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Super lettori e creatori di titoli, l’AI entra nelle redazioni per aiutare i giornalisti a creare archivi e rassegne

Articolo. Comprendere, ancor prima che scrivere, è la sfida principale per chi allena l’intelligenza artificiale al servizio dei media. Come farlo e con che risultati sarà al centro dell’intervento di Marco Sangalli, consigliere Sesaab con delega all’innovazione e fondatore di Socialbeat, nel convegno in programma martedì 23 aprile alle 18 alla Casa del Giovane di Bergamo

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Focalizzare i trend del momento, moderare i commenti eliminando automaticamente quelli inappropriati e creare archivi per argomenti. Sono alcune delle attività che in editoria richiedono tempo e impegno e che possono essere delegate, con ottimi risultati, all’intelligenza artificiale.

Ben lungi dall’eliminare la figura del giornalista, l’AI entra nelle redazioni e, se ben governata, può assistere i professionisti nello scremare la moltitudine di discorsi meno rilevanti che una notizia porta con sé, ma anche contribuire a catalogare e digitalizzare le rassegne. Ne è convinto Marco Sangalli, CEO e fondatore di Socialbeat , piattaforma che sfrutta proprio l’addestramento degli algoritmi per supportare l’attività di informazione.

«Il monitoraggio dei commenti sui social network è forse uno degli aspetti più interessanti di questo lavoro, perché fa riferimento alla comprensione del linguaggio naturale – spiega Sangalli – L’algoritmo è addestrato a riconoscere le frasi e i commenti più a rischio e creare una scala di valore; in questo modo categorizza un insulto perché lo ritiene effettivo all’85%, oppure un attacco di genere che ritiene tale al 65%».

Grazie a questo esempio, è più facile comprendere come avviene il riconoscimento del testo da parte dell’intelligenza artificiale che, leggendo il commento, lo classifica e segnala i sospetti di insulto, blasfemia, razzismo o altro, cooperando con chi esercita l’attività di controllo per decidere o meno la rimozione o la segnalazione del commento. Ma non solo, come spiega il CEO di Socialbeat: «Gli algoritmi aiutano molto nella protezione dagli attacchi dei troll, soprattutto di fronte a quei gruppi digitali organizzati che intervengono ogni qual volta venga pubblicata una notizia sul tema vaccini o sulle tematiche del cambiamento climatico, per fare un esempio di argomenti presi di mira».

Per comprendere meglio come l’AI entra nel mondo dell’editoria occorre capire e distinguerne due funzioni: da una parte c’è quello che potremmo chiamare il «super lettore», un’intelligenza artificiale in grado di leggere e riconoscere, in poche ore, una quantità di articoli inimmaginabile per una mente umana, dall’altro il «generatore di contenuti».

Il primo è il caso di un altro dei servizi offerti dalla piattaforma progettata da Sangalli: il riconoscimento di trend topic e la creazione di rassegne stampe dedicate a notizie particolari. «La parte più affascinante di questo addestramento dell’algoritmo sta proprio nella comprensione sempre più profonda del linguaggio. In questo caso l’AI non solo riconosce che un articolo sta parlando di sport, ma individua anche quale sport nello specifico e via via il dettaglio aumenta. Allo stesso modo, per esempio, gli articoli di economia vengono classificati in finanza, storie aziendali, tributi, e altro». Infine, spiega il CEO di Socialbeat: «Aggiungendo la comprensione multilingue l’indagine può essere allargata a livello mondiale e, ancora di più, l’algoritmo è in grado di riconoscere nomi, identità o luoghi specifici».

Un progetto ancora più particolare è quello a cui Marco Sangalli e il suo team hanno lavorato per L’Eco di Bergamo e il gruppo Sesaab di cui è consigliere con delega all’innovazione. « Ogni vita un racconto » è un portale online, un memoriale digitale in cui gli utenti possono trovare oltre 70 anni di necrologi pubblicati sulle pagine del giornale e resi fruibili proprio grazie all’intelligenza artificiale. «Credo sia il primo lavoro al mondo di recupero dell’archivio giornalistico di questo tipo ed è stato particolarmente sfidante» spiega Sangalli, che con il gruppo di lavoro di Socialbeat ha addestrato l’AI per rileggere ogni singolo giornale, riconoscere i necrologi nel loro cambiare e trasformarsi negli anni – da quando erano semplici annunci a quando hanno visto l’inserimento delle fotografie – distinguerli dagli anniversari e, infine, dare vita a un archivio digitale con 320 mila annunci; il tutto in soli 4 mesi. «Per questo progetto abbiamo addestrato più di un algoritmo con funzioni diverse: il primo doveva capire quali fossero le pagine con gli annunci funebri, i successivi dovevano estrarre le informazioni legate alla persona e scartare ciò che non era pertinente» conclude Sangalli.

Non solo comprensione del testo. In editoria l’AI entra in campo anche come creatore di contenuti, sviluppando la parte che noi tutti abbiamo imparato a riconoscere e chiamare come «generativa». «Anche in questo caso non si tratta di sostituirsi ai giornalisti – spiega il CEO di Socialbeat – La parte generativa può comporre in modo automatico un contenuto a partire da elementi già noti e quindi assistere le redazioni nella titolazione, riuscendo a rendere il testo più o meno adatto a una particolare età, per esempio».

Di come AI ed editoria devono imparare a convivere Marco Sangalli parlerà martedì 23 aprile, al convegno « Intelligenza artificiale: cronache del futuro », in programma dalle 18 alle 19.30 presso la Sala degli Angeli della Casa del Giovane (Via Mauro Gavazzeni 13, Bergamo). Un incontro organizzato nell’ambito delle attività di Terza missione del Dipartimento di Lingue, Letterature e Culture Straniere dell’Università degli studi di Bergamo, in collaborazione con L’Eco di Bergamo, Biblioteca «Di Vittorio» CGIL e Rete Bibliotecaria Bergamasca. All’appuntamento interverranno anche Paolo Barcella e Mario Verdicchio, docenti dell’Università degli studi di Bergamo e il professor Colin Porlezza dell’Università della Svizzera Italiana.

«Non ce ne accorgiamo, ma l’AI esiste nelle nostre vite da tanti anni e si è allenata attraverso azioni che noi stessi abbiamo compiuto navigando o usando i social network – conclude Sangalli – Con Socialbeat abbiamo iniziato a lavorare a questo tipo di modelli già nel 2016, ma ciò che è cambiato dopo l’avvento di ChatGPT è il fatto di aver reso l’AI un’esperienza di massa, entrata nel linguaggio comune e comprensibile a tutti. Il rischio ora, semmai, è che aumentino i casi di chi si improvvisa in questo ambito».

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