Viviamo come tanti singoli, abbiamo perso il valore della comunità

L’impegno civile si fa più debole e discontinuo. Da dove partire per recuperare la passione per il “bene comune”?

La passione per il bene comune esiste ancora?

È necessario costruire momenti ed esperienze di comunità come antidoto alla nostra società fondata su un “io narcisistico”, semplicemente perchè senza comunità non possiamo sopravvivere.

Facile a dirsi, molto più difficile metterlo in pratica anche perchè i cambiamenti epocali che viviamo ci portano in altre direzioni e rendono faticoso e complesso pensarci dentro un “noi solidaristico”.

Purtroppo anche la partecipazione politica soffre di questo, si riscontra nelle difficoltà che nascono nel formare le liste per le prossime comunali, oppure attraverso i dati che certificano un’inesorabile flessione nell’impegno del volontariato. Cresce inoltre il timore dell’astensionismo, tema di cui non si parla mai abbastanza. C’è ancora la disponibilità ad impegnarsi per il “bene comune” o questa passione è solo un ricordo del passato?

Ne parliamo con Marco Donadoni, presidente di Hservizi, realtà che nell’Isola Bergamasca – insieme al suo ruolo di multiutility – promuove occasioni di incontro e di relazione tra cittadini e tra enti e realtà del territorio. «La gente è presente alle varie iniziative - ci dice Donadoni -, anche se in quest’epoca i social network purtroppo stanno modificando l’approccio a questi eventi. A volte abbiamo l’impressione che sia più importante esserci per farsi vedere che per cogliere l’essenza dell’evento stesso. Diventano momenti social e purtroppo non si va in profondità...».

Quali i cambiamenti che vede?

«Siamo legati ad una diffusa superficialità, molto in balia del momento. Bauman parla di questa “società liquida”, che si appassiona rapidamente ad un determinato aspetto, per poi abbandonarlo. Le relazioni non sono più solide come una volta e questo rende più difficile costruire qualsiasi cosa, infatti quando lui parla di società liquida si riferisce al fatto che ciò che è liquido non ha una forma, ma quantomeno ha una sostanza. Il rischio che corriamo è quello di andare oltre gli scenari prospettati da Bauman, passando ad una società gassosa, in cui non ci sia più neanche la sostanza.

Dobbiamo cercare di tornare a dare una forma alla società, una volta plasmata attorno alla famiglia, alla comunità e alla parrocchia che fino a qualche decennio fa aveva anche una forte valenza aggregativa, così come la politica trascinata dalle ideologie ma anche dalla sana passione; questo mondo sta scomparendo, la società rischia di non avere elementi a cui ancorarsi. Da un lato è vero che la globalizzazione ci fa vivere con la testa nel mondo, ma è altrettanto vero che dobbiamo tenere ben salde le radici sul territorio. Altrimenti saremo solo una società parcellizzata fatta di tanti singoli individui».

E voi cosa vi proponete di fare?

«Il nostro compito è cercare di raccogliere, mettere insieme dei pezzi. Ad esempio, lo faremo con le Comunità energetiche. Ci saranno assemblee in cui la gente dovrà partecipare, in questo caso lo faranno per mettere a fattore comune l’energia e le regole di gestione della Comunità.

Lo stiamo inoltre facendo col mondo dello sport, che riteniamo l’ultimo elemento aggregatore della società. Le famiglie si trovano attorno a un campo di calcio, una piscina, una palestra. Questo naturalmente ha dei costi e necessita di investimenti importanti. Occorre continuare a veicolare risorse pubbliche perché altrimenti da sole le famiglie non riescono a sostenere i costi di uno sport sempre più professionalizzato, per cui gli obbiettivi non siano finalizzati solo alla performance, ma per ampliare la platea e le discipline, senza lasciar fuori nessuno.

