Tra le vittime della guerra c’è la verità

MONDO. Da quando le guerre con la leva di massa chiamano a combattere l’intero popolo, soprattutto dopo che a partire dalla prima guerra mondiale si è abbattuto il confine tra militari e civili, il peso dell’opinione pubblica è diventato determinante per l’esito di ogni conflitto.

Le guerre si combattono ormai con un arsenale di armi, anche improprie, via via arricchitosi con lo sviluppo prodigioso della tecnologia. All’inizio, per mobilitare i propri cittadini, c’erano solo carta stampata, manifesti e opuscoli. Col tempo si sono aggiunti sempre nuovi strumenti di propaganda: dalla radio alla televisione, dal cinema al web, ai social. Parallelamente al ventaglio degli strumenti, si è allargato il campionario delle forme con cui i governi possono influenzare l’opinione pubblica. La forma più drastica è la censura. Vengono poi modalità più sofisticate: fake news, manipolazioni, contraffazioni, fino a vere e proprie falsificazioni che permettono di allestire l’intelligenza artificiale. Sono operazioni sempre più facili da sviluppare ed efficaci nel condizionare, persino nell’indottrinare l’opinione pubblica. Il meccanismo su cui più fanno affidamento gli stati maggiori della propaganda è la cosiddetta «distorsione cognitiva», detta dagli psicologi «bias di conferma». Si tratta di una perversa inclinazione della mente umana che porta a considerare veritiere le informazioni che corrispondono alle convinzioni consolidate e a rifiutare le notizie che le smentiscono.

Gli esempi si sprecano. Clamorosi i casi offerti dalla nostra storia recente. Nel 2001 le televisioni di tutto il mondo hanno avuto un bel diffondere per giorni e giorni riprese dell’attacco terroristico alle Torri Gemelle. Non è bastato a convincere tutti. Per molti era solo una messa in scena del perfido Stato a stelle e strisce per avere il pretesto di scatenare l’ennesima guerra imperialista. Un anno fa, non è bastato offrire la documentazione video degli orrori perpetrati in Ucraina, a Buča, dagli invasori russi per vincere lo scetticismo di chi restava convinto (senza bisogno di prove) che fosse tutta una recita organizzata dall’ex comico Zelensky per addossare a Putin gli orrori della guerra provocata dalla Nato.

È di questi giorni l’imputazione all’aviazione israeliana della terribile carneficina consumatasi in un ospedale palestinese, non solo prima di avere anche uno straccio di prova, ma addirittura rifiutando di prendere in considerazione qualsiasi elemento che, se non comprova il contrario, suscita almeno qualche dubbio in proposito. Niente da fare. La passione oscura l’intelletto. Il pregiudizio soffoca il giudizio. Anche quando si cerca di farsi un giudizio con la necessaria riflessione, può scattare un altro perverso meccanismo, che potremmo chiamare, retorico. Si può riassumere con una semplice formula: «Sì, ma». Si, è vero che Putin ha invaso l’Ucraina, ma è stato provocato. Si, è vero che i tagliagole di Hamas hanno braccato dei civili inermi palestinesi, violentato donne, decapitato bambini, sequestrati quanti più potessero, ma Israele ha fatto di Gaza un carcere a cielo aperto. Non c’è mai un’azione che non sia reazione di un’azione precedente, per cui si arriva alla comprensione/assoluzione dei responsabili di un misfatto. Pensavamo che il web ci avrebbe reso tutti più informati. Invece, la rete è diventata il regno della disinformazione o, meglio, dell’informazione taroccata che fatichiamo o rifiutiamo di verificare. Detta legge la dinamica di gruppo (echo chambers, camera dell’eco) che ci porta a interagire con i soli individui con cui condividiamo le stesse opinioni. C’è di più. Il danno che non riusciamo a procurarci da soli, ci pensano gli algoritmi della rete a procurarcelo. Questi provvedono a creare dei filtraggi (filter bubble, bolle di filtraggio) delle notizie comunicateci, in linea con i comportamenti online da noi tenuti, in modo da poter rifilarci annunci pubblicitari mirati, volti a indirizzare i nostri consumi. La guerra fa molte vittime. La prima è la verità.

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