Dall’Ucraina a Gaza, la politica contro le guerre

MONDO. Non c’è la volontà politica oppure i giochi geostrategici sono superiori a tutto. Il pensiero va subito alle tragedie in corso in Ucraina e in Medio Oriente. Ma possibile - quante volte ci siamo chiesti a voce alta - che queste crisi non siano componibili grazie allo sforzo dei vari attori?

Perché noi poveri mortali dobbiamo essere testimoni inermi di drammi inenarrabili che si sarebbero potuti evitare? Quante volte la pace è stata calpestata pur di raggiungere obiettivi, invero poi rivelatisi vuoti ed effimeri? Facciamocene una ragione. Questa è la natura umana: risolvere tutti i problemi potrebbe non essere sempre la soluzione. Dei nuovi sorgerebbero immediatamente. Oppure questioni irrisolte possono tornare utili al momento giusto. Questo è il caso, ad esempio, dei troppi conflitti «congelati» nello spazio ex sovietico con la nascita, addirittura, di «Stati fantasmi». Un elenco: dopo la scomparsa del Nagorno-Karabakh, regione armena riconquistata dall’Azerbaigian, sono rimasti l’Ossezia del Sud, l’Abkhazia, la Transnistria, a cui si aggiungono le repubbliche popolari di Donetsk e di Lugansk. Si sono voluti evitare ulteriori spargimenti di sangue - qualcuno può osservare - oppure ci si è piegati semplicemente allo status-quo. Tali situazioni di precarietà possono durare decenni fino a quando va in scena il patatrac, come accaduto il 7 ottobre in Medio Oriente. «Ebrei e palestinesi non vivranno mai in pace. È così da mille anni», ci ha detto una pellegrina appena tornata dalla Terra Santa. Eppure noi, come idealisti, abbiamo davanti agli occhi la riappacificazione tra tedeschi e francesi dopo decenni di guerre.

Ma esiste in Medio Oriente una possibile soluzione diplomatica? La risposta è che essa è già stata elaborata da tempo: due Stati (uno israeliano e uno palestinese) per i due popoli e l’assegnazione di uno status speciale a Gerusalemme. Perché, allora, siamo fermi allo stesso punto da decenni? La risposta: manca la volontà politica. Ma adesso che alcuni equilibri a livello mondiale stanno cambiando - e sono visibili i pericoli di un ampio incendio, qualcuno addirittura grida all’imminente Terza guerra mondiale, appare evidente che sia venuto il momento che l’Occidente spinga per l’applicazione di tale soluzione. Appunto: che finalmente l’Occidente dia prova della propria leadership, aiutando a riportare la pace.

Assai più complessa è la crisi all’Est, dove l’Accordo di Helsinki, che garantiva ulteriormente dal 1975 il Vecchio continente dai conflitti è stato violato quasi 10 anni fa. Premesso che, quando sono in azione le armi e vi sono morti in casa, spesso è difficile elaborare soluzioni. Due sono al momento le opzioni sul tavolo: il «piano di pace» di Kiev e l’accettazione dello status quo di Mosca. Il primo, già discusso a livello internazionale, prevede la restituzione di tutte le terre occupate dal 2014, comprese Crimea e Donbass. Il secondo, invece, no e richiede anche l’arretramento della Nato in Europa. Siamo, in sintesi, di fronte a due muri.

Se si prende il diritto internazionale come riferimento è chiara quale debba essere la soluzione. Se, invece, si guarda alla geopolitica - non aggiornata alle realtà contemporanee - allora è l’altra. Ipotizzando qualcosa su cui ci si possa venire incontro, la strada dovrebbe essere la demilitarizzazione delle regioni contese, l’affidamento delle stesse ad autorità internazionali come primo passo per fermare le ostilità. Quindi, nell’arco ragionevole di tempo, indire referendum sotto l’egida dell’Onu. Forse stiamo, però, sognando ad occhi aperti.

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