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6 Presidi Slow Food bergamaschi da (ri)scoprire

Guida. Il nostro territorio, fertile di prelibatezze enogastronomiche in lungo e in largo, non finisce mai di stupire. Una cucina tradizionalmente povera, capace di trasformare semplici ingredienti in piatti preziosi, che tutto il mondo ci invidia

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Carlin Petrini, fondatore di Slow Food

Ci sono poi prodotti e produttori che nel tempo si sono distinti tanto da essersi meritati il contrassegno di Presidio Slow Food. Per chi ancora non ne avesse sentito parlare, Slow Food è “una grande associazione internazionale no profit impegnata a ridare il giusto valore al cibo, nel rispetto di chi produce, in armonia con ambiente ed ecosistemi, grazie ai saperi di cui sono custodi territori e tradizioni locali”.

L’Italia è ricca di ben 250 Presidi Slow Food – associazione fondata da Carlin Petrini – frutto del duro lavoro di circa 1600 produttori sparsi in tutta la penisola. L’associazione lavora per promuovere esempi virtuosi in favore di un’alimentazione giusta e sana.

Bene, ora che siamo tutti allineati sul significato e l’importanza di ottenere il sigillo “Slow Food”, veniamo al focus di oggi che permetterà a tutti i bergamaschi di provare grande orgoglio per i frutti del proprio territorio, e anche a chi ci segue da più lontano di trovare una scusa, anzi 6, per organizzare una gita nella provincia orobica. In altre parole, quali sono i 6 Presidi Slow Food della bergamasca?

Agrì di Valtorta

Uno dei Presidi che il mondo ci invidia è l’Agrì di Valtorta, formaggio fresco di latte vaccino intero a pasta cruda prodotto nelle aziende agricole dell’alta Valle Brembana. La sua particolarità è data da una speciale tecnica di lavorazione, che dura in totale 3 giorni, e grande merito è dato anche all’abilità manuale del casaro.

La storia di questo prodotto caseario si perde nella notte dei tempi, quando un semilavorato chiamato pasta di Agrì o pasta di Agro veniva venduta dalle donne di Valtorta agli artigiani della vicina Valsassina, nell’attuale provincia di Lecco, per la trasformazione nel prodotto finito.

Il nome deriva da “agro” e richiama proprio i sentori aciduli che lo caratterizzano. Il siero acido viene infatti innestato all’inizio della lavorazione, insieme a poco caglio. Viene poi lasciato scolare per 3 giorni. A questo punto si impasta la cagliata, dall’acidità ormai altissima, con 25 grammi di sale per ogni kg di pasta, e fino ad ottenere i piccoli cilindri.

L’Agrì è un formaggio dal sapore dolce, aromatico e dal profumo delicato, ottimo ingrediente per insalate, torte salate e zuppe. Tradizionalmente, questo formaggio poteva essere consumato fresco, anche in versione dolce con zucchero e cannella, oppure lasciato stagionare e, in seguito, condito con olio e aceto.

Capra orobica

Non un singolo prodotto ma una specie animale: la capra orobica è una razza diffusa nelle aree alpine e prealpine tra le province di Sondrio, Bergamo e Lecco, tra cui le alpi Orobie.

Le capre orobiche sono animali dalle corna imponenti, a pelo lungo. Il mantello può essere grigio, beige, nero, marrone oppure pezzato, anche se nella maggior parte dei casi le capre orobiche sono di colore grigio-nero nella parte posteriore e più chiaro, tra bianco e beige, in quella anteriore. L’origine di questa specie, secondo alcune ipotesi, sarebbe nella provincia di Sondrio, nelle aree isolate della Val Gerola dove le capre orobiche, proprio per la capacità di adattarsi ai pascoli di queste montagne, si sono distinte rispetto alle altre razze.

Dagli esemplari più giovani di questo animale si ricavano deliziosi formaggi come il formagìn della Valsassina, il matuscin della Valtellina e la robiola della Val Brembana. Le capre più anziane e a “fine carriera” sono invece utilizzate per la produzione di prelibati tagli di carne e salumi insaccati.

Il Presidio coinvolge solo i pochi che seguono ancora i ritmi dell’allevamento tradizionale: pascolo in primavera e autunno, alpeggio in estate, possibilità di pascolare in spazi aperti anche nel periodo invernale. Il lavoro di questi allevatori e dell’Associazione Le Tre Signorie di Branzi, che sostiene il Presidio, ha l’obiettivo di salvare questa particolare specie caprina dall’estinzione.

Melone di Calvenzano

Un melone dalla buccia retata, omogenea e molto fitta, coltivato nel comune di Calvenzano e in una limitata area limitrofa, nella bassa bergamasca. Questo frutto può raggiungere grandi dimensioni e un peso tra i 2 e i 6 kg.

