il medico: «Per fortuna è arrivato dottore, è almeno mezz’ora che non esce nessuno». «Chi è il prossimo?».

Consulti volanti

Ci mettiamo poco a capire che da dentro non sarebbe mai uscito nessuno. Il medico appena rientrato è l’unico di guardia e ha dovuto «abbandonare» la sua postazione per una visita a domicilio, lasciando la sede vuota per un po’. Quarantacinque minuti per un salto a casa di un’anziana signora da stabilizzare. Non c’era nessuno: nel frattempo sono arrivate 12 telefonate; la metà si sono risolte con un rapido consulto al volante, agli altri pazienti è stato fissato un appuntamento che inevitabilmente è slittato di qualche minuto.

Passano due ore, la coda fuori dall’ex guardia medica è costante. Ci sono notti in cui si smaltisce in fretta, altre in cui un medico da solo non ce la fa

Passano due ore, la coda fuori dall’ex guardia medica è costante. Ci sono notti in cui si smaltisce in fretta, altre in cui un medico da solo non ce la fa. Qualcuno prova ad entrare forzando la maniglia, perde la pazienza, inizia a imprecare. Un altro arriva, si attacca al campanello e finché il dottore non gli dice che c’è da aspettare fuori, non la pianta. Dopo ogni visita, il medico accompagna il paziente all’uscita dello stabile e chiama il successivo. Bisogna evitare che qualcuno entri nella sala d’attesa: dovrebbe esserci una guardia, ma non sempre è presente. Per il medico di turno, molto spesso alle prime armi, è il momento più difficile. «Ho paura, certo. Di notte arriva di tutto, quelli che prenotano, ma anche quelli che si presentano coi nervi a fior di pelle e pretendono di essere visitati immediatamente». Sono quasi le 3 del mattino quando anche l’ultimo paziente lascia la continuità assistenziale. Per qualche minuto il telefono smette di squillare.

«Di notte arriva di tutto, quelli che prenotano, ma anche quelli che si presentano coi nervi a fior di pelle e pretendono di essere visitati immediatamente».

«Situazione insostenibile»

«Dalle 20 alle 22 abbiamo ricevuto 38 chiamate – racconta –; la situazione è insostenibile, sia per noi che per i pazienti. Rispondiamo mentre stiamo visitando e magari c’è fuori gente che urla perché i tempi si allungano. Che qualità possiamo garantire a queste persone?». Dai tabulati dell’ultimo fine settimana si contano decine e decine di accessi notturni: ci sono minuti in cui arrivano addirittura due telefonate. Se non si riesce a rispondere, c’è una casella che si colora di rosso e quella richiesta di soccorso va presa il prima possibile.

«Dalle 20 alle 22 abbiamo ricevuto 38 chiamate la situazione è insostenibile»

Chiama una signora con un forte mal di testa a due giorni da un incidente domestico; il medico le consiglia di chiamare un’ambulanza, lei non è convinta. «Signora, gliela chiamo io?», dice. Poi riattacca. «Speriamo che si faccia portare da qualcuno, come ha detto, ha bisogno di una Tac».

Questa notte i vicariamenti sono «solo» 4, tradotto: il medico di questa continuità assistenziale deve coprire altre tre sedi scoperte, per un territorio che si avvicina a 50 Comuni. «Ma ci sono notti in cui da soli facciamo il lavoro di 8 persone e veniamo pagate per una e mezza», racconta il dottore tra uno squillo e un altro. Così tardi sono (per fortuna) quasi solo consulti telefonici. M a di riposare un po’ non se ne parla. «Una volta si riusciva, anche tutte le notti. Ma eravamo il triplo e non arrivava quasi nessuno dal pronto soccorso».

Emergenze e reparti

Eccolo, un altro problema: i reparti di emergenza e urgenza degli ospedali sono tornati ai livelli d’accesso pre-Covid: chi si presenta all’ex guardia medica sono i codici bianchi e verdi, quelli meno gravi, che magari aspettano in pronto soccorso dal pomeriggio. E sono anche quelli che non prenotano. «Sono le persone più arrabbiate – ci dice il medico di guardia –, perché hanno già aspettato delle ore e non hanno ricevuto l’assistenza che desideravano. Arrivano qui e scaricano la rabbia su di noi, come se fossimo responsabili della loro attesa. Senza di loro e senza chi arriva per farsi fare un certificato di malattia, la situazione sarebbe diversa». Ma anche se le sedi della continuità assistenziale sul territorio, che Ats ha detto di non voler chiudere «ufficialmente», fossero presidiate da qualcuno in presenza e non solo da remoto.

«È massacrante. Ci sono notti con 50-60 accessi, tra visite e consulti, altre più tranquille, ma sono rare»

Il boom di chiamate riprende alle prime luci dell’alba, in genere verso le 6 del mattino e molto spesso per i certificati di malattia di persone che ne hanno bisogno con urgenza. E ricomincia il viavai. «Arriva soprattutto chi non ha il medico di base – ci dicono –. Noi possiamo prescrivere solo un giorno di riposo, massimo due. E se abbiamo qualche posizione aperta alle 8, dobbiamo per forza chiuderla prima di andarcene». Così i turni di 12 ore - senza pausa - diventano di 13, 14. «È massacrante. Ci sono notti con 50-60 accessi, tra visite e consulti, altre più tranquille, ma sono rare. Dobbiamo rispondere al telefono, parlare con gli operatori e con i pazienti, fissare gli appuntamenti, provvedere alla parte burocratica, rispondere al citofono e accompagnare fuori dalla sede ogni paziente, per evitare che la gente innervosita entri nell’edificio. E quando ci allontaniamo per una visita a domicilio, il lavoro si accumula. Per forza la gente scappa o si mette in malattia: non c’è flessibilità, i turni non si possono cambiare e siamo costretti a farne due alla settimana». La visita o il consulto in sé occupano meno tempo rispetto a tutte le altre incombenze, ma non essendoci nessun altro, i medici si devono arrangiare.

Le sedi e le visite

Un’ipotesi per migliorare le loro condizioni di lavoro c’è, anche se probabilmente non basterà a risolvere la situazione. I medici in servizio in una notte sono una decina su 27 sedi; molte sono chiuse e chi chiama viene reindirizzato sul medico più vicino, che magari si trova a 20-30 chilometri. «Se capita una visita a domicilio anche in un posto così lontano, dobbiamo lasciare

La coperta è corta, anzi cortissima. Ci raccontano che la maggior parte dei medici in servizio sono neolaureati alla loro prima esperienza

tutto e andare. Io però in montagna non ci vado. Per fortuna la visita di stasera era qui vicino». La coperta è corta, anzi cortissima. Ci raccontano che la maggior parte dei medici in servizio sono neolaureati alla loro prima esperienza. A una giovanissima dottoressa, qualche settimana fa, è stato affidato un servizio di notte da sola come prima volta, in un weekend. Non aveva mai fatto una ricetta, non le erano state fornite le credenziali per entrare nel circuito e non aveva mai aperto il sistema operativo. Ha preteso (e ottenuto) dall’Ats di essere affiancata a un collega più esperto, ma ha dovuto puntare i piedi. «So che ha fatto qualche ora di volontariato per prendere un po’ confidenza con il pc e con l’atmosfera che si respira in questi ambulatori. Non mi stupirei se tra qualche settimana presentasse le dimissioni», conclude il medico.

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