Portata in Tunisia all’insaputa della madre
Il papà condannato a quattro anni

Ritenuto colpevole di sottrazione di minore, ma assolto per improcedibilità dal sequestro di persona aggravato (perché commesso nei confronti di un discendente, la figlia).

Condannando a 4 anni il tunisino Yassine Bahri, latitante, il tribunale di Bergamo (presidente Antonella Bertoja, a latere Alessandra Chiavegatti e Massimiliano Magliacani) ha accolto in parte la tesi del difensore Paolo Botteon. Il quale ha sempre sostenuto che il sequestro della piccola – Latifa, 4 anni –, se c’è stato, è avvenuto in Tunisia e che quindi l’eventuale processo per questo reato spetterebbe alla giustizia del Paese nordafricano.

Secondo i giudici, però, sussiste ed è «italiana» la sottrazione di minore, che si sarebbe consumata il 18 aprile 2015, quando, dopo la separazione consensuale dalla moglie Laura Rota di Stezzano, Bahri si era imbarcato su un traghetto a Genova con Latifa. Destinazione: Tunisia, dalla famiglia di origine del nordafricano. La donna, che in Italia aveva in affido la figlia (la bimba poteva stare col padre due volte la settimana), in tutto questo tempo è volata parecchie volte in Tunisia. Ha ripetutamente tentato di riabbracciare la figlia, ma inutilmente: l’ultima volta che l’ha vista è stata il 15 luglio 2015, dopo un’udienza in cui anche il tribunale di Tunisi aveva riconosciuto l’affido alla madre. Il tribunale, condannando l’uomo a 4 anni, ha pure disposto la sospensione della potestà genitoriale per 8 anni.

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