Aiutiamo la famiglia ad uscire dalla logica della performance

Il disagio giovanile è l’eredità più pesante del Covid. Ma oggi ad essere ancora più in crisi è il ruolo dell’adulto. La famiglia svolge ancora un ruolo prezioso, ma non può essere lasciata sola.

Una risorsa fondamentale

Come e quanto ci ha cambiato la pandemia? Molto è stato scritto delle conseguenze sui bambini, gli adolescenti, i giovani. E chi ha figli, lo sa bene per esperienza diretta. Ma anche le stesse dinamiche familiari sono state influenzate e molti genitori si trovano oggi alle prese con questi cambiamenti senza strumenti per trovare risposte efficaci.

Ne è convinto Gilberto Giudici, di professione educatore professionale e direttore della cooperativa «Il Piccolo Principe». Responsabile del Servizio multidisciplinare integrato di Albano S.A. (SMI), Servizio Ambulatoriale per le dipendenze, la Cooperativa partecipa come partner a diversi progetti territoriali come «Family first», un Centro famiglia promosso dall’ambito Territoriale sociale di Grumello del Monte, che comprende i comuni di Bolgare (capofila), Calcinate, Grumello, Telgate, Castelli Calepio, Mornico e Palosco. È operativo con sportelli informativi e di orientamento, supporto psicologico e sociale e punti di ascolto per i giovani, e un coordinamento con le realtà che si occupano di famiglie e minori. «Quando guardo giovani e giovanissimi – afferma Giudici –, io penso che non sono tanto loro in crisi in questo momento, ma lo sono di più le famiglie. È il ruolo dell’adulto che oggi è in crisi, e che trasmette una serie di incertezze e insicurezze di cui i giovani non sono che la parte più sintomatica».

Da sempre il compito del genitore è faticoso, ma è indubbio che oggi “essere famiglia” richiede ancor più impegno che in passato. «Siamo immersi in un contesto sociale che misura molto la performance. E di fronte alle difficoltà le famiglie subiscono proprio il giudizio della mancata performance, e così, vivendo in un isolamento di fondo, di fronte alle fragilità le famiglie diventano spesso ancora più fragili. Vivono il timore del giudizio, della “non riuscita”, e si isolano ancora di più».

Il ruolo della famiglia continua a essere centrale, ma è innegabile la maggiore complessità rispetto al passato, dovuta anche alla conciliazione di tempi vita/lavoro più frenetici e alla crescente complessità dei processi educativi. «Per questo è necessario implementare quei servizi che guardano la famiglia in tutte le fasi della vita. Oggi forse guardiamo molto ciò che riguarda i primi anni, 0-6, molto poco invece le altre fasi della vita: come l’accompagnare le famiglie quando si trovano ad affrontare i temi dell’adolescenza, o quando si è genitori di soggetti un po’ più fragili: la conciliazione a volte rischia di essere solo una parola sulla carta e non un dato di fatto».

In una relazione che sa orientare

In questo quadro si modifica, rispetto al passato, anche la caratteristica che vedeva la famiglia come luogo primo e principale di trasmissione di valori. «La complessità maggiore vuol dire che anche nei processi educativi oggi la famiglia deve diventare, sempre di più, il luogo dell’orientamento e forse ha meno la possibilità di trasmettere saperi – prosegue Giudici –. Cosa intendo dire? In passato tutta la trasmissione delle conoscenze avveniva attraverso pochi canali: famiglia, scuola, oratorio. Oggi, con l’avvento di tutta una serie di risorse esterne (televisione, internet e tutto quanto), i ragazzi hanno a che fare con una moltitudine di informazioni che non necessariamente sono filtrate dagli adulti. E dunque è diventato ancora più difficile, per i genitori, riuscire ad orientarli, a riconoscere ciò che in qualche modo è utile rispetto a ciò che non lo è, ciò che è adatto alla loro età da ciò che non lo è, e ad orientarli anche sulle fonti. Per questo ritengo che il ruolo degli adulti sia più in crisi rispetto al passato: viviamo in un sistema che, di fronte alle prime fragilità, li fa sentire come inadeguati. E questo si unisce alla fatica delle famiglie a socializzare le difficoltà, le vivono come “non capacità di...”. Il considerarsi inadeguati crea una barriera per richiedere aiuto. E le famiglie rischiano di arrivare ad alcuni servizi troppo tardi, quando le situazioni sono ormai segnate da estrema fragilità. Ecco, questo è un processo culturale che dobbiamo assolutamente rompere».