La sua coltivazione è supportata dalla Cooperativa agricola di Calvenzano, fondata nel 1887, che ha fatto ripartire la semina dal 2002. Secondo le testimonianze di alcuni dei soci più anziani, questo prodotto ha sempre avuto un ruolo importante per l’economia locale, raggiungendo anche una fama internazionale. All’inizio del XX secolo, i migliori ristoranti di Parigi sceglievano questa varietà di melone per i propri commensali e, secondo alcuni, il melone di Calvenzano raggiunse persino la residenza estiva dei reali d’Inghilterra.

Ha un breve periodo di raccolta, che dura 15 giorni circa, nel mese di luglio. La sua polpa consistente, zuccherina, con un bel colore arancione caldo e molto profumata rende goloso il consumo del prodotto fresco, ma anche la produzione di confetture e liquori.

Sardina essiccata tradizionale del Lago d’Iseo

Cosa ci fa un pesce di mare nel Lago d’Iseo? Nulla, in effetti non c’è. Tutti la chiamano sardina, ma in verità si tratta di un agone, pesce di lago la cui essicazione è radicata nella tradizione del Sebino, tanto da meritare il riconoscimento di Presidio Slow Food.

Il sigillo ha l’obiettivo di valorizzare questa tradizionale lavorazione che, secondo alcuni, risalirebbe ad almeno mille anni fa. Dopo la pesca, che avviene a circa 200 metri dalla riva, i pesci vengono puliti e messi sotto sale per 48 ore. In seguito, vengono appesi ad essiccare con un ingrediente segreto: l’aria del lago. Dopo un periodo di massimo 40 giorni, le sardine sono disposte in latte o contenitori di legno, torchiate per estrarre il grasso in eccesso e ricoperte con olio d’oliva.

Questa particolare tecnica di conservazione permette di consumare le sardine anche dopo 2 anni. La ricetta tradizionale suggerisce una cottura alla brace, con il condimento di olio, aglio e prezzemolo, e accompagnamento di polenta. Insomma, una bontà.

Storico ribelle

Il suo nome richiama quello di un supereroe, e questo Presidio ha in effetti tutte le caratteristiche per essere il protagonista della fa… ops, tavola. Storico ribelle, conosciuto come Bitto storico, non è semplicemente un formaggio, è uno dei simboli della produzione casearia lombarda.

Ha origine nelle montagne della provincia di Sondrio e su tutto il territorio delle Orobie. La produzione avviene in alpeggio, ad un’altitudine tra i 1400 e i 2000 metri s.l.m. con un metodo davvero singolare.

La mandria viene portata in vetta per 3 mesi, compiendo un percorso a tappe. Ad ogni tappa, il latte munto rigorosamente a mano viene lavorato a crudo prima che perda il suo naturale calore. Al latte vaccino, viene aggiunto un 10-20% di latte di Capra Orobica, che conferisce al formaggio un’aromaticità davvero particolare.

Raro trovare uno standard: il disciplinare vieta l’utilizzo di “starter” per la produzione, imponendo una caseificazione 100% naturale e quindi soggetta a clima, umidità e temperatura di ogni tappa del percorso. Per questo, le caratteristiche organolettiche di due lotti di questo prodotto possono essere molto diverse tra loro.

Il Bitto è un ingrediente versatile: utilizzato per la preparazione dei pizzoccheri quando fresco, ottimo formaggio da tavola quando stagionato. Ma quando i produttori scelgono di prolungare l’affinamento ulteriormente, ecco che si ottiene uno dei rari formaggi da meditazione del mondo.

Stracchino all’antica delle valli orobiche

Restiamo nel mondo dei formaggi con questo prodotto che esalta le tradizioni storiche delle Valli bergamasche e la fedeltà di un numero ristretto di produttori che, al contrario di molti colleghi, sceglie ancora la via impervia della produzione totalmente manuale.

Si tratta di un formaggio morbido, a latte crudo e pasta cruda, che tradizionalmente veniva prodotto con il poco latte munto durante la discesa o la risalita in alpeggio. Da qui il nome del formaggio, prodotto da animali stracch ovvero stanchi.

È prodotto con latte appena munto tra le Valli Brembana, Serina, Imagna e Taleggio, con innesto di caglio di vitello. Dopo la coagulazione, che dura 20-40 minuti, si rompe la cagliata in due fasi. La pasta viene poi versata in fascere per la stufatura, che dura un giorno e mezzo, a 20°C e al 90% di umidità.

Il processo di raffreddamento è fondamentale per permettere allo stracchino di mantenere la propria forma. A questo punto il formaggio viene salato e lasciato stagionare per circa 20 giorni, fino ad ottenere il suo speciale sentore erbaceo e balsamico che ricorda il pascolo e il fieno. Se affinato più a lungo, lo stracchino all’antica diventa ancora più aromatico e piccante.

Diffidate dalle imitazioni: gli “stracchini” prodotti industrialmente e che spesso si trovano in commercio non hanno diritto di essere considerati un Presidio Slow Food.

Sito Slow Food Bergamo

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