Migranti? L’invasione
che in Italia non c’è

In Italia il numero di ingressi di migranti con regolare permesso di soggiorno sta crollando. Lo rivelano le statistiche dell’Istat. Gli ingressi erano 598 mila nel 2010, ma da allora sono diminuiti anno dopo anno fino a 245 mila nel 2015. Non solo. Nel 2009 il 63 per cento delle persone chiedeva un permesso di soggiorno per ragioni di lavoro. Nel 2014, invece, i permessi di lavoro sono stati meno di un quarto di quelli totali: 358 mila nel 2010 e 57 mila nel 2014. Insomma, non ci rubano il posto.

Salgono molto, intanto, i permessi per ricongiungimento familiare, aumentano un po’ quelli per motivi umanitari e le richieste di asilo. In definitiva, l’Italia non sembra più una meta così ambita. Inoltre si sfata un altro cliché: i migranti non portano malattie pericolose. Chi resiste al calvario dei viaggi per deserti e mari è forte: se avesse l’ebola non sopravvivrebbe. E tubercolosi e hiv sono in netto calo. I disturbi più frequenti sono dermatologici: scabbia, impetigine, foruncolosi, che si curano facilmente, in pochi giorni di terapia. Lo dichiara l’Inmp, Istituto nazionale per la promozione della salute delle popolazioni migranti e per il controllo delle malattie della povertà, un ente pubblico che si occupa delle fasce più vulnerabili della popolazione.

E il rischio terrorismo? È vero che Frontex rilancia l’allarme per i terroristi che si possono nascondere nel flusso di migranti. Gli attentati in Europa - da quelli di Madrid nel 2004 e Londra 2005 fino a Parigi 2015 e Bruxelles 2016 - dimostrano però che terroristi vivono già nei nostri Paesi e non arrivano con i gommoni. Il problema dell’immigrazione sorge dalla seconda generazione, con i figli che non hanno conosciuto le tremende condizioni di vita sperimentate dai padri. Soprattutto nel caso dell’immigrazione islamica. Gli immigrati della prima generazione non determinano problemi ingestibili: venivano e vengono di solito da situazioni terribili e sono contenti di trovarsi a vivere in Europa.

Urgono strategie nuove, quindi, per l’integrazione. L’esperienza delle nazioni che hanno provato l’immigrazione prima dell’Italia insegna che non funzionano sia il «multiculturalismo» anglo-olandese, sia l’«assimilazionismo» francese, sia - sulle cui orme sembra per ora incamminato il nostro Paese - il «vivi e lascia vivere» tedesco. La buona politica si vedrà dal modo in cui sarà affrontata la sfida dell’integrazione.

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