Il ruolo dei servizi sul territorio

In questa situazione di maggiore disorientamento, ad essere chiamati in causa sono anche gli stessi servizi pubblici, operativi sul territorio. «Dobbiamo anche dirci – sottolinea Giudici – che dobbiamo costruire servizi più maturi. Se le famiglie sono disorientate, spesso entrano nella porta di un servizio che non è detto sia subito quello appropriato. Qui sta anche la capacità della rete sul territorio: di riuscire a non chiudere la porta (semplicemente rimettendo fuori le domande perché inadeguate), avendo la capacità di ri-orientarle e accompagnarle alla porta giusta. Diversamente siamo tutti un po’ perdenti. Non si può essere inclusivi solo immaginando processi di comunità, bisogna essere inclusivi anche attraverso la capacità di orientare, ri-orientare le persone alle porte giuste».

«Anche perché non è detto che il paradigma dei servizi sia ancora attuale oggi nelle risposte. Il sistema odierno guarda molto al sintomo del disagio mentale, il disagio psichiatrico, le dipendenze, gli attacchi al corpo, il disturbo alimentare, l’autolesionismo. E non è detto che questa iper-specializzazione sia ancora una risposta efficace, ad esempio, negli anni adolescenziali, 11-24 anni, in cui spesso tutte queste sono espressioni di sofferenza. Dobbiamo cioè chiederci se, al di là dell’intervento specialistico sul sintomo, non sia necessaria una presa in carico che guarda più alla sofferenza che sottende e non necessariamente al sintomo, perché diversamente ognuno prende il suo pezzettino, ma rischia di perdere la dimensione globale della persona. Così come, al tempo stesso, va assolutamente preso in carico il sistema familiare, proprio per aiutarlo a recuperare la sua capacità educativa ed affettiva, la sua capacità multidimensionale di essere fattore protettivo».

Progetta con noi la provincia che vorresti abitare!

Sui temi della famiglia, del lavoro, della vita religiosa e della partecipazione in queste settimane è in corso in Bergamasca una grande indagine sociologica, voluta da L’Eco di Bergamo e i sociologi dell’Università di Bergamo.

Per capire come e quanto siamo cambiati negli ultimi anni.

Per questo i collaboratori de L’Eco stanno realizzando tante interviste, incontrando testimoni della vita delle nostre comunità.Accompagniamo l’indagine con diversi contributi, ospitando su queste pagine e sul sito de L’Eco pareri, domande e riflessioni. Insieme al contributo di chi, bergamasco, oggi vive e lavora all’estero.
Chiediamo anche a te di comunicarci il tuo pensiero. Vogliamo conoscere le tue idee, per costruire insieme a te una “missione” per il territorio bergamasco.
Puoi scrivere a: [email protected]

Bergamo senza confini

Ogni settimana uno spazio riservato ai tanti bergamaschi in giro per il mondo, e che si confrontano con valori ed esperienze diverse. Le loro proposte e riflessioni sono un contributo alla nostra indagine.

«Sono cittadina del mondo grazie ai miei genitori»
Sharon, da Francoforte (Germania)

Ormai vivo da quasi 10 anni in Germania, ma mi definisco ancora una bergamasca doc - e lo sarò sempre, credo. Chi sono i bergamaschi? I bergamaschi sono “famiglia e lavoro al primo posto”, di pari passo. Da quando vivo a Francoforte (ormai quasi 10 anni) non c’è giorno che passa senza chiamare mamma e papà. E non si tratta di essere troppo mielosi o sdolcinati: a volte le chiamate durano solo una manciata di secondi, ma il mio babbo deve vedermi e sentire “che sono felice”. Un genitore lo capisce semplicemente dall’espressione del viso o dal tono di voce. Se avessero il sentore che qualcosa non va, prendono direttamente la macchina e partono direzione Germania. Come già successo: chiamati e in 9 ore me li ritrovo davanti alla porta di casa. I miei genitori sono bergamaschi dalla corazza dura, ma dal cuore tenero. Esprimono il loro affetto più con fatti che con gesti: «Se vuoi una cosa Sharon, rimboccati le maniche, lavora sodo e vedrai che arriva».

Grazie a loro ho questo senso innato di dovere e dedizione, che mi ha portato oggi dove sono. Dal primo gennaio sono Marketing director per un’azienda internazionale qui a Frankfurt (Groupe SEB WMF GmbH), a soli 33 anni. I miei colleghi tedeschi mi dicono «sei una macchina che va a 100 km all’ora» e che «non è proprio l’immagine dell’italiano medio qui». E io rispondo sempre con molto orgoglio: «non sono un’italiana qualunque, sono bergamasca».

