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L’incredibile vita delle formiche e dove trovarle a Bergamo

Articolo. Da piccoli giocavamo a schiacciarle, ma se fossero state grandi come noi ce l’avrebbero fatta vedere brutta. Perché le formicidae (questo il nome scientifico di una famiglia che racchiude più di 12 mila specie) sono feroci, a volte cannibali e straordinariamente organizzate. Si trovano ovunque, ma la Riserva del Giovetto ospita la formica Rufa, una delle più diffuse a Bergamo

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Nel loro libro «Formiche. Storie di un’esplorazione scientifica» (Adelphi, 1997) Bert Hölldobler e Edward O. Wilson raccontano tutto quel che c’è da sapere (o quasi) sulle formiche, animali tanto affascinanti quanto dimenticati nel nostro quotidiano. Le formiche sono in ogni luogo: nel giardino della vostra casa, in qualche fessura tra i muri, in montagna, in collina, e in ambienti fra i più differenti dei cinque continenti. Ho visto formiche costruire formicai (che si chiamano anche acervi) nella terra, o accorpare materiale in strutture grandi come piccoli vulcani pieni di condotti e “stanze” per le larve. Oppure scalare le pareti di una casa a tre piani avanti e indietro dal formicaio al punto dove qualcuna ha scoperto del cibo da portare via e l’ha comunicato alle altre (come? ve lo spiego dopo).

Formiche e dinosauri

Le formiche sono apparse sulla Terra circa 100 milioni di anni fa (l’ipotesi più accreditata è fra 140 e 168 milioni di anni), dunque nel tardo cretaceo (come testimonia il più antico fossile di formica ritrovato): insomma esistevano già al tempo dei dinosauri, ma a differenza di loro sono sopravvissute all’estinzione di massa e sono arrivate fino ad oggi sviluppandosi dalle vespe solitarie . Il primo fossile ritrovato era di Sphecomyrma freyi, una specie di formica estinta, e venne ritrovato in un’ambra nel New Jersey. Nonostante ciò, esiste ancora oggi una varietà di formica, la Nothomyrmecia macrops, nota anche come formica dinosauro, che già esisteva nel tardo cretaceo. È microscopica e si trova nei boschi di eucalipto di Poochera, in Australia centro-meridionale. I mirmecologi – cioè gli scienziati che studiano le formiche – la considerano una sorta di fossile vivente.

Ma come hanno fatto le formiche ad arrivare fino a noi, fra estinzioni di massa, cambiamenti climatici e antropizzazione di gran parte del pianeta? La risposta, spiegano Hölldobler e Wilson, sta «nella potenza travolgente e rapidamente dispiegata che deriva dalla cooperazione dei membri della colonia». In altre parole, le formiche hanno una rigida organizzazione gerarchica, che si pone alcuni obiettivi fermi da perseguire con straordinaria dedizione: proteggere e sostentare la regina, in modo che la colonia possa continuare o diffondersi – perciò non sono poi così rare le guerre fra le colonie della stessa specie, molto più che negli uomini.

Sono quindi eccezionalmente “motivate” e feroci, hanno una forza che permette loro di portare materiali più grossi del loro peso, sanno coordinarsi in modo molto efficace (attaccando, ad esempio, in una formazione “ad albero”, che ricorda qualcosa degli schieramenti di guerra di noi umani), tanto che i due mirmecologi ad un certo punto del loro libro affermano che se le formiche fossero grandi come noi e sapessero utilizzare le armi, sarebbe un guaio per il genere umano (che comunque già da solo ci mette del suo). Per fortuna sono piccole, e solo alcune delle circa 12 mila specie conosciute possono essere dannose per l’uomo. Questa super capacità organizzativa ha portato Hölldobler e Wilson ad affermare che «l’organizzazione dei membri della colonia è complessa e solida quanto basta per generare l’equivalente di un ben coordinato organismo gigante, il famoso “superorganismo” di insetti».