E servono dirigenti e allenatori ben formati, non solo su moduli o sul fuorigioco: educare gli educatori. Ma non è semplice, siamo in una cultura improntata al risultato, l’imperativo è vincere. Proprio qui c’è parecchio da investire: serve un cambio di paradigma».

Per cui partite da ambiente e sport per creare relazioni, e qui si inserisce l’interesse per il bene comune...

«Esatto, dobbiamo riuscire ad inserire momenti di riflessione anche in qualcosa di ludico, come lo sport. Per veicolare messaggi, per ricordare quanto è importante la comunità. Senza comunità non possiamo sopravvivere. Questo turbo capitalismo in cui siamo immersi, implementato da internet e social, ci fa credere che noi possiamo vivere come tanti piccoli atomi che vivono separatamente, autonomi da tutto, ma non è assolutamente così, perché abbiamo tutti bisogno della collettività. E il Covid ce lo ha mostrato bene».

E nella vita ordinaria di un paese?

«Chi non partecipa alla vita pubblica, non contribuisce con imposte o non partecipa alla costruzione del Pgt (Piano di governo del territorio) perché è convinto che non lo possa interessare, scopre che la mancata pianificazione condivisa può danneggiarlo. Ricordo i Pgt di 25-30 anni fa, quando nei Consigli comunali, c’erano centinaia di persone ad ascoltare. A volte le discussioni erano lunghissime ed accese ma tutti i consiglieri erano preparati. Oggi invece tanti Consigli si riducono a una mera incombenza burocratica, spesso molto superficiali, nonostante le amministrazioni in tanti casi abbiano aperto a percorsi di governance del territorio condivisa. Tutti insieme dobbiamo cercare di fare una riflessione...

Come Azienda, questa è una missione che ci coinvolge, andando oltre al garantire i semplici servizi, non possiamo pensare di limitarci a gestire caldaie, i cimiteri o le nostre attività: dobbiamo dare un’impronta etica ad ogni nostra azione».

Da dove ripartire?

«Temo non ci sia una ricetta semplice... È opportuno che il legislatore agevoli dei momenti di confronto: le Comunità energetiche sono un esempio, si propongono di creare un soggetto che abbia anche delle finalità sociali, ambientali e culturali; è fondamentale mantenere salde le nostre radici, sentirsi radicati sul territorio con una mentalità aperta al mondo».
(a cura di Claudia Esposito)

Non limitarti a leggere

Sui temi del lavoro come della famiglia, della vita religiosa e della partecipazione politica in queste settimane è in corso in Bergamasca una grande indagine sociologica, voluta da L’Eco di Bergamo e in collaborazione con i sociologi dell’Università di Bergamo.

Per capire come e quanto siamo cambiati negli ultimi anni.

Per questo i collaboratori de L’Eco stanno realizzando tante interviste, incontrando testimoni della vita delle nostre comunità. Accompagniamo l’indagine con diversi contributi, ospitando sulle pagine e sul sito de L’Eco pareri, domande e riflessioni. Insieme al contributo di chi, bergamasco, oggi vive e lavora all’estero.

Ma soprattutto chiediamo anche a te di comunicarci il tuo pensiero. Vogliamo conoscere le tue idee, per costruire insieme a te una “missione” per il territorio bergamasco. Puoi scrivere a: [email protected]

Bergamo senza confini

Ogni settimana uno spazio riservato ai tanti bergamaschi in giro per il mondo, e che si confrontano con valori ed esperienze diverse. Le loro proposte e riflessioni sono un contributo alla nostra indagine.

1.«Qui nel Nord Europa manca il nostro calore umano e la spontaneità»
Davide, da Goteborg (Svezia)

Ho vissuto a Romano di Lombardia fino ai 24 anni, poi ho iniziato a peregrinare in Nord Europa: prima a Stoccolma, poi a Helsinki e infine a Göteborg.