Sacrificio e passione sono caratteristiche che ci contraddistinguono da tutti: il mio babbo si è alzato per 40 anni alle 4 del mattino per andare a lavorare in cantiere a Milano e permettere a me e a mio fratello di realizzare qualsiasi sogno nel cassetto; farmi studiare negli Stati Uniti o in Austria per esempio. Oppure mia mamma, che per anni mi ha scarrozzato avanti e indietro in macchina tra liceo e palestre quando giocavo nelle giovanili della Volley Bergamo, spendendo ore e ore nel traffico per vedermi felice.

Se sono una “cittadina del mondo” è grazie a loro, i miei genitori, e se ho raggiunto questi risultati nel lavoro è ancora grazie a loro: sicuramente non mi reputo più intelligente o “più brava” degli altri, ma credo di avere un livello di energia, di impegno e di passione che non tutti hanno - ma che caratterizza noi bergamaschi. Siamo orgogliosi, lavoriamo in silenzio e “portiamo a casa risultati”. La nostra cultura gira attorno ai fatti e su questo possiamo solo che essere d’esempio. Cosa potremmo però imparare? A prenderci una pausa ogni tanto, a girare questa dedizione su noi stessi e non solo sul prossimo come il “bergamasco doc” fa. E ogni tanto ad esprimerci con gesti: un abbraccio in più fa bene al cuore qualche volta. Grazie! Sharon Spinelli

«La vita va vissuta, non giudicata»
Matteo, da Lille (Francia)

- La perseveranza è un forte valore da bergamasco che ho portato con me in qualsiasi esperienza provata e in tutti i progetti nei quali io mi sia implicato.
- Essere bergamaschi significa essere fieri delle proprie radici e esprimere dedizione alla propria famiglia, un valore secondo me essenziale.
- Possiamo insegnare molto sui valori familiari, sul rispetto del territorio e dei nostri prodotti (bisogna comprendere come meglio promuovere questi ultimi all’interno e all’esterno della provincia).
- I maggiori limiti sono la profonda gelosia nei traguardi altrui, un accanito giudizio in caso di errori, e un’accezione estremamente negativa sul “fallimento”. La vita va vissuta, non giudicata.
- Ci vuole maggior fiducia nelle idee imprenditoriali dei giovani e un accesso semplificato al mondo del lavoro che ripaghi in maniera sostenibile tutti gli investimenti che le famiglie fanno per l’istruzione. Io per esempio studiando all’estero, ho lavorato nel mio settore per 18 mesi grazie ad una formula speciale tra scuola e imprese, durante la quale sono stato correttamente retribuito come un dipendente normale (stipendio, ferie, benefit, buoni pasto, etc); l’impresa ha inoltre finanziato un anno di master e mi ha formato dandomi responsabilità importanti e missioni in linea con i miei studi e gli obiettivi aziendali.

Per costruire una Bergamo forte nel futuro bisogna persistere nella creazione di una comunità forte, sincera e più aperta. Focalizziamoci sul valore del territorio, agendo sulla condivisione e la comunicazione. Il tutto dando un ruolo da protagonista ai giovani, dando loro l’opportunità di sbagliare nella strada per perseguire i sogni.

Seppur conciso, spero di essere stato d’aiuto.
Matteo Bratelli

«Tanti i problemi per chi vive nelle valli»
Giuseppe, travel blogger

Viaggiamo nel mondo con le nostre figlie per periodi di circa 15 - 20 giorni ogni volta, e lo facciamo molte volte l’anno. Torniamo sempre volentieri a casa, ma se ne avessimo la possibilità, saremmo sempre in viaggio. Aderisco alla proposta di «dire la mia» sui temi sollevati, affrontando i problemi che si incontrano quotidianamente abitando in un piccolo paese di montagna. Noi abitiamo in Alta Val Seriana e abbiamo due figlie. Ebbene, nonostante ci siano molte cose positive come la tranquillità del posto, l’aria buona, tanto verde, ci sono anche delle problematiche di difficile soluzione che ormai si trascinano da anni senza trovare soluzioni.

