Il pregiudizio sull’Italia
Ma lo sguardo ora cambia
e c’è bisogno di stabilità

Circa il 67% del valore aggiunto italiano è creato da piccole e medie imprese. Se guardiamo il diagramma a partire dal 2010 il surplus italiano dell’export è regolarmente in attivo mentre quello della Francia è sempre più in rosso. Se a questo aggiungiamo che in sede Ue si valuta una crescita dell’economia italiana al 5%, primo dato assoluto in Europa, si capisce perché la stampa internazionale cominci a guardare con occhi diversi al Paese che ancora oggi è considerato come il malato d’Europa per eccellenza.

L’Italia subisce ed ha subito un riflesso di sottovalutazione. A partire dagli stessi italiani che tendono a considerarsi più vittime che attori e quindi a non vedersi con l’occhio della ragione calcolata. E tuttavia i dati ci dicono che la vocazione industriale italiana non è mai venuta meno. Se mai il problema è il non aver considerato che il punto di ripartenza è lì. Il valore si crea là dove si lavora. Quel che è mancato è una politica industriale che assegni finalmente al Paese il suo ruolo. Lo hanno capito subito le cancellerie straniere che auspicano il ritorno dell’Italia sulla scena internazionale.

Un’Italia economicamente in salute conta. Sul piano intercontinentale gli Stati Uniti hanno bisogno di un partner che consolidi il rapporto transatlantico. Non va dimenticato che nello sbandamento generale il governo italiano fu il primo in Occidente nel marzo 2019 a sottoscrivere un memorandum di intesa con la Cina. Per Pechino un’occasione d’oro. L’Italia sarebbe stata la prima stazione sulla via della seta in Europa. Ma al G7 il primo ministro italiano Mario Draghi è stato chiaro: la Cina è un’autocrazia, non condivide la visione del mondo delle democrazie e non si attiene alle regole. Il secondo pilastro è l’Europa. Ai tedeschi da tempo dà ai nervi la pretesa francese di voler pesare sulla scena politica più di quanto non giustifichi il valore assoluto del Paese.

I francesi godono di una rendita di posizione. Hanno vinto la guerra, sono storicamente i paladini della libertà politica e garantiscono per la Germania. Il passato nazista in Europa e nel mondo fatica a passare. Con l’uscita di scena di Angela Merkel l’Europa con la Germania si sente orfana. L’Italia vista da Bruxelles appare interessante. L’anno d’oro dello sport italiano evoca nell’immaginario un Paese sulla via del riscatto. E certamente queste vittorie in settori dove il Paese è unito e la politica di parte non entra portano all’autostima. Chi è afflitto da divisioni e litigiosità deve affermarsi per ripartire. C’è bisogno di una guida politica che dia certezze a chi le ha perse. E siccome il Belpaese riproduce nel suo piccolo i mali endemici dell’Europa e la «Mutti» tedesca non può più mediare ecco che un’Italia guidata dall’ex presidente della Bce, unica vera istituzione sovranazionale, appare la soluzione. In Germania si sprecano i consigli rivolti ai candidati alla cancelleria di emanciparsi dalla tutela francese e lavorare con Roma. Sul valore intrinseco dell’economia italiana non vi sono dubbi.

C’è però bisogno di stabilità. Ecco perché anche in Europa fanno il tifo per Mattarella ancora al Quirinale e Draghi a Palazzo Chigi. Non lo diranno mai nemmeno sotto tortura. Il governo non è certo quello che le singole parti politiche si augurerebbero se fossero da sole al potere. Non è nemmeno un esecutivo di solidarietà nazionale. Le formule politiche tendono a ingrigirsi in tutto il mondo. Contano le personalità. In questo momento storico l’Italia e l’Europa hanno trovato Mario Draghi. L’unica garanzia per dare continuità è portare avanti una politica economica centrata sul valore di impresa.

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