Tutto ciò non sarebbe però possibile senza un elevato sviluppo della comunicazione fra loro, di tipo chimico: «l’emissione, da differenti parti del corpo, di una miscela di sostanze che vengono percepite con l’olfatto e analizzate dalle compagne di nido, nelle quali suscitano – a seconda delle sostanze emesse e delle circostanze – allarme, attrazione, cura, offerta di cibo e una gamma di altre attività», fra cui, per certe specie di formiche, il messaggio «ehi, là c’è del cibo da andare a prendere», oppure «ehi, là c’è del cibo da andare a prendere, ma è troppo grosso e non posso farcela da sola, andiamoci insieme» (queste due ultime espressioni me le sono inventate io, riprendendo alcuni passaggi del libro dei nostri entomologi).

Le formiche non vanno a funghi, li coltivano

Dicevamo della loro ferocia, che a seconda della specie, le porta ad impiegare «la propaganda, l’inganno, la sorveglianza specializzata e l’assalto di massa, allo scopo di sopraffare i nemici». Ma le formiche, in casi estremi, «combattono lanciando sassolini sugli avversari, mentre altre compiono razzie schiavistiche per accrescere la propria forza lavoro e la forza combattente». Altre formiche sono allevatrici, cioè allevano gli afidi , detti anche pidocchi delle piante: insetti piccolissimi che trasmettono delle virosi (malattie delle piante da orto e non solo), succhiano la linfa (mielata) di alcuni ortaggi e raggrinziscono le foglie. Gli afidi producono a loro volta una linfa che viene prelevata dalle formiche, che in cambio salvaguardano le loro uova.

In generale le formiche sono onnivore, si nutrono di prede animali, anche un po’ più grandi di loro (insetti soprattutto, vivi o morti, formiche comprese, ma solo per alcune specie), poi della melata degli afidi, di semi e funghi. Da studi dei ricercatori americani della Smithsonian Institution si è scoperto infatti che ci sono formiche in Sud America in grado da 60 milioni di anni di coltivare delle specie di funghi sopravviventi solo nei formicai (noi coltiviamo solo da 12 mila anni, a confronto siamo dei dilettanti); le loro società sono basate sull’agricoltura e trasportano nei formicai foglie sminuzzate (ad esempio le famose formiche tagliafoglie ) che usano per nutrire i funghi, secondo un meccanismo che potremmo definire quasi “industriale”. Infine – ma potremmo andar avanti per ore – ci sono formiche regine che “danzano” con le loro ali insieme ai maschi prima dell’accoppiamento e formiche parassite di altre formiche.

Incredibile no? Se tutto quanto ho raccontato vi ha fatto venire voglia di scoprire da vicino il mondo delle formiche, non rimane altro che scoprire un luogo in provincia di Bergamo dove essere sicuri di poterle osservare.

Il Giovetto

Nella fattispecie, il gruppo Formica rufa, che comprende anche la Formica lugubris, è fra le più diffuse sul nostro territorio, e in particolare nei boschi della Riserva del Giovetto , fra Azzone (BG) e Borno (BS). Sono formiche di colore rosso ruggine, l’addome, le zampe e le antenne tendono ad un colore bruno, sono prive di pungiglione (mentre tante altre specie di formiche lo hanno), ma hanno grandi mandibole e riescono a gettare forti spruzzi di acido formico, contenuto nell’apparato addominale, anche a 30 cm di distanza.

