«Intervistando la gente possiamo capire meglio quanto siamo cambiati»

È in corso l’indagine sociologica voluta da L’Eco e UniBg. Vogliamo osservare la realtà così come è, per comprendere cosa siamo diventati.

Impariamo ad osservare

di Lorenzo Migliorati
Professore associato di Sociologia dei processi culturali presso l’Università di Bergamo


Peter Berger, uno dei padri della sociologia americana contemporanea, raffinato studioso di temi come la secolarizzazione delle società moderne, la religione e il relativismo culturale, scriveva nel 1963 che la sociologia non serve a niente; che è “soltanto” uno sforzo di comprensione. Tra tutte, è la definizione della mia professione che più amo: in particolare le virgolette che incorniciano quell’avverbio, soltanto, e quella magica parola, comprensione. Devo annoiare il lettore con una distinzione necessaria. Noi siamo abituati a pensare che comprendere, capire e spiegare qualcosa sono circa la stessa cosa, ma non è così. Comprendere è una cosa; spiegare un’altra (giudicare, un’altra ancora, ma non è questo il mio lavoro). La seconda azione ha a che fare con la ricerca delle cause; la prima collega le cose individuali agli orizzonti di senso collettivi. Posso spiegare quali cause meteorologiche hanno fatto in modo che oggi abbia piovuto tutto il giorno, ma sarà solo attraverso la comprensione che scoprirò quanto è stata importante questa giornata per noi, dopo lunghi mesi di siccità e aria irrespirabile.

Fuor di analogia, le nostre interviste hanno l’obiettivo di comprendere qualcosa in più di noi, del nostro tempo, della nostra gente, del nostro territorio, della nostra identità in trasformazione. Non c’è una finalità pratica o una azione concreta alla fine, ma “soltanto” una necessità sociale: avere in mano qualche strumento in più per interpretare il nostro tempo.

Cambiare è la norma, più che l’eccezione
In un certo senso, da bergamaschi abbiamo lungamente coltivato l’idea – per qualcuno un vanto, per altri un’onta – di essere (stati) al riparo dai grandi flussi, dai grandi rivolgimenti simbolici del mondo, dai feroci mutamenti della modernità avanzata. Il nostro piccolo mondo antico così diverso dalle molte Los Angeles che crescevano. Casa, chiesa e bottega: vale a dire solidi valori, identità chiare e definite, pochi fronzoli (mia tate bale, se preferite). Io, il sospetto che ce la siamo raccontata, a dispetto di ogni evidenza, un po’ ce l’ho perché, naturalmente, questa è una visione del tutto edulcorata e per nulla attinente alla realtà delle cose, utile più per una chiacchiera al bar che per interpretare davvero il nostro mondo.

Il disincantamento ha toccato noi, al pari di tutte le società occidentali, da molto tempo. Poi, la pandemia ha fatto il resto: ci siamo scoperti centro del mondo e non periferia; vulnerabili alla malattia, alla morte e alla debolezza e non onnipotenti. Ci dicevamo che saremmo usciti migliori e invece ne siamo usciti e basta (non che si dovesse uscire migliori per forza, del resto). Con le interviste stiamo parlando con la gente della nostra provincia. Parliamo di famiglia, lavoro, politica e costumi del nostro tempo (del resto, non sono queste le cose di cui chiacchieriamo al bar?). Abbiamo bisogno di comprendere e di essere aiutati ad interpretare il mondo delle cose della nostra vita quotidiana, al di là degli stereotipi e dei luoghi comuni. Il punto non è: si stava meglio quando si stava peggio oppure dove andremo a finire se continua così.

Credo che il punto sia comprendere (appunto) che il mutamento è la norma più che l’eccezione; e la trasformazione, la condizione strutturale del nostro tempo. E questa è una condizione di fatica per noi, individui del contemporaneo: se il presente amplifica a dismisura, il passato e il futuro si consumano. Ne sanno qualcosa, ad esempio, le generazioni che non sanno più parlarsi tra loro. E così alleniamo l’occhio all’osservazione sociologica della realtà che ci circonda; diventiamo osservatori di noi stessi per capire qualcosa in più proprio di noi. Una specie di osservatorio permanente sulle trasformazioni sociali del nostro tempo. Perché no?

