Ripristinare gli habitat in Europa essenziale anche per l’agricoltura

ECOLOGIA. Il voto del Consiglio europeo su uno dei pilastri del Green Deal, la legge sul ripristino della natura già approvata dal Parlamento europeo, è stato rimandato, purtroppo anche per volontà dell’attuale governo italiano. Ma quella legge è uno degli strumenti più innovativi per avviare una transizione non solo energetica ma anche ecologica. La transizione energetica, infatti, non basta per risolvere la crisi ambientale nel suo complesso. Il ripristino degli ecosistemi è fondamentale, perché senza ambiente sano non c’è futuro per l’uomo che dalla natura è compenetrato.

Il voto del Consiglio europeo su uno dei pilastri del Green Deal, la legge sul ripristino della natura già approvata dal Parlamento europeo, è stato rimandato, purtroppo anche per volontà dell’attuale governo italiano. Ma quella legge è uno degli strumenti più innovativi per avviare una transizione non solo energetica ma anche ecologica. La transizione energetica, infatti, non basta per risolvere la crisi ambientale nel suo complesso. Il ripristino degli ecosistemi è fondamentale, perché senza ambiente sano non c’è futuro per l’uomo che dalla natura è compenetrato.

Emilio Padoa-Schioppa, ecologo e biologo

Ne parliamo con un autorevole esperto, l’ecologo e biologo Emilio Padoa-Schioppa, in un periodo in cui il Green Deal diventa un capro espiatorio da un lato di chi vive momenti di difficoltà economica e sociale, come mostrano le proteste degli agricoltori, dall’altro di chi specula sui problemi e i rischi anziché sui vantaggi e le opportunità della transizione ecologica. Emilio Padoa-Schioppa insegna Ecologia del paesaggio, Biologia e Didattica della biologia nell’Università di Milano-Bicocca, dove ha contribuito a fondare l’Unità di ricerca di ecologia del paesaggio. «Storia ecologica dell’Europa. Un continente nell’Antropocene» (Il Mulino, pagine 232, euro 22) e «Antropocene. Una nuova epoca per la Terra, una sfida per l’umanità» (Il Mulino, pagine 168, euro 12) i suoi due ultimi libri.

«La legge sul ripristino della natura pone indubbiamente obiettivi ambiziosi, di cui, però, l’Europa ha un bisogno enorme»

«La legge sul ripristino della natura pone indubbiamente obiettivi ambiziosi, di cui, però, l’Europa ha un bisogno enorme. Ripristinare una percentuale importante degli habitat naturali, in un percorso con obiettivi da raggiungere entro il 2030 e poi più avanti, è fondamentale. Il continente è stato trasformato profondamente in senso negativo, perché, nel corso del tempo, è stato denaturalizzato. È evidente che abbiamo bisogno sia di habitat naturali sia di aree agricole. Ma affermare che l’agricoltura europea scomparirà se seguiamo questa legge non è realistico. Prevede correttamente meccanismi di salvaguardia e interventi più graduali sulle proprietà private. La polemica politica, insomma, si innesta sulla non effettiva conoscenza della legge di ripristino. È da adottare e da difendere in ogni modo, anche perché l’Europa possa chiedere il rispetto della natura nel resto del mondo. Se avvertiamo, per esempio, che la scomparsa delle foreste pluviali equatoriali può innescare cambiamenti globali irreversibili, definiti dalla letteratura scientifica punti di non ritorno, i Paesi che gestiscono quelle aree fragili, ma essenziali per l’equilibrio del mondo, possono replicarci che pretendiamo da loro il rispetto della natura dopo aver sfruttato e distrutto la nostra. Porsi obiettivi ambiziosi non solo è nell’interesse dei Paesi europei ma conferisce anche più autorevolezza alla Ue, per spronare il resto del mondo ad affrontare un cammino di sostenibilità ambientale».

«Tutte le transizioni hanno anche costi economici e sociali. Bisogna porre attenzione affinché nessuno resti indietro»

Da più parti, però, si ripete che la sostenibilità ambientale dev’essere accompagnata da quella economica e sociale.

