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Erri De Luca e l’Esodo: “avverto nei giovani un fervore di conoscenza e di impegno sulle sorti del pianeta futuro”

Intervista. Dalle 20.45 in streaming sul canale YouTube, sulla pagina Facebook e sul sito Internet moltefedi.it la rilettura del testo dell’Antico Testamento da parte dello scrittore napoletano. Per la sezione “La Bibbia per l’uomo d’oggi” di Molte fedi sotto lo stesso cielo

Lettura 3 min.
Erri De Luca (Archivio L’Eco di Bergamo)

Il primo vero incontro di Erri De Luca con la Bibbia era avvenuto nel 1983, mentre, in un monastero piemontese, si preparava a partire per la Tanzania con un’organizzazione di volontari cattolici: “Mi sono trovato quel libro a portata di mano in un posto dove non c’era altro – racconterà poi – e ho cominciato a sfogliarlo”; in un periodo in cui era “stufo di letteratura”, nelle pagine bibliche aveva trovato “il contrario della letteratura e cioè delle storie che non si volevano affatto strusciare vicino al lettore per farlo immedesimare, per fargli fare un percorso. Erano delle storie remote che non civettavano con nessuna modernità e con nessun presente”.

A partire da quella scoperta, dopo avere studiato da autodidatta l’Ebraico antico, il “non credente ma nemmeno ateo” De Luca è andato affiancando alla sua attività di romanziere quella di traduttore-commentatore delle Scritture ebraiche e cristiane: ricordiamo tra queste versioni “Giona/Ionà” e “Kohèlet/Ecclesiaste”, in cui al titolo moderno si abbina quello originale dei testi. Già nel 1994, in effetti, egli aveva pubblicato presso Feltrinelli “Esodo/Nomi” (pp. 168, 10 euro), dove i “nomi” (shemòt) sono quelli delle tribù di Israele, di cui viene narrata la liberazione e l’uscita dalla loro “casa di schiavitù”, in Egitto. Proprio al libro dell’Esodo sarà dedicato un intervento dello scrittore napoletano che verrà trasmesso stasera alle 20.45 nel canale YouTube, nella pagina Facebook e nel sito Internet (moltefedi.it) della rassegna interconfessionale delle Acli Molte fedi sotto lo stesso cielo.

GB: Premesso che ogni atto di traduzione ha in sé una componente di azzardo (e questo vale ancor più per le traduzioni della Bibbia), domandiamo a Erri De Luca come avesse condotto la sua versione di “Esodo/Nomi”. Si era tenuto fermo a un’idea guida, svolgendo questo lavoro?

ED: Nelle mie traduzioni dall’Ebraico antico – risponde De Luca – mi attengo al rispetto più rigido della lettera del testo di origine: ricalco l’ordine della frase ebraica, dove il verbo precede spesso il soggetto, e faccio corrispondere a ogni parola una e una sola parola in italiano, a differenza delle traduzioni che applicano vari significati e sinonimi a un singolo termine ebraico. Io definisco “di servizio” queste mie traduzioni, in cui la lingua italiana “sta sotto” quella in cui furono originariamente scritti i testi.

GB: Lei ritiene che il libro dell’Esodo presenti particolari difficoltà, dal punto di vista della resa in un altro idioma?

ED: No, nessuna in particolare. Questo, semmai, è il libro in cui più intensamente si manifesta l’intervento materiale della divinità nella storia umana, con il maggior dispiegamento di prodigi. I dieci comandamenti (le “Dieci parole”, in Ebraico) sono il testo capitale della civiltà monoteista. A mio parere, presentano qualche difformità rispetto alla loro formulazione nelle traduzioni correnti. Per esempio: sempre attenendosi alla regola del rispetto dell’originale, una di queste Parole dovrebbe essere resa, in alternativa a “Non pronunciare falsa testimonianza contro il tuo prossimo”, con “Non risponderai nel tuo compagno da testimone di inganno”. Il “nel” sta a significare che la nostra risposta-testimonianza nei riguardi di un’altra persona entra nel suo territorio, ne invade il nome in pubblico.

GB: Nei secoli, schiere di esegeti e di teologi si sono affannate nel tentativo di comprendere e spiegare la famosa “autopresentazione” di Dio a Mosè, in Esodo 3,14. Rispetto alla traduzione oggi prevalente dell’ebraico ʾehyeh ʾašer ʾehyeh con “Io sono colui che sono”, lei preferisce renderlo con “Sarò ciò che sarò”: perché al futuro?

ED: Perché così è il verbo impresso in quella frase: ʾehyeh è “sarò”, prima persona del futuro. ʾEhyeh ʾašer ʾehyeh alla lettera significa “Sarò ciò che sarò”, non “Io sono colui che sono” (da Ego sum qui sum, nella traduzione in latino di san Gerolamo). In più, nella frase ebraica non c’è il soggetto Io. Perché le parole di Esodo 3, 14 sono la formula per un nome, quello esclusivo che la divinità rivela a Mosè, suo massimo profeta. Tale formula non si ripeterà in nessun altro luogo.

GB: Nei secoli – pensiamo alla Guerra dei contadini tedeschi del 1524-25 – la lettura dell’Esodo ha ispirato grandi progetti rivoluzionari, di ribaltamento degli assetti sociali esistenti. Secondo il filosofo Michael Walzer, però, il racconto della lunga peregrinazione degli Ebrei dopo l’uscita dall’Egitto dovrebbe ricordare a tutti noi che ci troviamo ancora nel “deserto”, non nella Terra di Canaan; che l’agire politico dovrebbe mirare a rendere più dignitosa la vita degli uomini, qui e ora, in un tempo che non è quello “ultimo”.

ED: Non condivido. La terra annunciata è concreta, raggiunta, e faticosamente conquistata. Non è utopia differita. Il deserto invece è l’immagine per me definitiva della libertà, che non è un elenco di beni e diritti, ma un pellegrinaggio a zigzag tra ricadute e avanzate, fino al compimento di una maturità collettiva.

GB: Una delle categorie fondamentali dell’intera Bibbia è quella della “promessa”. Noi siamo ancora in grado di intendere il senso di tale parola? Oggigiorno il futuro non pare essersi rattrappito? Le nostre aspettative spesso non sembrano portarsi sul prossimo fine settimana, sulle ferie, sull’inizio del periodo dei saldi?

ED: Nel testo sacro la promessa comporta la profezia, annuncio che scompiglia da subito il presente, lo scuote. Promessa è già energia suscitata, non passiva attesa del tempo stabilito. Non sono competente delle attese che lei mi segnala. Avverto una gioventù che sente responsabilità del tempo in scadenza che incombe sull’ambiente. Avverto un fervore di conoscenza e di impegno sulle sorti del pianeta futuro. Considero profetica questa gioventù perché agisce adesso e in virtù del suo diritto di prelazione sul proprio avvenire.

Sito Molte fedi sotto lo stesso cielo

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