La donna coraggio con due compleanni
«Sono la nascita e il secondo trapianto»

Due trapianti di rene e poi la sedia a rotelle, ma uno spirito che non si lascia mai abbattere

L’amore può essere un filo che ripara le ferite della vita, come nei versi della poetessa Marina Cvetaeva «l’amore è sutura. Sutura, non benda, sutura - non scudo». Così è per Sabrina Ripamonti, 43 anni, di Paladina: a salvarla è da sempre l’amore della sua famiglia, che le si è stretta intorno sostenendola in un percorso tormentato e l’ha protetta mantenendo accesa la speranza. Fin da bambina convive con una grave malattia renale, ha affrontato due trapianti, ha serie difficoltà di deambulazione che le rendono necessaria la sedia a rotelle. Nonostante questo non si arrende, e mostra coraggio con ogni nuova azione intrapresa che, come scrive Theodore Roosevelt, «coraggio non vuol dire avere la forza di andare avanti, ma andare avanti anche quando non si ha nessuna forza». «Nonostante tutto io amo la vita - dice -, ho tanti interessi e passioni e mi tengo impegnata. Cerco di superare le difficoltà con tutte le mie forze».

I primi segni della malattia

I primi segni della malattia si sono manifestati quando aveva solo sei anni: «Avevo sintomi vaghi e non specifici. Mi stancavo facilmente, non camminavo volentieri, durante le passeggiate in montagna arrivava sempre un momento in cui chiedevo di essere presa in braccio. I miei genitori si erano preoccupati e avevano cercato di trovare le cause portandomi da diversi specialisti, ma nessuno riusciva a capire con precisione che cosa avessi. Poi, proprio alla vigilia di Natale, sono stata ricoverata in ospedale per una broncopolmonite, e in quell’occasione i medici si sono accorti che avevo un’insufficienza renale molto grave. C’era una fistola e mi hanno sottoposto a un intervento d’urgenza. Subito dopo ho dovuto iniziare la dialisi. Avevo smesso di mangiare, perciò mi hanno tenuto in ospedale per tre mesi, mi alimentavano con le flebo. Mi ricordo che il responsabile del reparto ce l’ha messa tutta per convincermi a mangiare. Ero una bambina, perciò mi aveva perfino detto che le mie bambole a casa avrebbero pianto. Finalmente quel brutto momento è passato, ho incominciato a riprendermi e mi hanno dimesso».

Era ancora piccola e la sua vita è cambiata completamente. Per tre anni, dall’83 all’86 ha dovuto continuare la dialisi: «Nelle prime tre classi della scuola elementare ho collezionato moltissime assenze, ma la mia maestra, conoscendo la situazione, mi ha sempre promosso, perché non voleva che dovessi essere penalizzata eccessivamente dalle mie condizioni di salute». Era papà Alberto ad accompagnarla tutti i giorni a Milano, dove era in cura, per la dialisi, con qualsiasi condizione atmosferica, comprese le grandi nevicate dell’85. «Sono stata chiamata due volte per il trapianto in quel periodo - prosegue Sabrina -, ma in entrambe le occasioni, purtroppo, avevo la febbre, quindi ho dovuto rinunciare. La volta buona è stata la terza, nel 1986, il 24 marzo, quando hanno dovuto portarmi a Parigi. La sera in cui ci hanno chiamato era il compleanno di mio nonno ed eravamo andati fuori a cena. Non avevamo il telefono prima che mi ammalassi, i miei genitori l’avevano installato apposta perché potessero chiamarci. Quella sera è arrivata la telefonata che aspettavamo ed eravamo increduli ed emozionati. Sono venuti a prendermi con l’elicottero. Sono rimasta in sala operatoria per sei ore, dalle tre del pomeriggio fino alle nove di sera, e mi sono risvegliata piena di tubicini. Ero in una camera sterile e vedevo mia madre da dietro un vetro».

Mamma Mercedes aveva trovato un alloggio in una casa di suore poco lontano dall’ospedale: «Siamo rimaste a Parigi per due mesi - spiega -. Fortunatamente potevo andare a piedi dalla pensione all’ospedale, perché non sapevo orientarmi e non conoscevo la lingua. Mio marito veniva a trovarci nel weekend». Dopo il trapianto Sabrina ha trascorso dieci anni abbastanza tranquilli: «Ho continuato a frequentare la scuola ma comunque mi stancavo più facilmente dei miei coetanei e dovevo fare i conti con gli effetti collaterali dei farmaci. Ho iniziato le scuole superiori ma ogni mattina per arrivare a Bergamo dovevo prendere tre autobus, alla fine non ce l’ho più fatta e ho lasciato perdere». Intanto anche sua sorella Claudia ha scoperto di avere una malattia analoga alla sua e poi è stata sottoposta a trapianto. A diciotto anni Sabrina a causa dell’interazione con un altro farmaco ha avuto un episodio di rigetto che l’ha costretta a riprendere la dialisi: «È stato un brutto colpo. Avevo voglia di uscire, di stare con i miei coetanei. Fortunatamente potevo proseguire le terapie all’ospedale di Bergamo, senza più bisogno di spostarmi a Milano, e avevo l’apparecchiatura per la dialisi a casa, dovevo tenerla attiva per tutta la notte. A mantenermi in vita era la speranza di un nuovo trapianto. Poi, la sera del compleanno di mio padre, eravamo ancora a tavola di fronte a un bel piatto di casoncelli quando è squillato il telefono».

