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«Letizia va alla guerra»: cinquant’anni di storia raccontati da tre donne

Articolo. Giovedì 20 aprile alle 21 al TNT di Treviglio torna l’appuntamento con «Il Teatro Che Meraviglia». In scena «Letizia va alla guerra» con Agnese Fallongo e Tiziano Caputo, per la regia di Adriano Evangelisti

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Prosegue la stagione teatrale serale al TNT organizzata dal Comune di Treviglio con la direzione artistica di deSidera Teatro / Teatro de Gli Incamminati. « Letizia va alla guerra » con Agnese Fallongo e Tiziano Caputo, per la regia di Adriano Evangelisti, è la storia di tre grandi donne, due guerre mondiali e un sottile fil rouge ad unirle: uno stesso nome, un unico destino. Le tre Letizia sono tre donne formalmente diverse, una del sud Italia, una del centro e l’altra del nord. Sicilia, Lazio, Veneto. Una sposa vergine, una prostituta e una suora. Tre donne apparentemente distanti tra loro, ma in realtà incredibilmente legate. Agnese Fallongo, drammaturga e interprete dello spettacolo racconta: «Tutto è partito da uno studio che feci sulle portatrici di gerle , le portatrici carniche durante la prima guerra mondiale. Da lì, insieme al regista, è nata la spinta a creare questo spettacolo. L’idea è stata di affidare questo racconto a tre donne di età, storia, provenienza e dialetti differenti, ma collegate tra loro».

La vicenda comincia poco prima dello scoppio della Prima Guerra Mondiale e finisce nel 1958 con la chiusura delle case di tolleranza. Una parabola che attraversa più di cinquant’anni di storia: «Le due guerre trasportano queste tre donnedi nascita totalmente distanti da ciò che la vita le chiamerà a fare – in luoghi diversi, come se le loro precedenti vite deflagrassero insieme alle bombe. Nessuna di loro recrimina la costrizione a scelte diverse da quelle prefissate; anzi, si trovano a fare grandi gesti d’amore adattandosi a ciò che la vita ha riservato loro» spiega il regista.

La prima Letizia è una giovane sposa, partita dalla Sicilia per il fronte carnico durante la Prima Guerra Mondiale, nella speranza di ritrovare suo marito Michele. La seconda Letizia, invece, è un’orfanella cresciuta a Littoria (Latina) dalle suore e riconosciuta dalla zia solo dopo aver raggiunto la maggiore età. Giungerà a Roma in concomitanza con l’entrata in guerra dell’Italia nel secondo conflitto mondiale. La terza, infine, è Suor Letizia, un’anziana sorella dalle origini venete e dai modi bruschi che, presi i voti in tarda età, si rivelerà essere il sorprendente trait d’union dei destini di queste donne tanto lontane quanto unite. Tre donne del popolo, irrimediabilmente travolte dalla guerra nel loro quotidiano, che si ritroveranno a sconvolgere le proprie vite e a compiere, in nome dell’amore, piccoli grandi atti di coraggio.

Fallongo, Caputo e Evangelisti stravolgono l’idea che per parlare di guerra sia necessario essere drammatici. Già il titolo racchiude lo spirito dello spettacolo con il sostantivo «Letizia» associato a «guerra». Potrebbe sembrare un ossimoro, ma non lo è per un racconto che si muove tra scene esilaranti e altre molto tristi. Uno spettacolo caratterizzato proprio dalla vena tragicomica della narrazione. «Si ride moltissimo – prosegue il regista – Si parla di eventi catastrofici, ma in un modo portatore di grande felicità e voglia di vivere, con tutto quello che alla guerra consegue. È ovvio che ci siano epiloghi anche fortemente coinvolgenti sul piano emotivo, però la tragedia non è mai il punto di vista».

Un omaggio alle vite preziose di persone comuni che, pur senza esserne protagoniste, hanno fatto la Storia. «È uno spettacolo che parla di solidarietà, di sorellanza, di amicizia tra donne. Non è uno spettacolo femminista, ma con un occhio sul femminile. Quando si parla di guerra la narrazione è quasi sempre legata agli uomini, se si parla di donne si tratta spesso de “la donna di…”. Qui no. La voce è la loro: prostitute, suore, donne con le munizioni nelle gerle» racconta Agnese Fallongo.

