Il Ponte che serve è quello sull’Adda

A settembre saranno 6 anni esatti dalla chiusura in fretta e furia del Ponte San Michele sull’Adda causa problemi di stabilità. Sembra ieri. E invece già tra (ancora) 6 anni il bellissimo manufatto tra Calusco e Paderno se ne dovrà andare in pensione. Per sempre. In questo arco temporale c’è il senso di una situazione che si avvia a diventare molto seria, soprattutto se non verrà trovato un rimedio in tempi più che rapidi. Anzi, meglio prima. Trenord ha appena annunciato lo sbarco sulla linea via Carnate di due nuovi treni «Caravaggio», ed è una buona notizia per i pendolari vista la vetustà del parco rotabile. Sorvolando sul fatto che per diverso tempo si era sostenuto che non potessero passare sul ponte tornato in servizio a settembre 2020 per l’eccessivo peso - mentre i progettisti sostenevano il contrario - è u n ulteriore passo in avanti nel percorso del progressivo rinnovo dei treni in Lombardia. Che magari qualcuno potrà considerare lento ma che comunque prosegue: entro il 2025 quelli nuovi saranno 214 a fronte degli oltre 460 della flotta , con una discesa dell’età media dagli attuali 15 a 10 anni contro un dato nazionale di 15,8.

Poi, anzi insieme, c’è il capitolo infrastrutture: e qui arriviamo alla delicatissima questione del San Michele, rimasto chiuso al traffico ferroviario per 2 anni (quello automobilistico era ripreso un anno prima) con conseguenze pesantissime. Stiamo parlando anche di un bellissimo esempio di archeologia industriale di fine ‘800 inserito in un contesto paesaggistico unico, uno degli angoli più lombardi che si possano immaginare. Durante il l suo complesso restauro è emerso in modo chiaro come la struttura avesse comunque il tempo contato, che era stato sì possibile riportarla al suo antico splendore ma che fosse segnata pesantemente sul fronte della stabilità e quindi della sicurezza. E l’indicazione era stata chiara, 10 anni e si chiude: che a far data dalla riapertura vuol dire fine 2030.

Ora, vero che a Pnrr vigente c’è una data che ha la precedenza su tutte, quella di fine 2026 quando dovrebbero (consentiteci il condizionale) vedere la fine una miriade di cantieri, ma non si può comunque dire che il San Michele abbia così tanto tempo in più davanti a sé, soprattutto se non è ancora affatto chiaro cosa prenderà il suo posto. Rfi si è detta da subito disposta a mettere (ovviamente) mano alla parte ferroviaria, ma c’è anche quella stradale: per questo in prima battuta si erano ipotizzati due nuovi ponti, così da separare i flussi ed evitare il rischio di interruzioni totali tra la sponda bergamasca e quella lecchese, come accaduto per un anno intero. Chiaro però che con due manufatti raddoppiano le difficoltà d’inserimento, a maggior ragione se in parallelo si persegue l’obiettivo di ottenere il riconoscimento Unesco per il San Michele.

Sulla carta è più facile spostare il traffico stradale che quello ferroviario vista la sua rigidità , e magari riservando l’attuale ponte solo ai treni, seppure a passo d’uomo, con la classica deroga (sport nazionale) se ne potrebbe aumentare la vita. Di certo in questa vicenda serve uno scatto di responsabilità da parte di tutti, perché di fronte ai tanti dubbi su questa o quella infrastruttura in itinere, tra le poche certezze c’è quella che un nuovo ponte sull’Adda serve come l’aria per la vita quotidiana di una delle parti più produttive del Paese. Restare con Brivio a Nord, Canonica a Sud , Trezzo e quello autostradale in mezzo non basta e non può bastare. Per questo non c’è più un giorno da perdere, semmai l’obbligo di andare di corsa: in questo Paese normalmente in 6 anni manco si chiude un iter autorizzativo, figuriamoci tirar su un ponte... Magari meno evocativo e d’impatto di altri inseguiti secondo convenienze elettorali del momento (sì, quello sullo Stretto), ma non meno utile. Anzi. E il 2030 è qui, praticamente domani.

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