L’indagine sarà su 4 ambiti: famiglia, lavoro, chiesa e politica

Indagare le trasformazioni avvenute negli ultimi anni significa fare i conti con processi in corso da decenni non solo nel territorio bergamasca ma globalmente. Il processo di individualizzazione, per esempio, mette sempre più in discussione l’equilibrio tra interessi personali e bene comune, l’allungamento dell’aspettativa di vita e la denatalità portano all’invecchiamento della popolazione con i più giovani sempre meno presenti, con domande pressanti sulla sostenibilità sociale, accanto a divari sempre più polarizzati per accesso a risorse e opportunità. La transizione ecologica e quella tecnologica ci interpellano su come immaginiamo e vogliamo il futuro, ponendo anche quesiti etici. Cambiamenti che, per certi versi, la pandemia ha accelerato.

Nell’indagine cercheremo di capire come, in questo scenario in transizione, l’identità bergamasca si stia trasformando, quali elementi rimangono invece saldi e quale direzione per il futuro la società bergamasca si auspica. Lo faremo approfondendo quattro tematiche cruciali, cercando di rispondere a domande di ricerca specifiche per ciascun ambito.

1. La famiglia è il luogo di costruzione dell’identità e perno della struttura sociale territoriale. Quale identità si costruisce nelle famiglie bergamasche attuali? In quali modelli ci si riconosce?
2. Come si declina oggi la tradizionale equazione «bergamaschi=lavoratori»? Di quali valori è rappresentativo il lavoro oggi?
3. Chiesa e morale: come è il “mondo simbolico” e morale della terra bergamasca oggi? Nella frammentazione odierna, come è vivo il ruolo di collante e promozione sociale della Chiesa?
4. La partecipazione politica. Quali motivi spingono a mettere in primo piano il bene comune, sacrificando a volte quello personale? Come cambia la percezione di cittadinanza e di appartenenza alla comunità locale?

Cosa succede dopo la raccolta delle interviste

di Marta Pantalone
Docente di sociologia presso l’Università di Bergamo

Dalle voci e dalle parole nascono sguardi sul futuro
Come raccontano i cambiamenti sociali occorsi negli ultimi mesi i bergamaschi e le bergamasche? Quali sono le narrazioni associate ai modi di fare ed essere famiglia/e, di fare impresa, di partecipare alla vita politica, di vivere la dimensione religiosa nella comunità?

Una volta raccolte le voci dei testimoni privilegiati sulle tematiche oggetto di indagine (famiglia, lavoro, politica e religione) si aprirà la fase cruciale di analisi dei dati. Questo passaggio, essenziale nel processo di ricerca, trasformerà le molteplici e variegate voci raccolte durante le interviste (indicativamente circa 350 interviste, una mole molto significativa di materiale!) da testi sparsi e disordinati a idee organizzate circa i fenomeni oggetto di indagine.

In pratica, al termine della fase delle interviste saranno state raccolte tante parole, tante voci, tanti racconti ed esperienze di vita vissuta. Voci appartenenti a persone che hanno caratteristiche ed esperienze anche molto diverse tra loro: diversi per età, livello di istruzione, esperienze di vita e lavoro. Ora, come è possibile che tutta questa ricchezza di ‘parole’ possa restituire un quadro vivido e attuale della realtà della bergamasca? Come è possibile trarre da diverse narrazioni un quadro che ci aiuti a descrivere chi sono i bergamaschi e le bergamasche di oggi e chi vorrebbero essere nel prossimo futuro?

L’analisi dei dati inizierà con la sbobinatura delle interviste: i file audio saranno trascritti, le parole parlate diventeranno parole scritte. In questa fase le interviste verranno anche rese anonime: il testo non farà più riferimento ad una persona riconoscibile (la signora Maria Rossi, 55enne, proprietaria dell’ortofrutta in piazza), ma acquisirà un codice che preserverà solo alcune caratteristiche principali dell’intervistato/a. Ad esempio, il fatto che sia una donna, di 55 anni, piccola imprenditrice.

Il confronto e l’analisi
Una volta trascritti i testi saranno poi analizzati per singoli temi: in altre parole, si cercheranno, nei testi, le diverse sfumature attraverso le quali i fenomeni in analisi sono stati rappresentati dall’intervistato, quali sono le parole usate per descriverli, quali gli esempi riportati. Questa operazione, replicata su tutte le interviste effettuate, porterà alla luce numerose rappresentazioni. Ed è qui che il lavoro di analisi diventa ‘affascinante’: inizieranno ad emergere analogie tra le rappresentazioni, somiglianze, ma anche differenze e peculiarità.

