Giovani avvocati, sì all’equo compenso ma in Bergamasca crollo dei praticanti

IL FENOMENO. In tre anni ridotti da 309 a 208 i laureati che si affacciano alla professione forense. Marchesi: «Garantire la redditività». Foglieni: «Calo drastico con l’abrogazione delle tariffe».

È un passo in avanti sulla strada dei diritti e della dignità professionale. Ed è anche – negli intenti – un percorso per rilanciare l’attrattività a un lavoro che sembra inaspettatamente perdere appeal tra i più giovani.

Nei giorni scorsi il Parlamento ha approvato la legge sull’equo compenso, che riconosce a tutti i professionisti autonomi – sia quelli iscritti a un Ordine sia quelli legati a professioni non regolamentate – il diritto a una remunerazione equa, adeguata «alla qualità e alla quantità del lavoro svolto». Una battaglia, questa, portata avanti soprattutto dai giovani avvocati.

Il punto di partenza è nei numeri: a livello nazionale, secondo la ricerca appena presentata da Cassa Forense e Censis, il 40% degli avvocati dichiara meno di 20mila euro, e i giovani sono appunto i più penalizzati. Il riflesso è in quanti si avvicinano alla professione: in Bergamasca attualmente risultano iscritti all’Ordine 2.059 avvocati e 208 praticanti; al 21 febbraio 2020, ad esempio, gli avvocati erano 2.023 e i praticanti 309. Se gli avvocati «senior» reggono, in poco più di tre anni i praticanti si sono invece ridotti di circa un terzo (-32,7%).

La legge sull’equo compenso

La legge fresca di approvazione è ancora un primo passo, perché limitata nell’applicazione solo ad alcuni committenti: le pubbliche amministrazioni e le grandi imprese (cioè le imprese con più di 50 dipendenti o con fatturato annuo superiore ai dieci milioni di euro). In sostanza, questi committenti dovranno riconoscere ai professionisti delle parcelle adeguate «alla qualità e alla quantità del lavoro svolto». E chi non lo rispetta? È previsto un sistema di sanzioni.

A esprimere soddisfazione per la legge è l’Aiga, l’Associazione italiana giovani avvocati, che già negli anni scorsi aveva sensibilizzato le forze politiche: «La necessità di un intervento normativo in materia di equo compenso per lo svolgimento di attività professionali è stata ribadita dall’attuale legislatura, tanto che già nei primi 100 giorni del nuovo governo sono state subito presentate altre quattro identiche proposte di legge – ricorda il vicepresidente nazionale dell’Aiga, il bergamasco Carlo Foglieni - che ripropongono integralmente il testo proposto nella precedente legislatura». Quando definitivamente approvato ora dalla Camera, prosegue Foglieni, «richiama il diritto a una giusta retribuzione correlata alla qualità e alla quantità del lavoro prestato previsto dall’articolo 36 della Costituzione, partendo dall’assunto che l’abrogazione delle tariffe professionali a opera del Decreto Bersani (2006, ndr) prima e Decreto Monti (2011, ndr) ha comportato un crollo drastico dei redditi degli avvocati, soprattutto quelli più giovani».

Se questo è un primo passo, resta ancora evidente «la necessità di introdurre nel nostro ordinamento il principio del “compenso minimo inderogabile” – conclude Foglieni -. È indubbio che la dignità e il decoro della professione passino inevitabilmente dal riconoscimento di un compenso equo, oltre che da soglie minime inderogabili».

La «vocazione»

Una «lunga marcia dell’avvocatura», la definisce Giulio Marchesi, presidente dell’Ordine degli avvocati di Bergamo: «I decreti che abolirono le tariffe forensi hanno portato a un mercato non regolamentato, in cui gli avvocati sono diventati facili prede dei committenti forti, che imposero fin da subito convenzioni e condizioni che sono andate via via aggravandosi. Anche la pubblica amministrazione non si è sottratta a questo gioco al massacro. La legge è sicuramente un passo avanti, ma non è certamente il passo definitivo».

Avvocato, professione attrattiva?

Ma è ancora una professione attrattiva, quella dell’avvocato? «È una professione di cui da giovani ci si innamora – sorride Marchesi - per i costanti stimoli intellettuali. Ma per i giovani è sempre più complessa, perché non viene garantito un minimo di redditività per pensare di avviare un’attività autonoma. C’è da ripensare più completamente la professione, sin dall’ingresso in università. Si può pensare al numero chiuso, ma è complesso programmare oggi quanti avvocati serviranno tra 10-15 anni».

E se i praticanti calano, è però anche per altri motivi: «Negli ultimi anni c’è stato anche un certo assorbimento dei laureati in Giurisprudenza da parte delle pubbliche amministrazioni. Anche un’innovazione come l’Ufficio del processo ha portato i giovani laureati a scegliere un altro percorso. Ma sullo sfondo – conclude il presidente dell’Ordine degli avvocati – ci sono anche motivazioni più ampie, penso all’erosione del ceto medio e alla società che si divide sempre più tra i ricchi e tra chi stenta».

© RIPRODUZIONE RISERVATA