Come tutte le formiche, anche le Rufe sono organizzate in strutture gerarchiche molto coordinate. A partire dalle formiche operaie, femmine sterili che misurano da 5 a 7 mm. Sono il numero maggiore di formiche all’interno di un formicaio, svolgono tutti i compiti (sono delle autentiche factotum), fra cui occuparsi della difesa della propria colonia, procacciare il cibo – uscendo in migliaia dal formicaio e ispezionando il territorio circostante, sino a 100 m di distanza dal nido – e avere cura delle larve. Hanno una vita di 4-5 anni. La loro incredibile capacità di non perdersi è dovuta all’utilizzo del sole come punto di riferimento e alla creazione di “piste” e comunicazioni olfattive. Le piste conducono a degli alberi dove le operaie allevano gli afidi per ricavarne la mielata, che è una secrezione zuccherina che gli afidi producono digerendo la linfa succhiata dalle piante del bosco. La dieta viene completata dal trasporto al formicaio di semi, insetti e larve. Dunque, pur rimanendo onnivore, le Rufe sono soprattutto carnivore. Mordono le vittime con le mandibole e le debilitano spruzzando sulla ferita provocata l’acido formico. Al pari di tante altre specie di formiche, le operaie praticano la trofallassi: ogni formica ha uno “stomaco sociale” in cui accumula il cibo trovato, quando incontra un’altra formica della sua colonia condivide il cibo da bocca a bocca e da stomaco a stomaco.

Ci sono poi le formiche regine, che invece sono grandi dagli 8 ai 10 mm e, come molte regine di diverse specie, sono dotate di ali che si strappano quando vengono fecondate e tornano al nido per deporre le uova o vanno in cerca di un luogo ideale per formare una nuova colonia – in quest’ultimo caso la regina cresce da sola le uova, larve che diventeranno operaie, cioè la popolazione del nuovo formicaio. Possono essere oltre un centinaio in una sola colonia: se non finiscono vittime dei predatori come uccelli o insetti più grandi (un “se” che vale per tutti i tipi di Rufa e di formiche generiche), possono vivere anche 20-25 anni. I maschi, infine, anch’essi alati, sono più piccoli e il loro compito è di fare da “partner” alla formica regina nel volo di accoppiamento per fecondare le uova. Vivono poco, 3-4 settimane, e muoiono dopo pochi giorni dall’accoppiamento. Per farla breve, quella delle formiche è una società matriarcale: senza femmine regine non si va da nessuna parte.

Una delle peculiarità della Formica rufa è il formicaio a cupola, costruito con gocce di resina, ramoscelli, terra e parti di conifere portati al luogo del nido e intrecciati fra loro dalle operaie. Questa forma non è casuale, perché consente di esporre la struttura al calore solare (in estate la temperatura è di 24-28 gradi, in profondità si arriva a 20 gradi) e ripara meglio gli abitanti del nido dalla pioggia; d’inverno le formiche svernano nella parte più profonda del nido, dove la temperatura è di 10 gradi. I nidi possono arrivare a 1,20 m di diametro e a una altezza di circa 60 cm. Ospitano una popolazione di 200-500.000 formiche; i formicai più grandi arrivano ai 2 m di altezza e parecchi metri di diametro, con una popolazione che supera il milione di individui.

Se a prima vista si può pensare che il formicaio si sviluppi sopra la terra, in realtà vanno anche sottoterra, ad una profondità che corrisponde circa all’altezza della cupola. L’interno del formicaio è formato da “stanze” destinate allo sviluppo delle uova delle regine (e allo stazionamento degli sciami di maschi alati, prima del volo fecondativo), ogni stanza è collegata ad un’altra stanza da dei condotti. Le operaie sono coinvolte in un continuo lavoro di manutenzione dell’habitat. Molte delle caratteristiche delle Rufe sembrano “preannunciare” il comportamento umano: il loro complesso comportamento, che va dalla comunicazione olfattiva alla danza nunziale passando per la trofallassi, viene studiato per conoscere meglio le origini della nostra società, per trarre modelli informatici e addirittura per studiare il cervello umano. E pensare che alle formiche non facciamo quasi mai caso.

Ps: per saperne di più, una breve bibliografia: «Formiche. Storie di un’esplorazione scientifica» (Adelphi, 1997) di Bert Hölldobler e Edward O. Wilson; «Le formiche tagliafoglie. La conquista della civiltà attraverso l’istinto» (Adelphi, 2020) di Bert Hölldobler; «Giovetto. Il bosco delle formiche».

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