Europa al voto
Italia al bivio

L’anno che si chiude è stato un anno segnato da significativi cambiamenti nel mondo attorno a noi. È stato l’anno in cui crisi da tempo minacciate sono esplose: la guerra commerciale tra Stati Uniti e Cina; il ritiro di Washington dall’accordo sul nucleare iraniano. È stato l’anno in cui crisi esistenti sono peggiorate: si è allargata la frattura tra la Russia e l’Occidente; il governo britannico ha quasi perso il controllo della Brexit innescando una profonda crisi politica; l’Unione europea sembra aver rinunciato a ogni sforzo di riforma e si avvia tentennante verso le elezioni del prossimo anno, che saranno rilevanti per il suo futuro. È stato, infine, l’anno in cui abbiamo capito di non essere ancora al riparo dagli attacchi terroristici, come il doloroso episodio di pochi giorni fa a Strasburgo ci ha purtroppo ricordato

L’anno che si chiude è stato un anno segnato da significativi cambiamenti nel mondo attorno a noi. È stato l’anno in cui crisi da tempo minacciate sono esplose: la guerra commerciale tra Stati Uniti e Cina; il ritiro di Washington dall’accordo sul nucleare iraniano. È stato l’anno in cui crisi esistenti sono peggiorate: si è allargata la frattura tra la Russia e l’Occidente; il governo britannico ha quasi perso il controllo della Brexit innescando una profonda crisi politica; l’Unione europea sembra aver rinunciato a ogni sforzo di riforma e si avvia tentennante verso le elezioni del prossimo anno, che saranno rilevanti per il suo futuro. È stato, infine, l’anno in cui abbiamo capito di non essere ancora al riparo dagli attacchi terroristici, come il doloroso episodio di pochi giorni fa a Strasburgo ci ha purtroppo ricordato.

Il 2018 ci ha però anche portato timidi e inattesi segnali di speranza per la risoluzione di crisi da tempo irrisolte: il primo successo negoziale per lo Yemen a Stoccolma; la storica pace tra Etiopia ed Eritrea con l’inattesa svolta democratica del governo di Addis Abeba; i segnali di disgelo tra le due Coree dopo la grande tensione del passato. L’anno che sta per iniziare sarà cruciale per capire se le crisi esplose quest’anno potranno rientrare, o se i segnali di disgelo potranno trasformarsi in accordi duraturi.

Partiamo dall’Europa. Sulla Brexit , dopo un anno e mezzo di negoziati, c’è un’unica certezza: a metà gennaio May porterà al voto in Parlamento la proposta di accordo che ha negoziato con Bruxelles. Molto probabilmente non raccoglierà i voti necessari e a quel punto tutto sarà possibile: una proroga dei tempi per chiusura del negoziato magari per lasciar tempo ad un nuovo referendum o a elezioni generali; una revoca della decisione di uscire oppure la temuta opzione «no deal», ovvero una Gran Bretagna che diventa improvvisamente un Paese totalmente scollegato dall’Unione europea. In breve: incertezza totale.

Il voto europeo sarà, poche settimane dopo, l’appuntamento centrale del vecchio continente. Anche in questo caso un’unica (semi) certezza: si eleggeranno meno deputati, proprio in virtù della (possibile) uscita della Gran Bretagna. Non sappiamo invece ovviamente nulla sull’esito delle elezioni: i partiti euroscettici di varia natura delineano già da tempo scenari di «conquista sovranista» dell’istituzione che maggiormente simboleggia il sogno europeo, l’Europa dei popoli.

È un esito improbabile, numeri e sondaggi alla mano: più facile immaginare che il nuovo Parlamento europeo assomiglierà di più ai Parlamenti dei vari Paesi membri che hanno visto nelle più recenti elezioni un ridimensionamento dei partiti popolari e socialisti e la crescita di forze di estrema sinistra , destra e partiti populisti di varia connotazione ( anti euro, anti migranti, anti élite, ecc.). Anche a Bruxelles, come già in tante capitali europee , servirà allargare il perimetro delle «grandi coalizioni»: e anche lì l’interrogativo sarà se matrimoni politici tra forze sempre più «diverse» sanno produrre politiche forti ed efficaci o se condannano ad una permanente conflittualità interna, alla paralisi politica di cui non ha certo bisogno un’Europa in cerca di rinnovata coesione e di un rilancio di iniziativa per rispondere alle attese sociali ed economiche dei cittadini europei.

Trump sarà sempre più Trump : ha metabolizzato il pareggio delle elezioni di Mid term per eliminare i «corpi estranei» nella sua amministrazione (in primis il rispettato Segretario alla Difesa Mattis) e tornare alle promesse elettorali di due anni fa: più muri (col Messico), meno soldati sui fronti di guerra a cominciare dalla Siria dove, a pochi giorni dalla sua improvvisa decisione, già si intravvedono le conseguenze con i raid di Israele anti-Iran e i curdi che chiedono protezione a Damasco nei confronti dei turchi (alleati di Damasco!). Tutto ciò nell’anno che, teoricamente, doveva segnare l’avvio della ricostruzione di un Paese distrutto fisicamente, e non solo, da anni di guerra civile e terrorismo.

Anche Putin sarà sempre più Putin: evaporata ogni possibilità di riavvicinamento agli Usa, ha scelto il giorno di Natale per regalare ai russi (e provocatoriamente al mondo) i nuovissimi missili ipersonici Vanguard, pochi mesi dopo l’annuncio di Trump di voler abbandonare (anche) il trattato sui missili a media gittata e poche settimane dopo aver sequestrato navi ucraine nel Mar di Azov. Il messaggio di Putin è «chiaro e forte»: «Le sanzioni non ci hanno indebolito e la Russia, se respinta come potenza amica, è pronta a giocare il ruolo dell’antagonista temibile».

La guerra commerciale Usa e Cina - punta dell’iceberg di una più profonda competizione economica e tecnologica fra le due vere grandi potenze del nuovo secolo - sta vivendo una pausa, la tregua annunciata al G20: vedremo se in entrambi i Paesi prevarrà una ragionevole volontà di contenere i danni con qualche concessione reciproca o se la tregua sarà seguita da una nuova escalation che porterebbe ulteriori nubi su una crescita mondiale che mostra già qualche segnale di incertezza.

E noi? E l’Italia? Tutto ciò che è successo nell’anno che si chiude e può succedere nell’anno che verrà ha impatti diretti o indiretti su di noi, vuoi per la nostra collocazione geografica o per la forte proiezione economica internazionale del nostro Paese.

In questi mesi, presi da quota 100, reddito di cittadinanza, i decimali di Moscovici, non potevamo certo «perdere tempo» con queste bizzarrie del mondo: Italy first, manovra del cambiamento al primo posto ovviamente. Solo ora che un foglietto del vicepremier Di Maio ci informa che «tutto è stato fatto» (in soli sei mesi!) ci permettiamo di disturbare il guidatore (anzi, i guidatori) con un pacato suggerimento: è forse il momento di dare uno sguardo più incisivo - e non filtrato unicamente dal tema delle migrazioni, dei porti e dei rimpatri - a ciò che succede attorno a noi e di riflettere seriamente e serenamente sui nostri obiettivi in Europa, sui veri alleati su cui possiamo contare, sui nostri interessi. Al di là dei tatticismi e dei calcoli elettorali di breve respiro.

© RIPRODUZIONE RISERVATA