Previsioni di spesa, l’ora di scelte consapevoli

ECONOMIA. Nel Documento di Economia e finanza, o Def, uno dei documenti più importanti per la programmazione della politica economica nazionale, il Governo dovrà tracciare - come ogni anno - gli indirizzi delle proprie politiche pubbliche per la crescita e gli impegni che intende osservare per risanare i conti pubblici e rispettare i vincoli europei.

Il ministro dell’Economia, Giancarlo Giorgetti, ha fatto sapere che tale documento sarà presentato entro i primi dieci giorni di aprile, che il suo contenuto sarà «assai asciutto» e che «ci saranno numeri interessanti, comunque». A partire da questi pochi indizi, cosa è legittimo attendersi dunque?

In primo luogo è probabile che, dopo anni di colpi di scena più o meno subiti dal nostro Paese, quantomeno nella parte analitica-descrittiva del prossimo Def saranno assenti le sorprese. Quelle negative, si spera, come la continua e in parte inattesa lievitazione dei costi associati al super-bonus edilizio: una sorpresa che ha portato il rapporto deficit/Pil, lo scorso anno, dal 5,3% atteso al 7,2%. Come pure è auspicabile che, complice la discesa dell’inflazione e l’avvio di una politica monetaria un po’ meno restrittiva, non si rinnovi l’inattesa contrazione dei consumi finali che si è registrata negli ultimi mesi dello scorso anno. Allo stesso tempo, sarebbe saggio non fare affidamento sulle sorprese positive che pure non sono mancate negli scorsi mesi: dalla sorprendente tenuta dell’export italiano nel 2023, in un anno complicato per gli scambi internazionali, alla crescita del Pil che nel 2022 è stata ben superiore alle attese (+4% il dato definitivo) e nel 2023 un po’ migliore di quanto previsto nelle ultime settimane dell’anno (+0,9%).

Seppur da una parte verranno meno tutte queste sorprese, nel prossimo Def invece non scompariranno alcune certezze granitiche che ormai caratterizzano la nostra economia. Per esempio l’enorme peso, certificato ancora una volta ieri dall’Inps, della spesa dedicata alla previdenza. Lo scorso anno infatti sono stati erogati per pensioni 269,6 miliardi di euro, con un aumento del 6,34%, mentre sono arrivati nelle casse dell’Istituto versamenti contributivi per 214,6 miliardi di euro. Sarebbe irresponsabile, di conseguenza, tornare a discutere di chissà quale allentamento delle maglie in materia pensionistica. Un altro moloch con cui dovremo continuare a fare i conti è ovviamente quello dell’indebitamento pubblico, arrivato a sfiorare – secondo la Banca d’Italia – i 2.850 miliardi di euro. Considerati questi ordini di grandezza, tra risorse già «bloccate» ogni anno per garantire diritti acquisiti o «chieste» in prestito ai creditori, si comprende perché l’esecutivo, secondo alcune anticipazioni, punterebbe a limare il deficit annuo appena sotto il 4,5% del Pil, comunque una soglia elevata se confrontata alla media europea. Non a caso il ministro dell’Economia Giorgetti, in Parlamento, due giorni fa ha già avvertito: «Essendo terminata a fine 2023 la sospensione del Patto di Stabilità e Crescita, introdotta a seguito della pandemia e prorogata per la crisi energetica, in base all’indebitamento netto registrato dall’Italia lo scorso anno è scontato che la Commissione europea raccomanderà al Consiglio di aprire una procedura per disavanzo eccessivo nei confronti del nostro come di diversi altri Paesi».

In definitiva, e al netto degli obiettivi su cui il Governo deciderà dunque di impegnare i soldi pubblici a disposizione, insistendo auspicabilmente su sgravi per i lavoratori e finanziamenti alla sanità, c’è da sperare che il prossimo Def possa offrire un momento di riflessione, alla nostra classe politica, per rigettare definitivamente certi eccessi di uno statalismo senza più risorse e abbracciare la scommessa del mercato sul fronte della crescita e della produttività.

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