«Respirerò
L’odore dei granai
E pace per chi ci sarà
E per i fornai
Pioggia sarò
E pioggia tu sarai»
La fine della guerra ha il profumo e i colori del grano nei versi del brano che Zucchero scrisse con Francesco De Gregori, dedicata alla nonna «Diamante» (che è anche il titolo del brano) e destinata a diventare un simbolo di rinascita dopo il conflitto.
È toccante e fa tanto pensare la mostra «Parabellum» del collettivo artistico Ferrariofreres, visitabile fino al 2 ottobre in quella “strana” e scenografica architettura verticale che è l’ex Oratorio di San Lupo, incastonato nella cortina continua delle case che si affacciano su via San Tomaso.
«Parabellum» è un progetto della Fondazione Adriano Bernareggi, realizzato in collaborazione con Diocesi di Bergamo e Comune di Bergamo nell’ambito della «Festa di Sant’Alessandro» 2022, dedicata al tema «Costruire la pace», ed è curato da Giuliano Zanchi.
«Nei suggestivi spazi dell’oratorio di San Lupo, Ferrariofreres allestisce un’intensa meditazione artistica sul tema della guerra e delle sue conseguenze più drammatiche: la carestia e la fame. L’installazione prende il nome da “Parabellum” (in latino: prepara la guerra), un’arma da fuoco progettata da Georg Luger nel 1898 e prodotta in più di un milione di unità, segnando un prima e un dopo nella storia delle armi leggere. Il lavoro di Ferrariofreres ha l’obiettivo di tenere viva la coscienza di chi continua a vivere nella normalità e misura la gravità delle catastrofi dal numero di pagine in cui vengono pubblicate sui giornali, mentre nel mondo numerose popolazioni scontano quotidianamente le insensatezze della guerra», recita la presentazione.
Entrando in San Lupo si impatta in una grande videoproiezione verticale divisa in due parti: sopra, la pars destruens, con immagini e suoni inconfondibilmente legati alla guerra (le tracce audio sono realmente registrate da videomakers free-lance che si trovano in zone di guerra); in basso, la pars construens, in cui le spighe del grano maturo, mosse dal vento, sono in attesa della raccolta, con la socialità della mietitura che rinsalda i legami di comunità attraverso il lavoro comune e l’equa ripartizione del prodotto della terra.
Guerra e grano: il pensiero dei visitatori corre immediatamente all’Ucraina, ma dovrebbe sforzarsi di raggiungere anche tutte le guerre, le carestie e le catastrofi che si consumano in silenzio, senza fare notizia, in altre parti del mondo.
I Ferrariofreres, poi, sono artisti colti che, pur non rinunciando a garantire ai loro lavori un livello di lettura ampio, immediato e aperto, costruiscono i loro progetti su una mappa precisa di riferimenti storici e culturali. Ai piedi della videoinstallazione, nella botola in vetro che si apre sulla cripta della chiesa, la scultura «Canicula» disegna la costellazione Canis Major, collegata fin dai tempi dei faraoni alle inondazioni del Nilo e alla canicola estiva. Ma ogni stella corrisponde a un bossolo.
E nella cripta, germoglia il grano
Nell’ipogeo vi è la parte del progetto che personalmente mi ha innescato più suggestioni. Nello spazio buio e sotterraneo, in origine utilizzato come catacomba e poi ossario, cresce infatti, verde e rigoglioso, il grano tenero che i Ferrariofreres hanno seminato e cresciuto secondo le metodologie della coltivazione indoor : guerra e grano, un binomio storico e di grande potenza simbolica.
Mi vengono in mente i vecchi tunnel dei rifugi antiaerei della Seconda Guerra Mondiale che a Londra negli ultimi anni ospitano aziende agricole sotterranee. Qui verdeggiano piantine di spezie, verdura e insalata. E poi le immagini in bianco e nero della raccolta del grano davanti al Duomo di Milano sempre negli anni della Seconda Guerra Mondiale, delle pannocchie che crescevano in piazza Venezia a Roma, in piazza della Vittoria a Genova, nel parco del Valentino a Torino. Strumenti di propaganda del Duce, che anni prima aveva lanciato la battaglia del grano nel segno dell’autarchia alimentare: «Creare un orto di guerra è il dovere di ogni italiano». Per contro, ricordo i più prosaici «orti di necessità», che già nella Prima di Guerra Mondiale molte persone si coltivavano in aiuole e giardini, perché la fame era un problema reale.
«La storia celebra i campi di battaglia nei quali l’uomo ha incontrato la morte, ma disdegna di parlare dei campi coltivati, che sono alla base della vita e della sua prosperità; la storia ci annuncia i nomi dei re, ma non sa raccontarci l’origine del grano. Questo è il senso dell’umana follia». Le parole del celebre scienziato francese Jean Henri Fabre si incrociano con quelle della sconosciuta signora Victoria da Snihurivka, in Ucraina, che riuscita a lasciarsi alle spalle la guerra grazie a un corridoio organizzato dalla Croce Rossa ha dichiarato: «Appena ci verrà detto che il nostro territorio è stato liberato e sminato, rientreremo subito. Le prime cose che farò quando tornerò saranno andare al cimitero dai miei genitori e capire cosa potrei ancora coltivare nel mio orto».
Ripenso al grano diventato una nuova arma geopolitica, nuovo strumento di negoziazione al pari di gas e armi; alle speculazioni delle multinazionali e dei fondi finanziari di investimento che operano nel mondo delle materie prime, che puntano sulla crisi per moltiplicare i guadagni; all’appello di Papa Francesco: «Per favore, non si usi il grano, alimento di base, come arma di guerra».
E se tutto questo non bastasse, perché non ricordare il Nobel per la pace 1970, Norman Ernest Borlaug, premiato con questa motivazione: «più di ogni altra persona del nostro tempo ha aiutato a dare il pane ad un mondo affamato. Noi abbiamo fatto questa scelta nella speranza che provvedendo al pane si darà pace a questo mondo». Tutto questo mi sovviene oggi, di fronte al grano che cresce nell’oscurità della cripta di San Lupo. Oggi che l’obiettivo Fame Zero delle Nazioni Unite appare sempre più lontano.
Info
«Parabellum»
Ex Oratorio di San Lupo
via San Tomaso – Bergamo
dal 27 agosto 2022 al 2 ottobre 2022
Orari di apertura:
martedì-venerdi: 10 -12 |15,30 - 19
sabato-domenca: 15 -19
ingresso gratuito