Il primo punto molto dolente sono i trasporti pubblici e soprattutto le strade: raggiungere Bergamo per noi delle valli è un’impresa assurda che è a conoscenza di tutti ma nessuno (o quasi) fa qualcosa per risolvere la situazione. Una provincia ricca come la nostra, deve essere in grado di sostenere degli importanti investimenti per agevolare la vita dei valligiani. Un pendolare arriva al venerdì sera stanco come se avesse fatto un mese intero di lavoro, non solo una settimana! Nel mondo abbiamo visitato molti Paesi che investono su ferrovie e strade, investono quindi sulla qualità della vita dei propri cittadini!

Un esempio molto virtuoso in ambito veicolare, rispetto al nostro, senza andare troppo lontano, è la provincia di Brescia dove ci sono moltissime strade. Perché loro costruiscono molte strade e qui in Bergamasca non cambia mai nulla? Perché per percorrere 40Km c’è bisogno di 1 ora e 30 minuti? Perché quando si deve partire dall’aeroporto di Malpensa c’è sempre paura di arrivare tardi, al punto di partire da casa il giorno prima e dormire in loco?

Tra pochi anni ci saranno le Olimpiadi invernali molto vicini alla nostra provincia: quale migliore occasione per costruire nuove strade e ferrovie? Ma non solo in città, anche nei piccoli paesi delle valli. Non farlo vuol dire isolarli! Che opportunità possiamo dare ai nostri figli? Lo spopolamento dei paesi può solo che correre imperterrito!

Fortunatamente in ambito turistico ci sono anche cose che funzionano, come l’aeroporto di Orio al Serio che ci offre sempre moltissime occasioni per viaggiare. Una realtà molto consolidata che ci invidiano in molti. Certo che il collegamento aereo da Orio a Roma, la capitale d’Italia, è quasi inesistente, ma non dovrebbe essere quello più offerto? Il turismo nelle nostre valli sembra sia in crescita ma senza strade o ferrovie non potremo crescere!

Gli amministratori dei nostri paesi cercano di trovare proposte interessanti per attirare coppie giovani con figli piccoli, oppure promuovono manifestazioni di carattere enogastronomico che accolgano il turista, ma senza strade o mezzi pubblici la vedo molto dura. Un esempio: un cittadino inglese sta pianificando un weekend nella nostra provincia; vorrebbe andare a sciare al Monte Pora e poi visitare la bella località di Lovere per ammirare il lago. Il volo aereo lo porterà alle 21 all’aeroporto di Orio al Serio. Come fa a raggiungere la Valle Seriana?
Niente treno.
Niente pullman.
Niente Uber.
O auto a noleggio oppure taxi, con costi molto alti. Cosa decide di fare il nostro amico? Cambiare la località del proprio weekend, dove ci sono più mezzi pubblici.

Altra domanda: perché non si investe sulla creazione di strutture ricettive? Senza posti letto la gente non viene da noi, va in altre regioni. Per esempio a Clusone hanno aperto un meraviglioso hotel a 5 stelle che sicuramente porterà molti turisti, ma è chiaro che i clienti sono di nicchia. Va dato atto a questo imprenditore lungimirante che ha investito nel nostro territorio, ma è una mosca bianca. Il turismo che viene nelle valli bergamasche è quello delle seconde case, non può essere considerato turismo di crescita. È un turismo che sul territorio lascia gran poco, ormai non fanno più nemmeno la spesa, la portano da casa. Diciamola tutta, lasciano solo i rifiuti, a volte abbandonati anche in mezzo ai nostri boschi (anche se non sono sempre i villeggianti che li lasciano).

Vogliamo parlare dei trasporti per i nostri studenti? Prezzi sempre in crescita senza avere nemmeno il posto a sedere (e in certe situazioni non riuscire nemmeno a salire). Nonostante la proposta di indirizzi scolastici sia in crescita, il problema restano sempre i trasporti, carissimi e insufficienti. Quindi, ricapitolando: noi valligiani siamo cittadini di seconda fascia? I fatti lo testimoniano. Le tasse sono le stesse dei cittadini, senza avere dei servizi. Non parlo della sanità perché altrimenti mi servirebbe un libro intero. La conseguenza inesorabile è lo spopolamento delle nostre valli, aiutato da un deciso calo di nascite. Nessuno ha la bacchetta magica e non saranno certo le mie idee e proposte che risolveranno la situazione.

La nostra valle è bella e sicuramente ha molte potenzialità da esprimere non soltanto in campo industriale. Forza e coraggio ai nostri bravi amministratori, che trovino la soluzione al più presto. Il tempo ormai è scaduto, ma con un passettino alla volta, anche piccolissimo, faremo passi da gigante.E grazie per l’opportunità che mi avete dato.
Giuseppe Schiavi
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