Bossetti e il caso del furgone
tra finte «bufale» e foto vere

«Filmino tarocco», «finta prova per incastrare Bossetti...», «video-bufala»... Nell’ultima settimana se ne sono sentite (e lette) di tutti i colori sul filmato dei carabinieri in cui vengono riassunti i passaggi del (presunto) furgone di Massimo Bossetti attorno al centro sportivo di Brembate Sopra. Così tentiamo di spiegarvi la faccenda per come l’abbiamo capita noi de L’Eco, che la verità in tasca non l’abbiamo, ma seguiamo il caso da un ormai lontano sabato mattina di cinque anni fa (era il 27 novembre 2010, il giorno dopo la scomparsa di Yara).

Partiamo dal metodo. Un video montato e diffuso «per esigenze di comunicazione», ha confermato in aula il comandante dei Ris di Parma, Giampietro Lago, incalzato dall’avvocato Claudio Salvagni. Letta così fa impressione: dunque, abbiamo capito bene? Si costruiscono a tavolino le prove per incastrare il muratore e poi le si spacciano alle tv? E poi, per proprietà transitiva: se è «falsa» quella del furgone, chi ci dice che sia autentica la prova del Dna? Certo, forse l’ufficiale dell’Arma avrebbe potuto spendere qualche parola in più sul punto, in aula, fiutando l’insidia in cui lo stavano abilmente conducendo gli avvocati dell’imputato. Ma permetteteci un’osservazione preliminare: quella di Lago non è stata una sorprendente ammissione, dato che tutti gli operatori dell’informazione (compresi quelli che poi si sono scandalizzati), sapevano benissimo che quel video era una sintesi ad uso-stampa. Se non altro perché l’avevano ricevuto anche loro, per posta elettronica, qualche mese fa.

Ma il punto è un altro: il video non è tarocco. I fotogrammi non sono falsi e agli atti ci sono eccome. Li abbiamo visti. Certo – obietterete – manca un passaggio decisivo: il furgone ripreso è, o non è, quello di Bossetti? Premessa: la targa non si vede. Ma non si vedeva neppure prima delle polemiche di venerdì scorso. I Ris parlano di «identificazione probabile» in relazione a due fotogrammi, particolarmente nitidi, tratti da una delle due telecamere della ditta Polynt, sul retro della palestra (mentre Yara è ancora dentro) alle 18,35. L’Iveco Daily passa una prima volta e, 20 secondi dopo, ripassa in direzione opposta. Per queste riprese – come ha spiegato il colonnello Lago – è stato possibile sovrapporre la rielaborazione computerizzata del furgone di Bossetti e i due mezzi sono risultati identici.

«E le altre immagini, non le avete confrontate?», ha chiesto Salvagni. «Non avrebbe avuto senso», ha risposto Lago, perché i fotogrammi erano di qualità peggiore. «Quindi ci avete detto che Bossetti passava ripetutamente attorno alla palestra e invece passa solo due volte!», si è gridato allo scandalo. Questa, sì, ci pare una strumentalizzazione, perché ci si è quantomeno dimenticati di ricordare al pubblico che l’indagine sul punto è stata più articolata ed è (già) entrata nel processo con la testimonianza del colonnello Michele Lorusso, all’epoca comandante dei Ros di Brescia. La presunta identificazione del furgone di Bossetti con riferimento alle altre telecamere attorno alla palestra – distributore Shell e banca di via Rampinelli – è avvenuta infatti per esclusione, partendo da un elenco di 20 mila «Iveco Daily» immatricolati, per poi stilare una lista di 4.500 con caratteristiche simili a quello del muratore di Mapello. I mezzi sono stati fotografati e confrontati, per filtrare ulteriormente. Ah, per inciso: questi dati ci sono, nella seconda parte del video incriminato. Però non li ha ricordati nessuno. Comunque, alla fine di furgoni in lizza ne sono rimasti cinque, molto simili a quello del muratore di Mapello.

I proprietari sono stati interrogati: non erano a Brembate la sera del 26 novembre. Basta per dire che quello nelle immagini è proprio l’autocarro di Bossetti? Gli inquirenti ne sono convinti, la difesa no, una Corte d’Assise valuterà il peso dell’indizio. Che tale era e tale rimane, di contorno a quello (di ben altro rilievo) del Dna. Questi, piaccia o non piaccia, sono gli elementi di cui a processo si sta discutendo. Nell’attesa (ma fuori dall’aula) fa più notizia parlare di bufala.

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