«Inventate filastrocche per i vostri nipoti»
La bella lettera dei nonni Rossella e Gio

Due nonni bergamaschi ci hanno inviato una bella lettera invitando tutti i nonni a raccontare fiabe e filastrocche ai propri nipoti: «Non importa di che tipo, basta che sentano la vostra voce».

Pubblichiamo la lettera che due nonni, Rossella e Gio, ci hanno mandato invitando tutti i nonni ad inventare filastrocche per i propri nipoti, perchè continuino a sentire la loro voce.

«Stiamo in casa. Siamo nonni, quindi non ci muoviamo proprio. Siamo quelli “più fragili” e poco importa se non ce n’eravamo mai accorti, prima. Perché c’erano quelli più nonni e più fragili di noi. Ma ora…

E così stiamo in casa. Da tanto tempo. Non ci pesa così tanto, in fondo. Si esce solo per portare fuori Dana, vicino a casa, e ormai conosciamo gli uni gli orari degli altri, e non ci si incontra mai. Gli spettacoli della stagione di prosa sono comunque stati annullati, per il resto benedetta la tecnologia! Cinema e concerti alla TV, i libri non ci mancano proprio, per la spesa ci siamo attrezzati con i negozi del paese che ce la portano a casa, così come per i medicinali. Perfino le liturgie: ora ci si veste “in ordine” poi si dice: “andiamo a Messa”, e pazienza se anche la messa arriva dal pc, l’importante è che arrivi. Ci adeguiamo.

Però.

Però le telefonate e gli incontri sul telefono, tutti insieme, figli e sposa e nipotini – che sono una gioia – sono anche fonte di malinconia. Perché mentre respiriamo con gli occhi e col cuore ogni singolo movimento, ogni gesto, ogni parola, ogni sguardo dei nostri nipotini, va tutto bene. Ma quando poi la comunicazione si chiude, il “magone” monta cattivo, e le lacrime lo seguono.

Ci mancano. Da morire, verrebbe da dire, se di questi tempi non fosse il caso. Ma ci mancano. Troppo. Ci scopriamo a scrutare il volto di Cosina e Simone e Stefi per vedere se stanno bene, se sono sereni. Ci scopriamo a guardare i bambini come se fossero l’aria che respiriamo. Perché vederli va bene (e, dopo, dirsi come sono belli, come sono cresciuti, come stanno bene con i capelli più lunghi, che espressioni furbette, come sono belli…) ed è una fortuna poterlo fare. Ma ci manca poterli abbracciare e sbaciucchiare (dai, nonna, basta baci!), tenerli sulle ginocchia mentre inventiamo storie insieme, e non importa se sono strampalate, basta che piacciano a loro. Ci manca sentire il loro profumo di bambini, la loro pelle delicata, scoprire con la solita sorpresa che: oh guarda … chissà se qui fa un po’ di solletico e ridere del loro dimenarsi divertito.

Ci mancano i giri attorno al letto con Alice in braccio, cantando ninne nanne a go go per cercare di farla addormentare, sentendo piano piano la manina che lascia la presa sui capelli e il peso farsi più rilassato, più morbido… Ci mancano le sfide con Edoardo su chi sa fare la torre più alta, su chi è più bravo a nascondersi, su chi riconosce per primo marca e modello delle macchinine, e il solito commento finale: ma dai, nonna, non impari proprio!

E allora cuci vestitini e ricami quadretti e inventi maglioncini, che gli daremo quando sarà il momento. E allora ordini giocattoli che “il postino”, mai tanto amato, porterà loro, insieme all’amore dei nonni.

E poi temi che possano dimenticarsi la routine, così preziosa, per loro e per noi, della casa dei nonni. Giocare a nascondino, cercando sempre più disperati un nipotino che non si trova, e poco importa se la tenda è trasparente e da sotto spuntano i piedini. Fare travasi con tutto quello che c’è nella dispensa, con il risultato che per giorni, poi, la farina continuerà ad uscire dal pavimento, come se avesse la proprietà di riprodursi. Preparare la tisana alla ciliegia, sempre quella, all’ora di Paw Patrol…

Ecco, così sono nate le filastrocche della nonna. Dalla voglia di ricordare a Edoardo e Alice cosa succedeva dai nonni, cosa succederà dai nonni, quando il virus monello se ne sarà andato via per sempre. Così ogni giorno, alle quattro, l’ora della merenda, la nonna manda una foto o l’immagine di un disegno e poi registra la filastrocca. Che, ci dicono, viene ascoltata più volte, e ogni volta rinfresca i ricordi e riallaccia legami. Se poi succede che, guardando la parte avanzata del porro tagliato per la frittata, ci si accorge che sembra un ragazzino coi capelli spettinati, e ne nasce la filastrocca del porro spettinato, va bene lo stesso. E va bene lo stesso se un giorno Edoardo sembrava un po’ triste, e allora la nonna ha inventato la filastrocca della cacca. Che ha avuto un successo strepitoso, ovviamente. Prima in classifica.

Nonni, inventate filastrocche. Non importa se non hanno né metrica né rima. Basta che parlino di cose conosciute e condivise. Basta che siano raccontate dalla voce dei nonni. Perché loro, i nostri adorati piccolini, hanno bisogno di sentire che i loro nonni sono lì, che parlano con loro, anche adesso, soprattutto adesso.

E so già quale sarà, l’ultima filastrocca, che chiuderà la serie dei messaggi e anche il quaderno dove la nonna le scrive tutte, e fa i disegni, perché restino a memoria di un tempo strano, di un tempo sospeso… L’ultima sarà la filastrocca del virus monello. E la scriveremo insieme, su quel quaderno. Subito prima della parola FINE».

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