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Un meme lungo 138 minuti intitolato “Don’t look up”

Articolo. Politici senza morale, scienziati attratti dalla visibilità, media frivoli e superficiali. Ma anche negazionisti, estrattivisti e tantissima banalità. Alla fine l’unica vera vittima della presunta satira di Adam McKay è la complessità del nostro tempo

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D i “Don’t look up” nelle ultime settimane si è parlato fin troppo, complici le festività, lo sbarco su Netflix il 24 dicembre e quel meccanismo tipico dei social network, Facebook in primis, per cui vedere quella serie tv o quel film diventano una condizione essenziale per esserci e per parlarne – e chi non lo guarda è fuori.

Non ci esimiamo dal compito (e del resto di “Don’t look up” abbiamo già parlato qui), cercando però di prendere l’opera di Adam McKay (“La grande scommessa”) – con Leonardo Di Caprio, Jennifer Lawrence, Meryl Streep, Cate Blanchett e nomi sulla cresta dell’onda come Timothée Chalamet (“The French Dispatch”, “Dune”) – da un punto di vista differente.

Partendo dal presupposto che “Don’t look up” dovrebbe essere filologicamente una satira: sfotte, distorce, estremizza sino all’iperbole il potere, ne svela le storture e il nichilismo valoriale di fondo che porta dritto alla morte. Colpisce i carnefici e non le vittime (altrimenti non sarebbe satira, ma qualcosa di molto simile al nazismo) con precisione millimetrica, non risparmia nessuno e a tutti dà il ben servito. Tanto è che alla fine di vittime in realtà non ce ne sono, perché la cometa colpisce il pianeta, cancellando come previsto ogni forma di vita esistente. McKay sembra dire che siamo tutti colpevoli e ci meritiamo l’estinzione. Punto.

Anche chi si salva grazie ad una navicella contenente delle capsule criogeniche – e arriva 22 mila anni dopo su un pianeta molto simile alla terra – trova dei simpatici struzzi colorati, apparentemente innocui, in realtà carnivori, che divorano i superstiti. E sui titoli di coda l’unico superstite all’impatto stellare, l’ebete figlio Jason, spunterà dalle macerie filmando le rovine con il proprio smartphone nella speranza di accaparrarsi qualche like.

McKay in pratica ce l’ha con tutti. O meglio, ce l’ha con l’America per avercela con tutti. La politica che preferisce all’evidenza scientifica di una cometa che distruggerà la terra le migliori strategie elettorali per le prossime elezioni (profetizzando in qualche modo anche la situazione italiana: da una parte Omicron, dall’altra i movimenti sottobanco per l’elezione del nuovo Presidente della Repubblica). Gli scienziati attratti dalle luci della ribalta e rapiti dall’attrazione financo sessuale dell’ anchorman di turno (come accade a Di Caprio) o screditati dagli isterismi causati dalla superficialità con cui la tv affronta una catastrofe imminente (Jennifer Lawrence). I media tradizionali e non, come i social network che trasformano subito in un meme l’isteria di cui sopra. Gli estrattivisti, cioè la multinazionale ipertecnologica di turno che vuole recuperare i metalli rari di cui è formata la cometa (forse una dell’imbeccate più riuscite di tutto il film). E poi i negazionisti, chi si affida alla preghiera e infine la gente comune, stravolta da una politica senza morale, da media che non informano ma sformano, dalla scienza che in quattro e quattr’otto perde tutta la sua credibilità.

Qualcuno ha detto che la cometa rappresenta la pandemia, ma i tempi di realizzazione del film (18 novembre 2020 – 18 febbraio 2021) e la presenza degli estrattivisti (nella realtà d’oggi le corporations che si appropriano sino allo sfinimento delle risorse della terra e intanto puntano a Marte) farebbero pensare più alla cometa come a una rappresentazione astronomica del riscaldamento globale e di quella che viene chiamata “sesta estinzione di massa” – del resto il finale è quantomai catastrofico. Tuttavia, nonostante il film faccia ridere, seppur amaramente, viva di prove d’attore eccellenti (Di Caprio, Streep, Lawrence) e calzi a pennello rispetto al contemporaneo, nasce una domanda alla fine della visione: c’era davvero bisogno di un film così?

Giusto sbertucciare il degrado morale della politica, la pericolosità dei social rispetto alla verità dei fatti, la corsa al ribasso di un’informazione che è sempre più infotainment. Azzeccata la rappresentazione della scienza, con gli scienziati che non devono porsi come star (in Italia ne sappiamo qualcosa) e la raffigurazione grottesca del capitalismo divoratore di ogni cosa. Ma allora cosa rimane? Dove sta la speranza? O meglio, dove sta una prospettiva che cambi le cose?

Nel suo sbeffeggiare tutto e tutti, McKay abolisce completamente la complessità di questo momento storico e costruisce un meme macroscopico lungo 138 minuti. Divertente quel tanto che basta per renderlo un prodotto perfetto da consumare una sera seduti sul divano, scuotendo la testa (“Signora mia, che tempi…”). Magari da condividere sui social con tanto di parere pseudo-veritativo e segnalazione che sì, ci siamo e l’abbiamo visto, per poi dimenticarsene. Proprio come un meme: parafrasando la definizione che già nel 1976 Richard Dawkins diede nel libro “Il gene egoista” (“un’unità auto-propagantesi” di evoluzione culturale), “Don’t look up” è l’involuzione, e non l’evoluzione, di un’idea di cultura come disvelamento e sfondamento dello status quo. È il massimo meme della disillusione, dell’impossibilità di cambiare le cose quando le cose (l’ambiente, il sistema economico, i nostri stili di vita, la cognizione di un futuro possibile per le prossime generazioni, etc.) devono essere cambiate.

Paradossalmente, se “Don’t look up” voleva essere una staffilata satirica al nostro tempo, forte di un cast stellare e di una trama efficace, in realtà alla fine ottiene l’esito opposto. Cioè quello di dichiarare che nulla può cambiare perché tutto fa schifo. La satira è una pratica raffinata: fra l’essere una stilettata al potere in tutte le sue forme e il diventare un insulto alle vittime, c’è sempre un buco nero di conservatorismo che risucchia in sé ogni possibilità di cambiamento. E trasforma ogni opera in un puro prodotto di (involontario?) addomesticamento delle masse. Che ridono, ridono e intanto guardano in alto la cometa che plana sul nostro mondo e lo distrugge.

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