Se ricerca e giustizia
vanno a due velocità

La parola autarchia possiede un retrogusto sinistro perché è associata al periodo nefasto del Ventennio fascista, ma per certi settori, come quello sanitario o farmaceutico, dovremmo riconsiderarla alla luce della pandemia. Basta tornare indietro al marzo 2020, quando di fronte al contagio e ai primi malati l’Europa ancora balbettava, le mascherine e il materiale di protezione li producevano solo i cinesi e i carichi di materiale sanitario e dell’ossigeno venivano bloccato alle frontiere dagli Stati, in barba a Schengen e alla libera circolazione delle merci in nome della salute pubblica.
Di questa «autarchia sanitaria» necessaria fanno parte anche i vaccini. Per fortuna ne abbiamo a sufficienza. L’Unione europea ha appena firmato un contratto per 1,8 miliardi di dosi Pfizer e Moderna per il prossimo anno e all’Italia ne spettano 250 milioni. Ma questo non ci esime dall’approntare un vaccino italiano. Era quello che stavamo facendo, con l’antidoto ReiThera giunto alla fase 3 della sperimentazione condotta dall’azienda biotech di Castel Romano, nel Lazio.

Ma come è noto una sentenza della Corte dei Conti ha bloccato il decreto di finanziamento necessario ad andare avanti nella sperimentazione, pare per un «vizio di forma» del contratto. Le indiscrezioni parlano di anomalie nelle procedure di selezione del progetto e nei criteri di erogazione. Il ministero dello Sviluppo economico non ha nessuna intenzione di rinunciare ma per fare ricorso deve aspettare 30 giorni per esaminare le motivazioni della sentenza. Sconcerto tra i ricercatori che si devono fermare e i volontari già sottoposti alla sperimentazione, come lo scrittore Gianrico Carofiglio. Insomma, il caos. E tutto questo per un sospetto vizio di forma.

Si direbbe che la macchina della giustizia e quella della ricerca girino a velocità diverse in questa faccenda del vaccino italiano ma in questo caso, con tutto il rispetto per la magistratura, è la seconda che deve fare da battistrada alla prima. Il Covid ci ha cambiato la vita e sottoposto a sollecitazioni mai viste né pensate prima: non possiamo pensare di muoverci con le stesse leggi e le stesse procedure pre-Covid, perché il virus non aspetta le decisioni dei giudici e qui si tratta di produrre un vaccino, non di costruire un ponte o un’autostrada.

Si dirà che per fortuna l’Italia dispone di ampie scorte di siero, attualmente disponibile in quattro tipi: Pfizer, Moderna AstraZeneca e Johnson&Johnson. A fine maggio si aggiungerà il vaccino tedesco Curevac, come ha annunciato il commissario straordinario Figliolo e quindi non ci sono rischi di approvvigionamento. Ma un vaccino italiano ci serve egualmente. Innanzitutto per metterci al riparo in futuro dalle bizze di Big Pharma, come è puntualmente avvenuto nei mesi scorsi, poi perché ci saranno i richiami (si parla addirittura di una terza dose «booster», in pratica un rinforzo, e soprattutto pare che dovremo vaccinarci tutti gli anni per evitare le numerose varianti in circolazione).

Ci potrebbe essere una nuova epidemia o pandemia e sarà meglio non farci più trovare impreparati come lo scorso anno. Per non parlare del fatto che un sistema di ricerca che produce un vaccino così importante (e il nostro pare che non abbia nulla da invidiare a quelli già presenti) fa da traino a tutto il settore, crea posti di lavoro nel campo delle aziende biotecnologiche a tutti i livelli, indotto sanitario compreso, e ci evita di essere dipendenti da produzioni straniere. Se non la vogliamo chiamare autarchia chiamiamola autonomia vaccinale, che è lo stesso. Giudici permettendo.

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