Una storia che Fallongo non solo interpreta, ma di cui ha scritto l’intera drammaturgia: «È uno spettacolo che ha avuto una lunga gestazione, dietro c’è stato un accurato percorso di ricerca. Ho intervistato reduci di guerra, ex prostitute, suore e donne che hanno vissuto quel periodo durante la Seconda Guerra Mondiale. Per alcune interviste si trattava di un rapporto di amicizia già consolidato, in altri casi è stato un po’ più complesso. Mi riferisco in particolare al mondo cattolico, dove c’è stata un po’ di resistenza a parlare di temi come la prostituzione. Devo molto all’incontro con Suor Rosella dell’orfanotrofio Antonelli, luogo che in tempo di guerra era destinato all’accudimento delle bambine abbandonate. Sono le persone a fare la differenza, a prescindere dal ruolo».

Lo spettacolo ideato e diretto da Adriano Evangelisti vede in sena Agnese Fallongo e Tiziano Caputo, attrice-cantante e musicista poli-strumentista. Impreziosito da musiche e canzoni popolari eseguite dal vivo, prende vita un triplo “soliloquio dialogato” che – pur nel suo retrogusto amaro – saprà accompagnare lo spettatore in un viaggio ironico e scanzonato. «Si tratta di un “monologo non monologo” – spiega Evangelisti – a tutti gli effetti uno spettacolo con due persone che rappresentano una pluralità. Il ruolo di Tiziano Caputo è fondamentale non solo per l’apporto musicale; ciascuno interpreta più di dodici personaggi. Entrano diverse voci, alcune di passaggio, ma non meno importanti, come per l’arrivo degli americani a Roma, o il carosello dei bordelli, con diversi dialetti, a simboleggiare i continui trasferimenti a cui le prostitute erano costrette».

L’elemento che caratterizza la ricerca di questo collettivo e che ne delinea maggiormente la poetica è quello di sfiorare il presente attraverso il passato. «Quella di collegare la guerra al tema femminile era un’idea che avevo da tempo. Quando ho conosciuto Agnese, il suo percorso di ricerca a partire dalle donne carniche si è legato al mio plot, fino alla creazione di questo progetto condiviso. Abbiamo lavorato circa un anno a stretto contatto, costruendo, smontando e rimontando» racconta il regista. Un lavoro di costruzione drammaturgica partito da un’approfondita documentazione storica, per poi avvalersi, in un secondo momento, della testimonianza reale di chi, quelle esperienze, le ha vissute in prima persona. «Il senso della trilogia parte dall’idea di voler dividere l’Italia in tre aree: nord, centro e sud; dove le guerre fanno da trait d’union al racconto. Abbiamo fatto molte interviste perché volevamo raccontare la realtà dei fatti durante questi infausti eventi, chiaramente romanzando» prosegue Evangelisti.

Uno spettacolo delicato che racconta uno spaccato drammatico della storia d’Italia, capace, tuttavia, di alternare momenti di pura comicità ad attimi di commozione, in un susseguirsi di situazioni dal ritmo incalzante in cui spesso una lacrima lascia il posto al sorriso. Come spiega Fallongo: «È una storia delicata, dove si parla d’amore nell’accezione più ampia del termine, dal materno all’amicale, al romantico. E la reazione del pubblico dopo tante repliche è sempre la stessa, con un’espressione di gratitudine per aver riso e pianto a teatro. L’ironia è un’arma meravigliosa».

«Letizia va alla guerra» di cui si sta anche lavorando alla riduzione cinematografica, è la prima produzione del trio di artisti. Successivamente, la compagine artistica si arricchisce di un quarto elemento grazie al coinvolgimento di Raffaele Latagliata, che firma la regia dei due spettacoli successivi («...Fino alle stelle!» e «I Mezzalira»). L’insieme dei tre spettacoli dà origine alla «Trilogia degli ultimi», che li porta presto a distinguersi nel panorama nazionale e a ottenere un unanime consenso di critica e di pubblico. Evangelisti confida: «Ci lega una forte sintonia, ma anche un modo analogo di fare: facciamo il teatro che ci piacerebbe vedere».

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