Non lasciamo i giovani
in sala d’aspetto

«Senza» si muore. Papa Francesco scuote i ragazzi di oggi e alza la voce nel centro del mondo, Canale di Panama, rotte miliardarie dove passa l’economia e dove s’ingolfano le angosce e le impotenze di un mondo in crisi. Panama è una metafora, passaggio e blocco, sogni e illusioni, tutto intrecciato e insieme imbrigliato dalle leggi che governano la crisi. Sembrano immutabili.
In realtà amplificano lo sbandamento e la corsa verso il baratro. Trent’anni fa quando crollò il muro più evocativo della storia, ma non il peggiore come questi anni ci hanno insegnato, sembrava che la libertà dei popoli e delle persone avesse trionfato. Qualcuno pensò addirittura di avere vinto sulla storia per aprire una lunga fase di felicità e di successi. Non è accaduto. Trent’anni dopo la parola inchiodata sulla storia è declino, stagione di segno contrario dove apparentemente stiamo più bene, per via di una tecnologia amica, e invece non cogliamo i paradossi che hanno solo acuito la distanza tra ricchi e poveri, hanno polverizzato i valori, spezzato l’equilibrio tra le generazioni, allentato la passione, fomentato le paure e rinvigorito la rabbia.

Oggi c’è un mondo «senza» e camminiamo sulle sabbie mobili. Bergoglio naturalmente non ci sta e continua cocciuto a proporre un’altra narrazione. L’impresa di Panama, Gmg non solo per i giovani, è l’ennesimo capitolo del processo aperto da Francesco perché tutti, giovani e adulti, collaborino alla costruzione di una storia nuova dove ognuno deve rimboccarsi le maniche. La denuncia serve ad essere «sale e lievito» per dirla con il Vangelo, in un tempo in cui molti si sono attrezzati e organizzati per riempire ogni spazio con ricette spesso vuote, ma forti nella loro presa emotiva. Il Papa a Panama si è scagliato contro il declino e ha avvertito che siamo ormai verso la fine, pochi passi e poi si evapora nel nulla. Sembra quasi di sentire l’ammonizione di Osvaldo Soriano, il grande scrittore argentino che descriveva con cinico disincanto un mondo bislacco che non approdava a nulla e si cullava della sua ferocia: «Triste solitario y final». C’è molto del mondo di oggi con le forze ambigue che ti fanno sentire felice perché sei sempre connesso, sei cool, gestisci le app, apprendi con un formidabile tutorial, ma alla fine sei fragilissimo e forse anche un po’ meschino. Francesco ha parlato con durezza a tutti. Ha detto che senza lavoro, senza istruzione, senza comunità e senza famiglia si muore. Anzi ha spiegato, con ancora più asprezza, che chi accetta la logica del «senza», adulti o giovani, uccide, perché non crede nel futuro e non ha intenzione di costruirne uno insieme agli altri.

Accade quando gli adulti tengono i giovani nella sala d’aspetto della vita, credendo di proteggerli dalla intemperie della crisi e invece chiudono la porta alle opportunità, che mai sono facili e senza fatica. E accade quando i giovani stanno al gioco, deboli di intraprendenza, alieni alla collera, generazione disposta ad assumere la forma dell’acqua pur di avere senza sforzo e impegno ciò che solo la rassicura: «Non basta stare tutto il giorno connessi per sentirsi riconosciuti e amati». Bergoglio a Panama è andato a dire che un altro mondo è possibile e ai giovani che esso è soprattutto nelle loro mani, se si mettono in testa di uscire, magari anche sbattendo la porta, dalla sala d’attesa in cui troppi adulti li hanno relegati. C’è bisogno di un po’ di ribellione per sparigliare le norme degli equilibri dei cattivi, non «oltrepassare e ignorare», ma muoversi e non solo commuoversi davanti ai drammi. Senza aspettare, perché, ha sollecitato Bergoglio a Panama, «voi non siete il domani, ma l’adesso».

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