La chiamata tanto attesa

Nel pomeriggio Sabrina aveva già ricevuto una chiamata di preavviso da un’infermiera, ma aveva preferito non dire niente a nessuno per non creare false aspettative. «Stavo ricamando a punto croce, uno dei miei passatempi preferiti. Ogni tanto le infermiere organizzavano attività rivolte ai pazienti e mi invitavano sempre, pensavo mi telefonassero per questo, invece mi avevano preannunciato la possibilità che ci fosse un rene compatibile, anche se non erano ancora sicuri. Mi aveva avvertito di tenermi pronta. Ero contentissima e in grande agitazione, ma non avevo detto nulla a nessuno. Poi la telefonata per la convocazione è arrivata proprio mentre eravamo a cena tutti insieme, ed è stato il regalo più bello che potessimo ricevere». Dopo il secondo trapianto le condizioni di Sabrina sono migliorate molto, anche se ha continuato a soffrire per gli effetti collaterali dei farmaci e ha dovuto subire altri interventi: «A trentatré anni ho subito l’asportazione dell’utero, perché era soggetto alla continua formazione di fibromi. Nel 2015 mi è venuta una grave infezione, purtroppo degenerata in setticemia. Continuavo ad avere coliche renali, i medici pensavano che fossero dovute a calcoli, invece avevo un ematoma sul mio rene nativo. L’intervento per asportarlo era stato programmato e poi rimandato in prossimità delle festività natalizie, ma la mia situazione si è aggravata e una sera mio fratello Paolo mi ha accompagnato di corsa al pronto soccorso. Purtroppo l’infezione era degenerata in setticemia e le mie condizioni erano gravi, ho rischiato la vita. Un mese dopo mi hanno operato. Mio fratello è sempre rimasto con me, veniva a trovarmi ogni sera. Qualche tempo dopo si è ammalato di tumore, ha dovuto curarsi, poi fortunatamente è guarito, ma in tutto questo tempo ha continuato a restarmi accanto con premura e sollecitudine».

Il peggioramento

Sabrina dopo l’ultimo intervento ha dovuto fare i conti con un brusco peggioramento: non è più riuscita a muovere una gamba a causa di una lesione del nervo femorale. Se già da piccola le era accaduto di avere problemi di deambulazione e di dover portare due tutori, a quel punto, però, non riusciva più neppure a camminare: «È diventato più complicato uscire e avere una vita sociale. Avevo molti amici ma da quando non sono più indipendente nei movimenti, si sono dileguati. Fortunatamente ho avuto sempre accanto mio fratello Paolo, che ha quattro anni meno di me ed è da sempre il mio angelo custode: ci ha pensato lui a portarmi fuori, a risollevarmi il morale portandomi nei locali che mi piacevano di più, dove c’è musica e karaoke».

Il ricordo del padre

La situazione è diventata ancora più triste dopo la morte del padre, nel 2018: «Eravamo molto legati - spiega Sabrina -, finché ha potuto si è occupato di me accompagnandomi per le visite, gli interventi, le terapie, consigliandomi e rincuorandomi quando mi vedeva in difficoltà. Anche adesso quando mi sento sola penso a lui. Ogni sera mia madre, Paolo e io recitiamo il rosario, lo ricordo nelle preghiere e mi sembra ancora di averlo accanto e di potergli parlare, anche se in modo diverso». Da allora ha cercato sempre nuovi modi per non essere di peso ai suoi familiari: «Sono riuscita a trovare alcuni piccoli lavori che posso svolgere da casa, come la vendita di prodotti a domicilio. Non sono molto redditizi, ma cerco almeno di coprire una piccola parte delle mie spese personali. Mi piacerebbe molto potermi guadagnare da vivere, non ho scelto io questa condizione così difficile. A volte mi pesano i giudizi delle persone e la solitudine».

Gli aiuti di Arlechì e Cavalieri

Negli ultimi anni, però, ha incontrato anche nuovi amici, come i volontari dell’associazione «Chi de l’Arlechì»: «Li ho conosciuti per caso, su Facebook, ed è stato un incontro provvidenziale. Ogni tanto vengono a trovarmi, mi accompagnano fuori per una passeggiata. Mi hanno donato una nuova sedia a rotelle, più ampia e leggera, dato che quella vecchia non andava più bene». Ha ottenuto un sostegno prezioso anche dai Cavalieri dell’Ordine di Malta: «Mi hanno accompagnato nei pellegrinaggi a Lourdes e a Loreto e mi hanno offerto un aiuto concreto anche nella vita quotidiana». Ogni anno Sabrina festeggia due compleanni: «Il primo a febbraio, quando sono nata, l’altro ad agosto, nella data del secondo trapianto». E nonostante le difficoltà continua a coltivare le sue passioni, perché, come scrive Winston Churchill, «è il coraggio di continuare che conta». «Amo molto ricamare, realizzare oggetti, e magari donarli alle persone a cui voglio bene - conclude Sabrina -. Mi piace leggere, soprattutto romanzi, racconti di storie vere, e ogni tanto scrivo poesie. Se non ho più le ali, non ho più la libertà di andare dove voglio, mi restano l’amore della mia famiglia, la capacità di realizzare qualcosa per gli altri e la possibilità di raccogliere un po’ di luce da ogni nuovo amico che incontro».

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