La salvezza del pianeta, tutti hanno un guadagno

IL COMMENTO. Alla Conferenza sul clima Cop 28 di Dubai si delineano le strategie per la riduzione delle emissioni di Co2. La lotta al surriscaldamento globale si coniuga direttamente con la riconversione industriale su nuove basi. È sulla carta un problema di sopravvivenza del pianeta ma per gli Stati una questione di vita o di morte come entità economiche e produttive.

Fa notizia il fatto che il Fondo per compensare i danni derivanti dal cambiamento climatico soprattutto nei Paesi del sud del mondo abbia trovato pronti finanziatori. Gli Emirati Arabi Uniti in primo luogo con 100 milioni di dollari e poi a seguire la Germania. Con forte anticipo quindi si è creata una base finanziaria per alleviare le sofferenze delle popolazioni povere e portare gli Stati interessati al tavolo delle trattative.

E tuttavia le strategie che guidano i Paesi donatori differiscono tra di loro. L’obiettivo degli Emirati Arabi Uniti è quello che fare della Conferenza l’occasione per finanziare l’abbattimento delle emissioni ed al contempo continuare nella produzione di petrolio e di gas. È loro interesse ritardare il più possibile la fine dell’era della combustione fossile. Per far questo puntano sulla cattura dell’anidride carbonica dall’atmosfera con lo stoccaggio e con la lavorazione chimica di quanto immagazzinato in termini funzionali allo sviluppo industriale. Per questo hanno stanziato 30 miliardi di dollari. L’idea è di potenziare gli studi ingegneristici e tecnologici e quindi dare un contributo ulteriore alla crescita. Per ottenere ciò occorre molto tempo e soprattutto molti soldi.

Ma decisivo è il fatto che tutti questi processi elaborativi richiedono impianti a forte consumo energetico, ovvero di quell’energia che al momento non c’è a meno che non si utilizzino di nuovo carbone, petrolio e gas. Ed è qui che scatta il riflesso condizionato di chi vede nell’atomo l’unica via di uscita per salvare l’economia dei Paesi industrializzati e al contempo mitigare gli effetti sul clima. Una via che vede la Francia in prima fila che spiega anche forse il perché del sì incondizionato del presidente Macron alla candidatura a sede dell’Expo di Dubai al posto di Roma, che come capitale europea avrebbe dovuto avere la solidarietà del vicino transalpino. Ma gli obiettivi del nucleare francese possono coniugarsi alla strategia dei Paesi produttori di petrolio. La Germania per parte sua ha avviato il Club per il clima al quale aderiscono già 36 Paesi con il fine di rendere comuni le politiche ambientali in settori a forti emissioni, quali quello dell’acciaio, del cemento ecc. Sarebbe un risultato di grande portata. L’industria europea non dovrebbe sottostare al ricatto dei concorrenti a prezzi stracciati e con emissioni senza controllo. L’ unico punto debole è che l’Europa non parla a voce unificata ma solo per bocca dei suoi Stati membri. E questo pesa in una competizione che vede ormai due blocchi schierati.

In questa strategia di riduzione alla fonte delle emissioni con creazione di fonti di energia rinnovabile l’Italia gioca la sua parte. Si trova nel punto di incontro tra Nord industrializzato e Sud globale, è il ponte che unisce due mondi che non si sono parlati. La cerniera che si può chiudere o aprire. Il sole e il vento del deserto e della Quarta sponda africana sono il deposito al quale attingere. E al contempo lo strumento per offrire alle popolazioni locali opportunità per non lasciare le loro terre. Miglioramento delle condizioni di vita, fornitura di energia elettrica e riduzione drastica dei flussi migratori. Una prospettiva dove tutti hanno da guadagnare. Perché la politica rimane politica anche se destinata alla salvezza del pianeta. Come i conoscitori dell’ambiente ben sanno, i fiori fioriscono al meglio sul letame.

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