Nella lotta allo smog non esistono scorciatoie

ITALIA. Tira una gran brutta aria, e purtroppo non è un modo di dire. Secondo una nota del Società italiana di medicina ambientale, il nostro Paese è il primo in Europa per morti attribuibili all’inquinamento atmosferico: per capirci si parla di 80mila decessi l’anno, un numero che fa paura.

Ma a preoccupare in particolare modo sono due cose, anzi tre. La prima è che ci siamo in mezzo visto che la Pianura Padana è l’epicentro del problema (e lo è da sempre), la seconda è che non si vede una via d’uscita praticabile a medio termine, la terza che in una situazione oggettivamente frutto di una pluralità di cause ci si stia ancora dividendo per bande: ognuno è convinto che la responsabilità maggiore vada ricercata altrove. In un qualsiasi altrove. In sostanza non si riesce ad avere (non si vuole...) una visione complessiva del problema, frutto sicuramente di cause morfologiche ma anche di stili di vita che qualche interrogativo lo pongono.

Che la Lombardia e la Pianura Padana in generale siano in una situazione geograficamente sfavorevole (come del resto altre aree europee, ma prevalentemente di un Est dove la questione ambientale non è stata, come dire, particolarmente all’ordine del giorno) è ormai acclarato: qualche decennio orsono fece sorridere la sortita televisiva di tal Piero Diacono, signore milanese ospitato a Portobello (mitica trasmissione del compianto Enzo Tortora) dove aveva proposto di spianare il Turchino così da creare una via d’uscita verso la Liguria per l’aria umida e nebbiosa che gravava sulla Lombardia. Una mezza boutade che però la dice lunga sui problemi, come dire, atavici di questa parte del Paese. Un tempo era la quasi fascinosa nebbia, ora invece una cappa di smog che fa oggettivamente impressione.

Vero che una ventina d’anni fa la situazione delle polveri sottili era quantitativamente peggiore ma lo è pure il fatto che pur con valori in calo la situazione resta molto seria. Come deve esserlo l’atteggiamento nell’affrontare la situazione, in primis rifuggendo da qualsiasi tentativo negazionista tanto di moda pure su questi temi, così come da atteggiamenti oltranzisti da pasdaran dell’ambiente. Ma soprattutto smetterla di pensare che esista una causa principale e a contorno tutto il resto: purtroppo la situazione richiede interventi ad ampio spettro e non circoscritti a questo o quel problema.

Ci sono attività problematiche sia sul fronte industriale che agricolo, così come interventi necessari sugli impianti di riscaldamento (i dati sul loro rinnovo non sono granché confortanti), ma anche per quanto riguarda la mobilità collettiva, necessariamente da preferire a quella individuale e per più di una ragione. Pensandoci bene sono tutte facce della stessa medaglia, quella di una realtà operosa, all’avanguardia, sempre in movimento, ma dove il lavoro non può essere la giustificazione per ogni cosa. E invece spesso lo è diventato.

A situazioni complicate servono risposte quantomeno articolate, capaci cioè di mettere insieme costi e benefici, consapevoli che non esistono scorciatoie. Sapere quindi che se si ha come sola stella polare la crescita (spesso senza regole) le conseguenze possono essere fuori controllo. Come l’aria che stiamo respirando in questi giorni. Ma anche avere ben chiaro che nessuno ha la bacchetta magica, che non esistono mosse davvero risolutive, che quindi serve tempo e prima ancora saper scegliere: ovvero investire sui controlli, sui limiti, sull’ammodernamento degli impianti, sul ferro più che sulla gomma. Non dimenticando però, per esempio, che anche le infrastrutture pesanti di massa come treni e tram non sono ambientalmente a costo zero, soprattutto in fase di realizzazione. Non esistono soluzioni facili né gratis, la differenza la fa il prezzo che decidiamo di pagare. O di non pagare, con il rischio che però alla fine il conto sia salatissimo.

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