«Tutte le transizioni hanno anche costi economici e sociali. Bisogna porre attenzione affinché nessuno resti indietro. Sarebbe stato saggio proibire i motori a scoppio perché, altrimenti, i maniscalchi avrebbero perso il lavoro? Non sarebbe stata un’opzione realistica. La transizione ecologica comporta costi nell’industria e nell’agricoltura. Ma fortunatamente abbiamo anche i mezzi perché chi risulti incolpevolmente danneggiato abbia alternative. La legge si pone obiettivi di rinaturazione, prestando attenzione a buoni indicatori, come il trend delle popolazioni di uccelli, lo stato di salute delle farfalle, gli insetti impollinatori, essenziali per gli ecosistemi agricoli umani, non solo per quelli naturali. La legge tiene ben presente come l’Europa abbia bisogno di una produzione alimentare. È stata costruita in modo equilibrato, conseguendo, come sempre in questi casi, anche dei punti di compromesso. Da una parte c’è chi osserva che alcuni obiettivi potevano essere più ambiziosi. Dall’altra, a chi sostiene che la legge sia irrealizzabile ricordo che alcuni esempi di rinaturazione sono già esistenti. Il fiume Emscher in Germania era ancora il più inquinato d’Europa negli anni Ottanta, utilizzato come collettore degli scarichi industriali del bacino della Ruhr. Oggi è stato recuperato in un’area naturale, arricchita da testimonianze di architettura industriale. Gli obiettivi di tutto il Green Deal sono alla portata degli europei e sono da perseguire in modo corretto, ma senza criminalizzare chi oggi è fuori dagli standard. Chi, per esempio, produce componenti per motori termici dev’essere accompagnato nella transizione. Vedo difficile che si possa arrivare a emissioni zero in questo settore, anche se potrebbe essere un obiettivo. Intanto, però, bisogna cominciare a capire come chi non potrà più produrre certe componenti si possa riconvertire, senza aspettare il 2035 o il 2040 cercando solo di ottenere anni di rinvio degli obiettivi, invece di offrire garanzie e accompagnare imprenditori e lavoratori nella transizione».

«Alcune tecniche genetiche ci possono aiutare: sono da utilizzare con una grande prudenza e con un controllo rigoroso»

Nel suo ultimo libro «Storia ecologica dell’Europa» indica, riguardo all’agricoltura, la necessità di un approccio pragmatico ed equilibrato sulla ricerca genetica.

«Su questi temi si è scatenato spesso un dibattito ideologico poco attinente alla realtà. Da una parte, si afferma che certe tecniche rappresentino l’unica strada perché l’agricoltura possa nutrire un’umanità in crescita, dall’altra, sono viste come il male assoluto, foriere di rischi per la salute e per l’ambiente. Né l’una né l’altra sono narrazioni veritiere. Alcune tecniche ci possono effettivamente aiutare, se verificate con il rigore indispensabile: vale per gli Ogm come per il più avanzato editing genetico, con cui si riesce a sostituire una singola base di un genoma. È altrettanto vero, però, che del Dna conosciamo, come avverte il genetista Guido Barbujani, l’alfabeto, la sequenza delle parti, non la sintassi, cioè come i geni interagiscono tra loro e con l’ambiente. Queste tecniche sono da utilizzare con una grande prudenza e con un controllo rigoroso».

«Ora i principi di sostenibilità ambientale sono assunti come fondamentali: prima si parlava solo di tutela del paesaggio»

Nel libro mostra come la storia dell’ambiente includa le modificazioni antropiche. Nelle Costituzione è stata introdotta la tutela dell’ambiente, della biodiversità e degli ecosistemi: forse bisogna capire prima che cosa si intenda.

«Sì, certamente. Le costituzioni cristallizzano quanto in quel momento sia considerato valido. L’articolo 3 della Costituzione, per esempio, dichiara che la legge non fa distinzione di razza. Negli anni ’40 era ancora convinzione scientifica comune che le razze umane avessero un fondamento biologico. Inoltre, si era reduci dall’esperienza del nazismo e del fascismo, che suddividevano le persone in base alle presunte razze. Poi i biologi e gli antropologi hanno dimostrato che il concetto biologico di razza umana non ha alcun fondamento. Va bene nella zootecnia, dove le specie si possono dividere in gruppi chiusi di razze diverse perché l’accoppiamento e la riproduzione sono strettamente controllati. La storia dell’umanità è completamente diversa. Identifichiamo delle variazioni ma non dei gruppi fissi: già Darwin l’aveva intuito. Ora riconosciamo che quel principio costituzionale non è biologico ma è altrettanto valido, perché non si possono distinguere e discriminare gli uomini in base al colore della pelle. Sulla biodiversità e gli ecosistemi, aggiunti all’articolo 9 della Costituzione, negli atti dei lavori parlamentari si può leggere il dibattito avvenuto, coinvolgendo anche colleghi ecologi, e comprendere meglio l’intento effettivo della modificazione a quell’articolo e all’articolo 41. Il punto è che ora i principi di sostenibilità ambientale sono assunti come fondamentali, perché si specifica che l’insieme della biodiversità e degli ecosistemi sono importanti per noi. È un passaggio forte: prima si parlava solo di tutela del paesaggio, una visione talvolta estetica più che naturalistica».