Quando ci si trasferisce in un posto nuovo, è normale fare confronti. Se ripenso a quando mi sono trasferito a Stoccolma nel gennaio 2012, ricordo di aver faticato parecchio a integrarmi, soffrendo inizialmente le differenze culturali e sociali del Paese scandinavo. L’impatto è stato brutale, ma poi pian piano ho capito come funzionava la vita in Svezia e mi sono adattato.

Essere bergamaschi è molto più di una geolocalizzazione. È un insieme di valori, tradizioni e modi di vivere che si riflettono nella personalità e nel comportamento. La provincia di Bergamo è ricca di storia, con una comunità calorosa e un forte senso di appartenenza. Essere bergamaschi significa essere orgogliosi delle proprie radici e anche della reputazione che ci siamo costruiti nel tempo, ovvero di essere una popolazione laboriosa, indipendente, affidabile e seria.

Con l’epidemia di Covid, siamo divenuti noti nel mondo: primi in Europa ad essere colpiti con violenza dal virus e poi apprezzati per la stoicità con cui abbiamo sopportato e reagito alla pandemia.

Ciò che mi ha colpito maggiormente in Finlandia e Svezia è il forte senso di uguaglianza e benessere sociale, senza il peso della gerarchia nel lavoro o nelle istituzioni. La natura è poi un elemento centrale della vita quotidiana e l’attenzione all’ambiente intrinseca nella cultura nordica. Ad esempio in Finlandia è normale imbattersi in ponti che scavalcano l’autostrada a intervalli regolari, e il loro unico scopo è quello di permettere agli animali (renne, alci, cervi, volpi) di spostarsi da un lato all’altro della foresta in sicurezza.

La gente è molto riservata (ben più di noi bergamaschi, che di certo non siamo famosi per essere espansivi), ma comunque cordiale. Due concetti (“Lagom” e “sisu”) spiegano bene il modo di vivere di svedesi e finlandesi. “Lagom” (in Svezia) è il concetto di equilibrio e moderazione, per trovare il giusto mezzo in ogni situazione, evitando gli estremi. Si può applicare a molte sfaccettature della vita, come la quantità di cibo, la temperatura dell’acqua in una doccia, e così via. È centrale nella mentalità svedese e pone le basi del senso di equilibrio e uguaglianza all’interno della società. “Sisu” invece si riferisce alla forza di volontà, al coraggio e resilienza dei finlandesi. È la forza interiore che porta a superare le avversità. Avere “sisu” fa affrontare le difficoltà con determinazione, senza cedere a sconforto o disperazione. Quando ho scoperto questa cosa, ho subito pensato che forse i finlandesi non sono così diversi dai bergamaschi.

Cosa mi manca maggiormente

Al di là della famiglia e degli amici più intimi, della mia terra natale mi mancano alcune cose. Mi manca la vivacità della mia Romano, il poter “fare due passi in paese” dove, sebbene sia via da più di 12 anni, quando torno ho sempre il piacere di incontrare e salutare vecchie conoscenze. Inoltre, anche camminando da solo per i portici o sotto le cerchie, non sento mai la solitudine che invece provo quando cammino nei centri – ben più affollati – delle città nordiche.

Mi mancano le tradizioni, come le sagre estive e le feste di paese (che siano le bancarelle sotto i portici, o i fuochi d’artificio per San Defendente). In Nord Europa, non esiste questo tipo di ricorrenze, che per me sono fondamentali per cementare una comunità.

Infine mi manca l’atmosfera dei bar. Il concetto di “bar” come lo intendiamo noi, non esiste in Nord Europa, dove i posti per bere un caffè sono per lo più coffee houses che si rifanno all’americana Starbucks. Invece il bar è il posto perfetto per trovare il contatto con l’umanità, e mi manca quell’atmosfera socievole e vivace: il vociare dei clienti, il barista che sbatte il portafiltro prima di preparare un nuovo caffè, l’aroma dell’espresso appena fatto che pervade il locale. Ecco, appena l’ho scritto, mi è venuto il magone.

