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Apologia dei parassiti: non sono tutti da eliminare (come il tarlo asiatico)

Articolo. Mentre a Bergamo desta preoccupazione la diffusione del tarlo asiatico, in tutto il mondo i parassiti si stanno estinguendo e non è una buona notizia: ecco perché dovremmo preoccuparcene, anche in Lombardia

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Dallo scorso ottobre è allarme in provincia di Bergamo per la diffusione di un parassita delle piante, il tarlo asiatico del fusto (o Anoplophora glabripennis), del quale diverse popolazioni sono state segnalate sul territorio dei comuni di Treviolo, Curno e Bergamo. Si ritiene che venga accidentalmente veicolato dagli imballaggi in legno delle merci di provenienza asiatica e, sebbene sia innocuo per l’uomo, la legislazione dell’Unione Europea lo ha inserito nella lista dei venti organismi nocivi prioritari, cioè quei parassiti che, una volta insediati nei nostri ambienti, potrebbero causare significativi impatti economici, ambientali e sociali. Questo coleottero cerambicide è infatti estremamente nocivo per molte specie di latifoglie ornamentali, arboree e arbustive sia in ambito forestale che urbano, come aceri, salici, pioppi, betulle, olmi, carpini, frassini e ippocastani.

Possiamo sospettare che una pianta sia stata attaccata dal tarlo asiatico se notiamo appassimenti fogliari, ingiallimenti e imbrunimenti settoriali della chioma, disseccamento dei rami e deformazione della corteccia, ma sarà già troppo tardi: i sintomi compaiono 3-4 anni dopo l’inizio dell’infestazione. I danni causati dalle larve mentre scavano le gallerie per nutrirsi del legno si saranno in quel momento già sommati a quelli provocati dagli adulti quando producono i fori di sfarfallamento. Per la pianta non c’è più niente da fare: una volta rilevata la presenza, inizia una prassi di misure fitosanitarie obbligatorie, che comprendono l’abbattimento non solo della pianta colpita, ma anche delle altre piante sensibili fino a un raggio di 100 metri e la definizione di un’area di sorveglianza fino a 2 km dal focolaio.

A livello pratico, questo significa che a Bergamo sarà necessario procedere a breve all’abbattimento di 204 alberi. Se ne occuperà Regione Lombardia, che provvederà anche al rimpianto degli alberi abbattuti con essenze diverse da quelle maggiormente sensibili al contagio. Questo permetterà di agire in prevenzione, evitando situazioni di desertificazione in caso di epidemie future, che potranno essere arginate.

La situazione è sotto controllo quindi, giusto?

Ebbene no, perché, se il tarlo asiatico del fusto è un parassita nocivo che va tenuto sotto controllo, ci sono migliaia di altre specie di parassiti a rischio di estinzione che invece rivestono un ruolo importante nell’equilibrio degli ecosistemi. Molti di essi mantengono sotto controllo alcune popolazioni animali, mentre aiutano altre a nutrirsi.

Quasi la metà di tutti gli animali noti del nostro Pianeta sono parassiti (e si stima che quelli conosciuti siano solo il 10% di quelli esistenti). Un decimo di loro potrebbe già essere destinato all’estinzione nei prossimi 50 anni a causa del cambiamento climatico, della perdita degli ospiti e dei tentativi deliberati di eliminazione. Lo spiega per National Geographic Chelsea Woods, ecologa esperta in parassiti presso l’Università di Washington, che denuncia come questo tema abbia destato scarso o nullo interesse nella comunità scientifica internazionale. Delle oltre 37.000 specie classificate come gravemente minacciate in base alla lista rossa della IUCN, infatti, solo un pidocchio e alcuni mitili d’acqua dolce sono parassiti.

I cambiamenti climatici sono i primi responsabili di questo processo: un ampio studio ha identificato per esempio una moria di parassiti marini nello stretto di Puget (uno dei più ampi estuari degli Stati Uniti), di proporzioni tali che per qualunque altra classe di animali avrebbe innescato immediatamente un serio intervento di conservazione. Per ogni grado di riscaldamento delle acque dello stretto, il numero di parassiti presenti è diminuito ben del 38%.

Ma facciamo un passo indietro. Cosa sono i parassiti?

Per definizione, i parassiti vivono all’interno o sopra un organismo ospite da cui traggono qualcosa. Tra tutte le specie animali, sono quelli che hanno sviluppato i sistemi di sopravvivenza più ingegnosi: un esempio su tutti è la vespa gioiello , che paralizza una parte del cervello dello scarafaggio e poi lo guida con la sua antenna, come un cane al guinzaglio, verso la sua tana. Lì, la vespa depone un uovo sullo scarafaggio e seppellisce insieme scarafaggio e uovo. Lo scarafaggio diventa così il primo pasto della sua larva.

I parassiti si sono evoluti nel corso di miliardi di anni e oggi contano specie diversissime: dai microrganismi più piccoli e semplici fino ai vertebrati più complessi. C’è perfino un mammifero parassita, il pipistrello vampiro , che si nutre del sangue delle mucche e di altri mammiferi. Tantissimi parassiti sono strettamente correlati all’uomo: più di un centinaio di specie diverse si sono evolute per vivere dentro o su di noi, e molte di queste dipendono da noi per la sopravvivenza della loro specie.