«L’interesse delle future generazioni è già stato preso in considerazione nella riforma contributiva delle pensioni»

Si aggiunge che è «anche nell’interesse delle future generazioni».

«Con conseguenze enormi. Perché ci chiede di interrogarci su quale sarà l’interesse di chi viene dopo di noi e di difenderlo. La giustizia dell’Antropocene focalizza l’interesse non solo nella tutela del qui e ora ma anche delle generazioni future. Peraltro, questo aspetto è già stato preso in considerazione nella riforma contributiva delle pensioni, comprendendo che il sistema, a lungo termine, non si sostiene se non si cambia. Anche quel passaggio è avvenuto pensando alle future generazioni».

«Se rinunciamo alla sostenibilità ambientale, gli scenari a medio termine sono terrificanti. Vediamo già migrazioni per il clima»

C’è chi osserva che, per mancanza di memoria, staremmo diventando sempre più tolleranti nei confronti della crisi climatica. Anche se in pianura non nevica quasi più e d’estate fa sempre più caldo, i giovani non ricordano le nevicate del passato, né quando si poteva andare al mare senza la necessità dei condizionatori in camera.

«Una certa assuefazione è possibile solo fino a quando le condizioni non siano completamente intollerabili. Non solo in pianura ma anche sulle Alpi al di sotto di una certa quota c’è un decremento delle precipitazioni nevose. In molte località, dove avevano puntato tutto sul turismo invernale, si domandano che futuro avranno: è un cambiamento, ma si può resistere. A Milano percepisco che gli inverni di quest’ultima decina d’anni sono stati infinitamente più tiepidi di quand’ero ragazzo: se penso agli ecosistemi mi si drizzano i capelli in testa, ma posso girare in bicicletta. Allo stesso modo abbiamo le tecnologie per resistere alle ondate di calore percepite come sgradevoli. Per questi motivi non si crea una reazione immediata di massa, perché un inverno senza nevicate in pianura è già il segno di un cambiamento apocalittico, anche se non ce ne accorgiamo più di tanto. Se rinunciamo alla sostenibilità ambientale, gli scenari a medio termine sono terrificanti. Quando d’estate ci saranno momenti in cui si raggiungeranno i 50 gradi, come si prevede, dovremo decidere se l’acqua raccolta faticosamente in inverno si dovrà destinare all’agricoltura, all’uso civico o alla produzione di elettricità, perché non si riuscirà più ad alimentare tutto come nell’ultimo secolo. A quel punto credo che difficilmente i cittadini di Milano e Bergamo, se ogni estate avranno ore diurne di blackout perché l’acqua servirà per irrigare i campi, si sentiranno assuefatti alla crisi climatica. Già oggi assistiamo a migrazioni da aree investite dal cambiamento climatico infinitamente più dell’Europa e dove la scarsità d’acqua e l’erosione delle zone costiere sono i motori principali degli spostamenti».

«Nessuno nega il fatto dell’Antropocene: influenza dell’uomo sul clima, gli equilibri biologici, chimici, geomorfologici»

L’Antropocene è un concetto al centro dei suoi ultimi due libri: eppure un comitato internazionale di esperti dichiara che non è stato ancora trovato il segnale stratigrafico univoco che dimostri il passaggio a un’era geologica definibile come tale.

«Non sono uno stratigrafo. Rispetto molto il lavoro di colleghi che, attraverso una discussione complessa, sono giunti a questa conclusione a maggioranza, con un voto contestato da alcuni. Per la geologia è emerso un problema nuovo, perché possiamo osservare questo passaggio con una precisione impossibile per il passato. Si discute se il segnale stratigrafico, il cosiddetto “chiodo d’oro”, sia attribuibile alle bombe e agli esperimenti nucleari dagli anni Quaranta del Novecento, oppure debba risalire più indietro, all’avvio della rivoluzione industriale, allo scambio colombiano o addirittura all’avvento dell’agricoltura o alla scoperta del fuoco. Il segnale più chiaro è forse l’ultimo, quello del nucleare. Ma c’è chi replica che sia il risultato degli eventi precedenti, così che il dibattito si sposta da un problema stratigrafico a uno più articolato. Vorrei evidenziare, comunque, che nessuno nega il fatto dell’Antropocene, cioè che oggi l’uomo abbia un’influenza su tutti i sistemi che governano il sistema terra, il clima, gli equilibri biologici, chimici, geomorfologici. Questo dato non è messo in discussione da nessuno».

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