Cosa imparare dai popoli nordici

Se devo trovare un limite dei bergamaschi, è forse l’eccessivo attaccamento al passato, perché può ostacolare innovazione e progresso. Il mondo cambia rapidamente e i popoli nordici si stanno adeguando più in fretta, mentre a Bergamo mi pare di percepire un po’ di insofferenza. Per rimanere competitivi, bisogna adeguarsi a questi cambiamenti, ad esempio migliorando l’accessibilità urbana, investendo nelle risorse umane (promuovendo uguaglianza e inclusività) e nella sostenibilità ambientale. Anche la trasformazione green non dovrebbe essere vista solo come un disagio e un’imposizione, ma più come un investimento per il futuro. Anche adeguandosi, sarà comunque possibile preservare l’identità e le tradizioni che rendono Bergamo unica.

E poi il lavoro: i bergamaschi hanno una dedizione molto forte al lavoro, e si può dire che una buona parte viva per lavorare. Invece, in Nord Europa ci si impegna a mantenere un rapporto vita-lavoro più bilanciato, con le persone che preferiscono lavorare il giusto, conservando del tempo libero da trascorrere facendo sport o coltivando hobby. Penso che ai bergamaschi non farebbe male avvicinarsi a questo modello di vita più “rilassato”.

Cosa i bergamaschi possono invece insegnare ai popoli nordici? La vivacità e la creatività bergamasche potrebbero ispirare la ricerca di un equilibrio tra benessere materiale ed emotivo anche nelle società nordiche. Infatti, al di là dei familiari e degli amici più stretti, in Nord Europa, le persone non intrattengono altri rapporti interpersonali. Ad esempio, è normale limitarsi a un breve saluto o cenno del capo quando si incontra un vicino di casa sul pianerottolo; e dimenticatevi di suonare il suo campanello per prendere in prestito un limone o della farina.

In Nord Europa c’è un contesto molto individualista che manca completamente della solidarietà e del senso di comunità. Pur essendoci un sistema sociale avanzato, manca il calore umano e la spontaneità che caratterizzano Bergamo.
Davide Giorgio Berta (Göteborg, Svezia)

2.«Essere bergamasca mi ha salvato la vita»
Lilia, da Dubai

Essere bergamasca mi ha salvato la vita. Seriamente. Sono arrivata a Dubai nel 2021 grazie ad un evento al quale ho lavorato come traduttrice simultanea ed ho deciso di strappare il mio biglietto di ritorno e di rimanere senza un piano, un appoggio o un’idea chiara sul da farsi. Come, vi chiederete? Perché sono di Bergamo. La tenacia di noi bergamaschi davanti a situazioni difficili, la nostra voglia di lavorare, forza di volontà e la nostra speranza e positività verso il futuro sono aspetti che, nei miei 9 anni all’estero, ho notato renderci unici al mondo.

Il paese delle opportunità! Vivere negli Emirati Arabi Uniti mi ha aperto gli occhi sul futuro: qui si respira un’aria di innovazione in ambito tecnologico ed immobiliare soprattutto, dove il Governo accoglie e sostiene idee provenienti da tutto il mondo, dando fiducia e supporto a chiunque, soprattutto noi giovani, voglia aiutare il Paese ad essere rinomato a livello mondiale grazie a progetti che potenzialmente cambieranno il mondo.

Essendo un’imprenditrice ho scelto di seguire il mio sogno invece che guardare solo al mio titolo di laurea. Penso che a Bergamo tante persone si sentano obbligate a lavorare in quello che si trova disponibile, senza guardarsi dentro, il che crea uno stato di insoddisfazione perenne. A livello di business vivere qui mi stimola molto, perché lavoro e posso crescere allo stesso tempo.