Se il tema, ad esempio, è quello della famiglia, si presterà attenzione ai diversi modi in cui viene descritto qual è il ruolo assunto dalle famiglie all’interno dei contesti in cui si vive, si presterà attenzione alle immagini usate per descrivere le famiglie, agli esempi associati a questa realtà. Si cercherà di capire se le rappresentazioni della fascia più giovane di popolazione sono simili o diverse da quelle della fascia di popolazione adulta o anziana. Oppure se le donne descrivono i mutamenti avvenuti nei nuclei familiari in modo simile o differente rispetto agli uomini. Potranno essere messe in luce le differenze generazionali sul tema della famiglia e, forse, potremmo stupirci nel riscontrare che tali differenze non sono poi così marcate.

A questo punto le rappresentazioni raccolte, meglio, gli universi di rappresentazioni verranno riletti e messi in dialogo con quanto emerso dalle più recenti ricerche scientifiche sul tema. Per continuare con l’esempio della famiglia, si cercherà di capire se le rappresentazioni e le tendenze emerse nella bergamasca sono in linea con quelle emerse dalle più recenti ricerche sulle famiglie e sulle configurazioni familiari, quali siano gli elementi che le caratterizzano nel più ampio contesto nazionale e internazionale.

In questo processo, le voci dei bergamaschi e delle bergamasche non saranno trattate come meri dati grezzi, ma rifletteranno punti di vista autentici, prospettive sul passato, sul presente e sul futuro della comunità locale. E attraverso l’interazione tra i ricercatori, i giornalisti e i testimoni privilegiati, queste voci prenderanno forma e significato, offrendo uno sguardo approfondito sulla realtà bergamasca. Sguardi sull’oggi, ma anche sguardi sul domani.

Il contributo dei bergamaschi all’estero

I tanti bergamaschi in giro per il mondo si confrontano ogni giorno con valori ed esperienze diverse. Alle loro proposte, testimonianze e riflessioni vogliamo riservare in questo progetto un ruolo particolare.

Dal Canada: la vita è nel mondo, ma cuore e testa restano a Bergamo

Mi chiamo Rossana Copler, sono una scrittrice e insegnante di italiano, attualmente residente a Vancouver con mio marito e i miei figli. La lontananza da casa ha accentuato la mia nostalgia per la mia città d’origine, legandomi ancor di più alle tradizioni bergamasche. Da oltre vent’anni vivo all’estero e, forse per attenuare la mancanza, ho cercato di trasmettere alla mia famiglia il mio orgoglio per la mia identità bergamasca.

Ad esempio, celebriamo sempre la festa di Santa Lucia, e i miei figli, anche ormai adulti, continuano ad aspettarsi qualcosa di speciale sotto l’albero ogni 13 dicembre. Inoltre, ogni domenica mattina preparo la polenta, un rituale che mi avvicina alle radici e alle memorie di casa. Tuttavia, la mancanza della guida estiva attraverso le vie del mio paese, con il profumo di polenta nell’aria e il suono delle campane, è un vuoto che cerco di colmare in modo creativo.

Per compensare questa nostalgia, chiamo spesso un’amica che vive vicino a una chiesa, aspettando il fuso orario e il divario di 9 ore, solo per sentire il dolce suono delle campane, una melodia che per me è come un richiamo alla mia infanzia. Mi riporta alle spiegazioni di mia nonna sui diversi rintocchi delle campane e i loro significati. Questa pratica è diventata una connessione speciale con le radici che ho lasciato dietro di me. Nella mia famiglia, dove i miei figli parlano correntemente inglese, francese e italiano, ci dilettiamo anche nel dialetto bergamasco. È diventato un gioco divertente, anche se spesso devo chiedere ai miei genitori di tradurre le parole che mi sono sconosciute. Pur capendolo bene, il dialetto è una parte di me che non ho imparato a parlare.

Attraverso il mio lavoro di insegnante e scrittrice, cerco di promuovere la bellezza della mia città, che considero magnifica e completa sotto ogni aspetto. Sono fiera di appartenere a una comunità di grandi lavoratori, pronti a dare il massimo quando c’è bisogno, dimostrando un forte senso di solidarietà che mi manca nella città in cui vivo attualmente. Amo il calore della comunità nei paesi, dove tutti si conoscono e, nonostante qualche pettegolezzo, mi sento sempre a casa. Trovo conforto nel ritrovare le persone esattamente dove le ho lasciate, una continuità che spesso manca nella città in cui risiedo ora, dove spostarsi tra case, lavoro e amicizie è comune.

In conclusione, nonostante la distanza fisica, cerco costantemente di mantenere viva la mia identità bergamasca, attraverso le tradizioni, i suoni e le connessioni con le persone che amo.La lontananza può generare nostalgia, ma la mia dedizione a portare avanti le radici della mia cultura è un modo per sentirsi sempre un po’ più vicini a casa.
Rossana Copler

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