Cinque bergamaschi alla Dakar
Si parte il 5 gennaio: «Sarà un’avventura»

Carrara (auto), Bellina, Minelli, Gotti e Verzeletti (camion) in Arabia Saudita. «La sabbia sarà il principale ostacolo. Obiettivo: arrivare in fondo».

Due team, tre camion e cinque concorrenti: anche quest’anno la partecipazione dei bergamaschi alla Dakar (42ª edizione), al via il 5 gennaio da Jeddah (Arabia Saudita), è tra le più folte d’Italia. Tre di questi saranno alla guida: Claudio Bellina di Trescore Balneario sul Daf X2223 del team Italtrans di Calcinate, Marco Carrara di Paladina sulla Mitsubishi Pajero WRC mentre Giulio Verzeletti di Telgate si alternerà con Antonio Cabini al volante del Mercedes Unimog 400 dell’Orobica Raid. Quest’ultima formazione, con sede a Chiuduno, schiera anche un secondo camion, il Man AG 4x4 affidato a Paolo Calabria. Sul camion Italtrans invece il navigatore è Giulio Minelli di Costa Volpino e il meccanico a bordo Bruno Gotti di Valbrembo.

L’unico esordiente dei cinque nonché l’unico ad essersi affidato ad un team non orobico è Marco Carrara, 54enne cresciuto ad Aviatico: «Volevo correre la Dakar e mi sono informato su chi potesse fornirmi una vettura pronto gara e con l’assistenza: così mi sono rivolto all’R Team di Renato Rickler che vanta più di 20 anni di esperienza nelle competizioni Rally Raid e ha la sede a Massarosa, Lucca».

Carrara gareggia in auto dal 2008: «Ho iniziato a correre tardi, a 43 anni, per il discorso che accomuna tanti, la mancanza di sponsor. Prima in pista, con qualsiasi cosa avesse quattro ruote, dai maggioloni alle Porsche. Poi mi sono orientato sui rally e dal 2017 ne faccio alcuni in Croazia perché ho fornitori in quella nazione e perché mi diverto».

L’esperienza nei rally manca invece al bicampione del mondo di Formula 1 Fernando Alonso, anch’egli all’esordio alla Dakar: difficile riesca subito ad imporsi tra le auto (130 al via, 147 invece le moto, 46 i camion, 23 i quad) nonostante gareggi con il team più ricco (Toyota Gazoo Racing) e disponga di una delle vetture migliori del lotto (Toyota Hilux). «Vincere subito – ha dichiarato alla tv spagnola – sarebbe audace solo pensarlo, persino Sébastien Loeb, il miglior rallista di sempre, non è riuscito a vincere la Dakar. E io vengo dall’asfalto».

Ma anche per Carrara, che pur vanta un passato nei rally su terra, non sarà una passeggiata: «Io sono solito andare forte, mentre queste auto sono diverse. È come essere abituati con un motoscafo e poi ritrovarsi a manovrare una nave: ad ogni input che dai ottieni una risposta più lenta delle auto da rally. Me ne sono accorto nei test in Tunisia e in Oman, oltre che alla Baja in Turchia».

Un’altra preoccupazione di Carrara, condivisa con molti dei partecipanti, è la durata dell’edizione 2020 della Dakar: 7.500 km di cui due terzi di prove cronometrate da coprire in 12 giorni, con l’aggravante costituita da 5.600 km di sabbia. «Troveremo dune altissime – prosegue Carrara – la sabbia può diventare un incubo perché basta insabbiarsi due o tre volte al giorno per rendere una tappa ancora più pesante di quello che è, sprechi molte energie». Anche perché gli farà da navigatore Maurizio Dominella, che avendo 63 anni non potrà garantire lo stesso sforzo fisico con badili e crick di un ventenne.

Carrara è amico di Gotti che ha esordito l’anno scorso alla Dakar, con gli stessi compagni di quest’anno. Nel 2019, in Perù, il team Italtrans fu appiedato all’ultima tappa dalla rottura della frizione. «Il camion è lo stesso – spiega il 56enne Minelli, il più giovane del trio (Bellina ha 57 anni, Gotti 58) – ma abbiamo trasformato il cassone, spostando i serbatoi al centro, abbassando le ruote di scorta per avere il baricentro più basso e modificando i parafanghi che così non dovrebbero rompersi nelle dune». Minelli ha vinto la Dakar del 1986 insieme all’altro bergamasco Giacomo Vismara, ma i tempi sono cambiati: «Non possiamo competere con i migliori perché abbiamo un camion di 15 anni, con la metà della potenza degli ufficiali. Il nostro obiettivo è arrivare alla fine, la classifica la guarderò solo al traguardo. Per questo quando Claudio raggiunge i 140 km/h gli dico di andare piano. Meglio non rischiare di cappottare».

Ha invece una decina di anni alle spalle l’Unimog del 62enne Verzeletti che alla Dakar ha esordito nel lontano 1986: «Un tempo la Dakar era la gara degli amatori e i nuovi regolamenti sulla consegna dei roadbook al mattino rappresentano un ritorno alle origini perché portano un riequilibrio. Ci piace anche l’approdo in Arabia, è un percorso che ricorda le origini africane e siamo curiosi di sapere se si aprirà al mondo occidentale». Gli organizzatori hanno informato tutti i 346 equipaggi di usanze e divieti in vigore nel Paese che li ospiterà: «Eviteremo di portare cose offensive per la loro religione. E per l’alcool non ci sono problemi, essendo camionisti noi non beviamo già di nostro. Il nostro obiettivo è arrivare il 17 gennaio a Qiddiya, io e Antonio saremmo tra i pochi ad aver finito la Dakar in Africa, SudAmerica e Arabia».

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