Sicurezza ed efficienza

L’aspetto che più amo in assoluto del vivere in questa parte del mondo è senz’altro la sicurezza: pensate che c’è anche gente che lascia le chiavi fuori dalla macchina e la porta di casa aperta. Qui è pieno di telecamere ovunque, il che favorisce una protezione eccellente soprattutto per famiglie e bambini. La tolleranza zero verso le droghe sicuramente aiuta moltissimo anche la sicurezza stradale. La pulizia è anche un punto sul quale questo paese vince: strade tenute pulitissime, nessuna spazzatura per terra, servizi pubblici puliti, elettrici ed efficienti. Infatti le sanzioni sono pesanti per chi non rispetta le leggi e si può anche finire in prigione per crimini che in Italia verrebbero lasciati passare facilmente.

L’efficienza dei servizi è un altro aspetto che conta: esiste un’app per qualsiasi cosa, dall’estetista a domicilio alla farmacia 24h che consegna farmaci in 15 minuti. Questo è il paese del marketing e del networking e mi piace pensare che ci siano tantissime opportunità per i giovani di farsi conoscere e di trovare lavoro semplicemente partecipando ad eventi e conoscendo persone nuove. Insomma mi piacerebbe che anche la nostra amata Bergamo avesse un po’ più di ordine per far sentire i suoi cittadini più al sicuro mostrando il proprio potenziale per poter scalare la propria carriera, creando comunità di persone con interessi simili che si potranno supportare in futuro.

Mi manca la nostra bellezza

Ovviamente, da quando vivo qui, essendo puro deserto, mi mancano tantissimo le nostre montagne ed il cambio delle stagioni. Essendo della Val Seriana, amo fare passeggiate sulla pista ciclabile accanto al fiume Serio con le sue cascatine, con il suo verde e la sua aria pura (qui è un clima umido). Per non parlare dei nostri bellissimi laghi… Iseo, Lovere, il giro dei cinque laghi, Endine. E le nostre Orobie, che ormai consiglio a tutti i miei amici stranieri per le vacanze e rimangono sempre sbalorditi.

Se ci penso, realizzo quanto per noi bergamaschi sia importante stare con la famiglia e gli amici, e stare in forma, organizzando camminate ed onorando i nostri paesaggi mozzafiato. La prima cosa che chiedo a mia mamma quando rientro è la polenta taragna e oselì scapàcc, anche in pieno agosto! Mi mancano tantissimo i casoncelli dei nostri rifugi, gli scarpinòcc di Parre, il taleggio… I nostri cibi e paesaggi creano salute mentale e fisica, da non dare per scontate.

Sono orgogliosa di essere bergamasca perché noi non ce la raccontiamo, siamo colti, lavoriamo duro ed ascoltiamo il nostro cuore, volendo sempre aiutare gli altri in qualche modo e prendendo la vita con filosofia. Se iniziamo una cosa, dobbiamo portarla a termine subito, e fatta bene. Siamo accoglienti verso le novità e faremmo di tutto per proteggere la nostra casa, soprattutto in ambito di sostenibilità. Dall’altra parte, qui nessuno si lamenta del Governo sui social media e la diffamazione è un reato penale, il che favorisce un clima pacifico, di rispetto e di integrazione culturale.

Il senso di comunità mi manca molto qui, come ci supportiamo a vicenda e come diamo sempre il nostro meglio con le nostre qualità, raffinatezza ed impegno, sempre col sorriso, mettendo sempre al primo posto la famiglia e gli amici.

Se sei a Bergamo ora magari non te ne rendi conto… Ma all’estero ci amano per essere genuini, veri, sinceri, e per avere uno stile impeccabile.

Vivendo in una metropoli dove coesistono tutte le culture del mondo, il senso del bene comune è la chiave semantica che apre porte ovunque. Il rispetto delle regole e dell’alterità data dal valore della famiglia è sicuramente un ponte verso le altre culture, ed essere aperti mentalmente è essenziale per la nostra evoluzione.
Lilia Parmigiani (Dubai)

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