In seimila per il rocker «spericolato»
Quando Vasco Rossi infiammò Bergamo

«Io c’ero». Potranno dirlo tra qualche anno le 220 mila persone che sabato sera hanno consumato le corde vocali di fronte al loro idolo: Vasco Rossi.

Un concerto, Modena Park, che entrerà nella storia della musica italiana non solo per essere stato il più grande evento live a pagamento mai organizzato. Cinema, televisione, radio, maxischermi in piazza e smartphone: un evento mediatico unico. «Io c’ero» possono dirlo anche i fan, pochi se confrontati con la marea umana di sabato sera, che 35 anni fa hanno visto Vasco agli esordi, quando riempiva gli oratori e allo stadio andava al massimo per tifare la sua Inter. A Calcinate il 26 agosto 1981, la prima apparizione di Vasco in provincia di Bergamo. Su internet circolano le foto storiche del biglietto: 3500 lire. E si narra che il rocker sia sceso dal palco, abbia preso una bicicletta e sia andato in bagno per poi tornare, sempre su due ruote, per concludere il live. Verità o leggenda? Se qualche lettore c’era, potrà confermarlo o smentirlo. Un paio d’anni dopo, il 15 maggio 1983, Vasco ha già fatto il salto: seimila persone affollano il palatenda alla «città mercato».

Abbiamo ripescato dall’archivio de L’Eco di Bergamo la recensione del live a firma di Ugo Bacci: «Più di seimila giovani hanno gremito, domenica scorsa, il teatro-tenda sistemato nel piazzale a lato della Città Mercato, tributando a Vasco Rossi un successo sbalorditivo che conferma, senza ombra di dubbio la natura di un seguito di cui l’artista, unitamente alle sue canzoni, è ispiratore. È un pubblico abbastanza eterogeneo, quello che segue ciecamente lo spericolato Vasco, assestato su di un’età media piuttosto bassa, quella per ovvi motivi, più predisposta alle suggestioni dei «miti» da consumare. Nel gioco dell’identificazione, forse la ricerca di sicurezza, di un grano di forza in più per sentirsi più vivi o emarginati, o tutti uniti in virtù di un simbolo, fittizio o no, poco importa. Simbolo che in qualche modo Vasco Rossi riesce ad assecondare con un certo senso del vero, provvisto com’è di quella carica sufficientemente autentica dietro cui celare l’agguerrito marchingegno del businness. Interpreta il ruolo del ragazzotto di provincia svezzato a durezze, grezzo ed aggressivo come la realtà delle periferie urbane, ma anche sentimentale, leale di una poesia sghemba, tipicamente urbana, strettamente legata alle più normali consuetudini del linguaggio quotidiano. Un bell’esempio di eroe romantico e «spericolato» di un racconto contemporaneo scritto senza troppo guardare alla forma ed ai contenuti. Canta piccole storie di ordinaria sregolatezza, non troppo eccessive, ma ammiccanti all’eccesso quanto basta per assicurarsi la credenziale del «gran trasgressore», del personaggio preoccupato solo di sé e in vena d’infrangere le regole. Le sue canzoni le veste di rock e luoghi comuni, tanti da ridurre anche il rock a luogo comune, duro e un po’ volgare a sostenere testi di poco senso, atteggiamenti grintosi ed aggressivi. In scena si muove con «cattiveria», col pugno nervoso colpisce 1’aria, segna col gesto il rock pesantemente scandito dalla sua band di «sregolati» musicisti. E in tutto questo sembra realmente coinvolto, abbacinato dallo stesso «mito» che qualcuno ha creato, ansioso di quella «vita esagerata» che canta con una punta d’amarezza.

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