La piccola Indi, la vita è più forte

MONDO. Indi non è la prima condannata a morire dal tribunale britannico e se non cambia la legge neppure l’ultima.

Il motivo di tale decisione dell’Alta Corte di Londra è che il sistema sanitario nazionale britannico nei casi in cui vi sia una malattia che limita la qualità della vita del paziente, senza che ci siano più trattamenti e cure disponibili o probabilità di miglioramento, ritiene non etico somministrare un intervento medico che possa causare ulteriore dolore o danno al paziente e pertanto, nel caso dei minori, si dice che è «nel miglior interesse del bambino» sospendere ogni trattamento vitale e condurlo alla morte. Il problema è che di fronte a questa valutazione anche la volontà dei genitori viene in secondo piano, quando invece «cosa sia meglio» per un figlio dovrebbe competere di diritto primariamente ai genitori.

Siamo tutti d’accordo che chi prende decisioni su un neonato lo deve fare nel suo «miglior interesse», ma l’interesse del bimbo andrebbe individuato dai genitori in accordo con i medici. L’introduzione di un’autorità esterna che valuta in base a dei criteri di qualità della vita per cui può arrivare a decidere che tenere in vita, quando non è più possibile guarire, equivarrebbe a prolungare dolore e sofferenza e pertanto è lecito sospendere ciò che sostiene le funzioni fisiologiche essenziali, significa conferire a qualcuno l’autorità di emettere una sentenza di morte. Quando si valuta il «miglior interesse» di un neonato si introduce quella che il diritto chiama «presunzione» vale a dire un’ipotesi ragionevolmente fondata, ma non assolutamente certa, che quello sia il desiderio del piccolo. Si presume cioè che quello standard di salute non sia desiderabile e neppure degno per un essere umano. Nel fare questo però si compie una proiezione soggettiva in cui di fatto si attribuisce o si toglie valore alla vita di una persona. Quest’operazione è altamente rischiosa perché potrebbe portare a gravi disuguaglianze tra pazienti e non garantire pari opportunità di cura. Il fatto che per questi neonati in Italia, come in altri Paesi, ci siano ancora possibilità di cura e a volte di guarigione, dovrebbe far decadere l’uso della «presunzione» per legge o per il parere di un giudice.

Il caso di Tafida, di cui sempre il tribunale britannico nel 2019 aveva chiesto lo spegnimento dei macchinari che la tenevano in vita, ma poi autorizzò il trasferimento all’ospedale Gaslini di Genova, da cui è stata dimessa dopo alcuni mesi di cura e inserita in un programma di riabilitazione, doveva essere d’insegnamento a usare maggiore prudenza. Il buon esito di questa vicenda ci induce ad avere speranza anche quando le aspettative di vita sembrano «al lumicino». Pertanto se la regola del «miglior interesse del bambino» può essere d’aiuto a prendere decisioni delicate, poiché parte dall’idea di recare beneficio e non maleficio all’interessato, tuttavia in caso di dubbio o di pareri divergenti su ulteriori possibilità di cura, si dovrebbe decidere sempre per la vita. Papa Francesco nella «Samaritanus bonus» dice a riguardo del «miglior interesse del minore» che «in nessun modo può costituire il fondamento per decidere di abbreviare la sua vita (…) con azioni o omissioni che per loro natura o nell’intenzione si possono configurare come eutanasiche».

Per evitare questa deriva c’è all’esame del Parlamento britannico una nuova legge che rafforzi i diritti dei genitori, nei casi in cui questi ultimi si oppongano alla decisione dell’ospedale di togliere ai loro figli i supporti vitali. Se la nuova normativa verrà approvata, papà e mamma avranno il diritto di ricorrere alla mediazione di comitati etici indipendenti o comunque sentire un secondo parere medico. Ma sarebbe anche giusto consentire di usufruire delle migliori cure disponibili agevolando trasferimenti in altre strutture pediatriche nazionali o all’estero. La vita, specialmente nei bambini, è più forte e imprevedibile di quanto si pensi, merita sempre una nuova chance.

D’altra parte è un dovere della comunità internazionale assicurare, soprattutto ai minori, l’accesso ai più recenti sviluppi terapeutici, ne va della cura della nostra esistenza. Non recidere il legame con l’altro è ciò che ci rende umani.

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