Keith Jarrett, un mito a Bergamo
Concerto il 16 luglio al Lazzaretto

La notizia è di quelle «bomba»: Keith Jarrett terrà un concerto a Bergamo, con Jack De Johnette e Gary Peacock, il 16 luglio prossimo al Lazzaretto. Il concerto è organizzato in seno alla quinta edizione della rassegna di musica contemporanea “Contaminazioni contemporanee” in stretta collaborazione con il Comune di Bergamo, assessorato alla Cultura di Claudia Sartirani. Alessandro Bettonagli, il direttore artistico della rassegna ha lavorato per cinque anni all'ipotesi di questo concerto.

Jarrett non è un artista facile e ha necessità di contesti e garanzie particolari, sia quando si esibisce in trio, con Gary Peacock e Jack De Johnette. Jarrett e i suoi compagni arriveranno in Italia a luglio, per tre concerti: a Ravenna il 13, al Palazzo Mauro de Andre, il 16 a Bergamo, il 18 all'Auditorium Parco della Musica di Roma. Ogni volta che torna in Italia il trio, uno dei fondamentali in materia di jazz da più di venticinque anni a questa parte, l'evento è assicurato.

Siamo ai massimi livelli della musica d'oggi. Dischi come “The Köln Concert” hanno stabilito un contatto con il grande pubblico che pochi altri album hanno saputo costruire. Per il jazz e l'improvvisazione, quel disco ha avuto pari impatto dell'Album Bianco dei Beatles sul pop. Jarrett pur essendo un jazzista eterodosso nell'approccio musicale alla materia tradizionale, e sostanzialmente un musicista a tutto tondo per indole e cultura musicale, non ha mai negato la centralità del jazz nella sua formazione e anche nel suo personale gusto musicale.

Jarrett è anche un musicista alla moda, ma solo perché in perfetta sintonia con quella che forse è la più importante tendenza del secolo scorso e dei cosiddetti “anni zero”. All'interno delle improvvisazioni pianistiche che l'hanno reso celebre nel mondo intero, nell'anima di quell'eloquio solitario che sembra nato da un rito sciamanico, è difficile decodificare le influenze, ma soprattutto è inutile. Le improvvisazioni di Jarrett non sono altro che il simbolo di un nomadismo intellettuale, un segno dei tempi che è meno brutale di quello lasciato da Miles Davis, ma ugualmente vitale e pregnante.

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