Quindi, perché non possiamo liberarci dei parassiti tout court ?

Una delle più grandi sostenitrici mondiali della conservazione dei parassiti è Skylar Hopkins, ecologa presso la North Carolina State University. Hopkins ha radunato un gruppo di scienziati interessati alla salvaguardia dei parassiti e insieme hanno formulato nel 2020 il primo piano su scala globale per salvarli. Uno degli aspetti che hanno notato nei loro studi è ciò che chiamano il «paradosso della co-estinzione». Per spiegarlo hanno portato l’esempio del pidocchio del maialino nano, una specie in pericolo che vive a spese di un’altra specie in pericolo. Il maialino nano sta scomparendo dalle praterie in cui vive, sulle colline alle pendici dell’Himalaya, e con esso è condannato all’estinzione anche il relativo pidocchio.

Una simile triste sorte l’aveva già sperimentata il pidocchio del condor della California, per ironia della sorte vittima del suo stesso movimento di conservazione. Negli anni ’70, nel tentativo di salvare il condor della California, i biologi hanno iniziato ad allevare gli uccelli in cattività. Parte del protocollo di allevamento prevedeva di eliminare i pidocchi con pesticidi, supponendo che fossero nocivi per i condor e decretandone in questo modo l’estinzione.

Perché dovremmo preoccuparci dell’estinzione dei pidocchi o di qualsiasi altro parassita?

Le conseguenze della loro estinzione si farebbero sentire su una scala più ampia di quella che potremmo pensare. Senza parassiti che le tengono sotto controllo, le popolazioni di alcuni animali esploderebbero, al pari di una specie invasiva trapiantata lontano dai propri predatori naturali. E a cascata ne subirebbero le conseguenze tutte le specie legate alla stessa catena alimentare.

Gli impatti toccherebbero perfino i grandi predatori: molti parassiti si sono evoluti in modo da manipolare l’ospite in cui si trovano e questo comporta spesso la sua fine nelle fauci di un predatore. I vermi nematomorfi , per esempio, maturano all’interno dei grilli e quando, per accoppiarsi, hanno bisogno dell’acqua, influenzano il cervello dei loro ospiti inducendoli a saltare nei ruscelli, dove diventano fonte di cibo per le trote.

Fenomeni simili permettono a uccelli, pesci, felini e altri predatori in tutto il mondo di nutrirsi. Un altro esempio è quello dell’ecosistema delle paludi salmastre che si trovano lungo le coste della California. Qui dei parassiti noti come vermi piatti infettano un tipo di lumache marine, rendendole sterili, quindi cambiano forma per infettare una precisa specie di pesci, insinuarsi nel loro cervello e spingerli a nuotare a riva. A riva i pesci diventano più facilmente preda degli uccelli marini. E ancora, nell’intestino degli uccelli i vermi depongono le uova, che verranno espulse con le feci, raggiungeranno le acque della palude e daranno inizio, nuovamente, al loro ciclo vitale. L’intero ecosistema di queste paludi si regge su una popolazione di parassiti che passa da un ospite all’altro e li manovra come marionette.

Ma torniamo a noi. I parassiti sono tutti essenziali al funzionamento degli ecosistemi? No. Questo significa che vanno tutti sterminati? Sempre no.

Lasciamo che il Servizio Fitosanitario di Regione Lombardia si occupi efficacemente del tarlo asiatico e concentriamoci invece su quello che possiamo fare – tutti noi – per la tutela della biodiversità dei nostri territori, fino alle più piccole forme di vita. Dal 2017 esiste un portale, InNat , che permette ai cittadini di raccogliere e fornire segnalazioni su 30 specie selezionate di insetti protetti dalla «Direttiva Habitat». Il progetto è nato da una collaborazione tra il Ministero della Transizione Ecologica, il Consiglio per la Ricerca in Agricoltura e l’Analisi dell’Economia Agraria – Centro di ricerca Difesa e Certificazione di Firenze, e l’Arma dei Carabinieri.

Dalla nascita il progetto è stato poi ampliato aggiungendo ulteriori specie animali protette: riguarda ora 34 specie di insetti (8 libellule, 2 ortotteri, 7 coleotteri e 17 farfalle) e un crostaceo d’acqua dolce (il gambero di fiume). Inoltre, sono state inserite 3 specie vegetali e 2 habitat presenti negli allegati della «Direttiva Habitat». I dati raccolti sono validati da esperti e poi resi disponibili sul portale del progetto, oltre che condivisi con la banca dati nazionale del Ministero della Transizione Ecologica, il «Network Nazionale per la Biodiversità» (NNB). Il progetto ha riscosso un notevole successo: negli ultimi cinque anni sono state raccolte 834 segnalazioni , corredate di fotografia e validate, relative a 18 specie di insetti protetti in Lombardia.

Grazie a queste segnalazioni si ha oggi un quadro più chiaro sulla distribuzione di insetti protetti e sono state individuate anche nuove popolazioni di alcune specie. Pronti ad armarvi di lente d’ingrandimento e scovare insetti da segnalare?

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