Suicidio, quando
la parola spaventa

Di tematiche educative riguardanti gli adolescenti e i giovani ce ne sono parecchie. In questo periodo si discute molto dei gesti aggressivi, di violenza, di superficialità. Si parla molto di problematiche legate alla relazione che possono arrivare a sfociare nel ritiro sociale, o nei disturbi alimentari. C’è però un tema che preferiamo non vedere, o forse è meglio dire che proviamo a tenere nascosto: il suicidio. Solo la parola spaventa, rimanda immediatamente alla nostra fragilità, alla nostra impotenza di fronte ad un gesto che non riusciamo a capire e che fa soffrire più di ogni altra morte, perché fa nascere in noi la domanda: «Potevo fare di più?». Si ha paura che parlandone qualcuno trovi il coraggio di imitare questo gesto, o forse si ha paura di dover affrontare il nostro limite, la nostra incapacità di parlare.

È più semplice trovare una causa esterna a noi di fronte alla morte di qualcuno, piuttosto che sentirsi colpevoli. I dati di questi ultimi mesi che riguardano adolescenti e giovani che hanno tentato il suicidio o che si sono suicidati, sono in aumento. Manca la terra sotto i piedi se ci fermiamo a guardare, viene a mancarci una logica che ci accompagna ordinariamente. Eppure i ragazzi ci pensano; eppure i ragazzi ne sentono parlare. Purtroppo, però, a fatica trovano spazi per parlarne.

Tra le ultime serie comparse su «Netflix» ha spopolato «Strappare lungo i bordi» di Zerocalcare, un cartone animato molto bello e crudo allo stesso tempo. Tutti parlano della capacità dell’autore di far capire le difficoltà della vita, ma pochissimi hanno la forza di dire che quella serie invita chiunque a parlare e ad ascoltare, proprio sul tema del suicidio.

È una serie in cui l’autore condivide il suo percorso, in cui parla di quello che lui ha vissuto con il suicidio della sua amica. Già, questa serie dice chiaramente che noi adulti dobbiamo imparare ad ascoltare. Non a parlare, ma ad ascoltare. A livello educativo, di fronte a questa realtà che ci spaventa e ci lascia completamente disarmati, non dobbiamo fare grandi discorsi ma creare spazi, momenti di ascolto e confronto per aiutare i ragazzi a vivere la loro vita, sapendosi amati e preziosi così come sono.

Il silenzio, le «prediche» che si possono creare in risposta al suicido di qualcuno, sono deleteri e probabilmente creano più danni che benefici. Il coraggio e la forza di mettersi in ascolto, permette ad ogni persona, soprattutto ai ragazzi, di trovare la forza di «buttare fuori» quello che sta provando e pensando, arrivando così a condividere il dolore, e a non sentirsi sola.

A noi adulti, chiamati a educare, si fa sempre più forte la necessità di sottolineare la bellezza di ogni singola persona, la sua preziosità, e il bisogno di non far sentire solo nessuno.

È l’attenzione che Dio ha su ogni uomo, nessuno escluso, proprio come ricorda il Salmo 8: «Se guardo il tuo cielo, opera delle tue dita, la luna e le stelle che tu hai fissate, che cosa è l’uomo perché te ne ricordi e il figlio dell’uomo perché te ne curi? Eppure l’hai fatto poco meno degli angeli, di gloria e di onore lo hai coronato…».

Per Lui siamo così preziosi da essere tutti uguali, nessuno solo e preziosi più di ogni cosa.

Uno sguardo che dobbiamo imparare a fare nostro.

Uno sguardo che i nostri ragazzi ricercano.

Uno sguardo che permette di superare ogni cosa, anche la voglia di sparire per sempre.

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