Alla Dakar con la Panda
«È un’impresa da pazzi»

C’era una volta, per i reduci dalla Parigi-Dakar, il Mal d’Africa. Dal 2009 la Dakar si è trasferita in Sudamerica, ma la sensazione di astinenza mista a desiderio provata dai partecipanti al ritorno non è svanita.

C’era una volta, per i reduci dalla Parigi-Dakar, il Mal d’Africa. Dal 2009 la Dakar si è trasferita in Sudamerica, ma la sensazione di astinenza mista a desiderio provata dai partecipanti al ritorno non è svanita.

Ne sa qualcosa Giulio Verzeletti, 56enne di Telgate, che si prepara ad affrontare la sua 13ª Dakar: «La Dakar è già una gara estrema, ma noi siamo ancora più imbecilli, perché abbiamo deciso di farla con una Panda».

Battezzata fin alla nascita PanDakar, la vettura torinese avrà Verzeletti come pilota e il cremasco Antonio Cabini come navigatore. Le PanDakar erano state costruite da Fiat per la Dakar 2007, ma i numerosi difetti impedirono loro di superare la quarta tappa. Cedute dalla casa torinese a Verzeletti e agli amici bergamaschi con cui ha dato vita all’Orobica Raid, hanno gareggiato alla Dakar 2011.

Ma la partecipazione si concluse con un altro ritiro: «Anche se il telaio realizzato da Abarth era buono, il motore era troppo piccolo: 1.3 litri di cilindrata per 100 cavalli, pochi per muovere una macchina di 17 quintali. Infatti, non riuscivamo a salire sulle dune».

Rimpiazzato nei mesi seguenti il propulsore con un più potente 1.9 litri, Verzelletti e soci sono tornati alla carica nel 2012: «Stavamo andando abbastanza bene ma abbiamo bruciato le frizioni sulle dune e siamo arrivati al bivacco, prima del giorno di riposo, con 17 minuti di ritardo sul tempo massimo. Inflessibili, ci hanno squalificato».

Rimasto a casa nel 2013 per perfezionare l’auto, Verzeletti ci riprova con l’edizione in programma dal 5 al 18 gennaio in Argentina, Bolivia e Cile: «Grazie all’aiuto di Fiat, pur mantenendo la stessa cilindrata ora il motore ha 16 valvole invece di 8. Ne abbiamo estratto 180 cv mentre la coppia è di 37 kg a 1.300 giri. Altre novità riguardano l’ingrandimento della frizione, l’irrobustimento della meccanica con nuove sospensioni e un nuovo differenziale posteriore. Per la prima volta montiamo gomme 215-80 grazie alle quali l’altezza dell’auto è passata da 19 a 24 cm». Ad assistere la PanDakar per tutti i 9.374 km di gara (5.522 dei quali di prove speciali) ci saranno un Daily 4x4 preparato da Iveco e Sperotto, un Iveco Trakker 6x6 con caratteristiche di officina mobile e 2 Mercedes Unimog.

«Gareggiare alla Dakar con una Panda - prosegue Verzeletti - è un’impresa ai limiti del possibile. Specie considerando che il nostro telaio è lo stesso, anche in dimensioni, di una Panda Cross 4x4, mentre le altre auto sono quindi veri e propri prototipi». Dopo numerosi test in officina, la PanDakar è stata provata in diverse piste e cave della Lombardia. Finché, a fine settembre, l’Orobica Raid si è trasferito in Tunisia per la settimana di test conclusivi nel deserto: i test si possono vedere, così come tutte le altre informazioni sul team, sul sito pandakar.it.

Verzeletti e Cabini si sono invece preparati con l’enduro, memori dei tempi in cui gareggiavano alla Dakar in moto: «Dicono che l’edizione di quest’anno sarà la più dura di tutte quelle americane. Ma ad essere sinceri, per noi la Dakar più dura è quella in moto. In auto, invece, le emozioni e i dubbi si condividono con il compagno. Anche se poi la temperatura all’interno dell’abitacolo sfiora i 60 gradi. In ogni caso, quest’anno vogliamo tagliare il traguardo di Valparaiso (Cile)».

Imbarcata l’auto e i mezzi di assistenza a Le Havre a fine novembre, i membri del team prenderanno il volo per l’Argentina il 31 dicembre: «Faremo capodanno sull’aereo. Ma d’altra parte, dopo 7 Dakar in moto, 4 in camion e una in auto, sarei in imbarazzo a festeggiarlo con qualcuno, non essendoci abituato. Anche mia moglie ci ha fatto il callo, ormai».

Peccato solo per la mancanza di sponsor, con l’eccezione del partner tecnico Sparco: «Andiamo avanti perché siamo un gruppo di amici, spinti da una grande passione. E anche se in gara siamo lì a imprecare e maledire la sabbia e gli imprevisti, pochi giorni dopo la conclusione pensiamo al progetto per la Dakar successiva».

Giovanni Cortinovis

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