La Germania prima ostile
ora spera in Draghi

L’ incarico a Draghi di formare il governo ha fatto sensazione in Germania. Il personaggio non è amato e dell’ex presidente della Bce si è detto negli anni passati tutto il male possibile. La «Bild Zeitung» alla fine del suo mandato alla Banca centrale europea nel 2019 lo ritrae con due denti aguzzi e un titolo che è un programma: «Succhia i nostri conti correnti, svuotandoli». Il giornale ad ampia diffusione popolare è la pancia profonda del Paese. Gli economisti non gli sono stati da meno. Jens Weidmann, governatore della Bundesbank, ha fatto la guerra per otto anni e con lui l’élite accademica. Solo una persona non gli ha remato contro: Angela Merkel. Col beneplacito del Cancelliere l’allora presidente della Bce ha potuto pronunciare a Londra il fatidico «whatever it takes».

Al capo di governo tedesco faceva comodo assegnare il lavoro sporco a Francoforte. Si trattava di finanziare attraverso la Bce il debito dei Paesi in difficoltà, Italia in testa. Un’operazione che se ufficialmente sostenuta dal governo tedesco sarebbe costata il posto al Cancelliere. C’è voluta la pandemia per far capire che senza i Paesi della dolce vita, della siesta e del «bien vivre» le merci tedesche rimangono in magazzino. Il mercato interno dell’Eurozona garantisce al made in Germania uno sbocco che in tempi di pandemia nel mondo non è più assicurato. Il 60% della produzione tedesca va nell’Unione europea, se nei Paesi acquirenti dell’eurozona viene meno la domanda interna, si crea un cortocircuito, al Sud non si compra e al Nord non si vende. Risultato: produzione a zero e disoccupazione alle stelle.

Mario Draghi ha fatto capire quello che al governo tedesco riusciva difficile comunicare ai suoi cittadini ovvero che la Germania non può avere solo vantaggi dall’appartenenza all’eurozona. Il piano di ripresa e resilienza «Next generation Eu»licenziato lo scorso anno dall’Unione europea nasce dall’esigenza della prima economia del continente di garantirsi i suoi mercati di sbocco. L’emissione di bond garantiti dalla Ue rende comune un debito che è di tutti perché di tutti sono i vantaggi. La possibilità di avere Draghi alla guida del governo italiano crea sollievo. Il timore che l’Italia comprometta la stabilità dell’Eurozona è diffuso ma ora si avanza la certezza che i 200 e più miliardi non verranno dilapidati in spese improduttive. Anche in Germania stanno capendo. I debiti se si traducono in investimenti che creano valore garantiscono nel tempo la redditività necessaria per la sostenibilità dell’esposizione finanziaria. Un atteggiamento laico che non indulge al pregiudizio si sta facendo strada nel Paese dell’austerità. Si discute di problemi e non di scansafatiche. I commentatori spiegano che l’Italia è ricca di piccole e medie imprese e che da Roma in su il reddito medio è superiore alla media europea.

Il che evidenzia una conoscenza che va oltre al luogo comune e rivela una percezione di comunità di interessi oltre l’angusto orizzonte nazionale. Si vedono i problemi nella loro complessità. Per esempio l’economia sommersa che in Italia è valutata nell’ordine del 18% del Pil nazionale. La ’ndrangheta è percepita come un problema non solo italiano e si coglie come determinante per il rilancio del Paese il suo contenimento quantomeno nelle infiltrazioni della vita pubblica e politica. Nel deficit di modernizzazione l’Italia è al 30° posto dietro Malta e Cipro. La difficoltà delle forze produttive a rendersi egemoni e quindi di agire come elemento trainante evidenzia la necessità di una guida sicura. In questa nuova Germania Draghi trova un interlocutore attento. La sua lezione l’hanno imparata anche a Berlino.

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