Politici, Giustizia
non sempre giusta

E’ umanamente possibile tenere una persona (qualsiasi persona) in balìa dei processi per 30 anni, la metà di una vita adulta? Sì, in Italia è possibile. È accaduto a Calogero Mannino, assolto in via definitiva qualche giorno fa dall’ennesima accusa di vicinanza alla mafia. Nel 1991 l’ex ministro democristiano venne arrestato su richiesta della Procura di Palermo allora retta da Gian Carlo Caselli, con l’accusa di concorso esterno in associazione mafiosa. Trascorse nove mesi in carcere e tredici agli arresti domiciliari, prima di essere assolto in via definitiva da tutte le accuse nel 2010. Subito dopo finì però nel vortice dell’inchiesta sulla cosiddetta trattativa Stato-mafia, dalla quale è ora uscito di nuovo con un’assoluzione definitiva in Cassazione. Su Mannino molto è stato scritto e detto. In una trasmissione televisiva un commentatore sostenne che l’ex ministro ha la faccia da mafioso, indizio di colpevolezza. La giustizia lombrosiana: siamo alla barbarie.

L’ex procuratore Caselli con un articolo sul «Fatto Quotidiano» è intervenuto sulla vecchia vicenda del concorso esterno sostenendo che l’assoluzione definitiva di Mannino fu in realtà il frutto di un improvviso mutamento giurisprudenziale della Cassazione. Anche se fosse, la responsabilità non può cadere sull’assolto. In verità la Suprema Corte non ha fatto altro che svolgere il compito attribuitole dal nostro ordinamento: assicurare la corretta osservanza della legge e la sua interpretazione uniforme.

Ieri è stata invece assolta in Appello il sindaco di Roma Virginia Raggi, nell’ambito di un’inchiesta sulle nomine in Campidoglio. L’assoluzione fu l’esito anche del primo grado. Nel secondo la Procura generale aveva chiesto una condanna a dieci mesi, respinta dalla Corte. La prima cittadina della Capitale dopo la sentenza si è levata qualche sassolino dalla scarpa. E che sassolino: «Questa - ha detto - è una mia vittoria e del mio staff, delle persone che mi sono state a fianco in questi quattro lunghi anni di solitudine politica ma non umana. Credo che debbano riflettere in tanti, anche e soprattutto all’interno del Movimento 5 Stelle. Ora è troppo facile voler provare a salire sul carro del vincitore». Quando Raggi finì nell’inchiesta, tra gli avversari ci fu chi accusò i grillini di aver perso la verginità giudiziaria, dopo essere scesi in politica al grido «onestà». Nel movimento ci fu chi scaricò la Raggi ma anche chi scoprì all’improvviso il garantismo («attendiamo l’esito dei processi»), dopo anni di piazze riempite di slogan improntati a un populismo penale inquietante e a giudizi gravi e generalizzanti («politici ladri»). Ci sono stati casi di parlamentari, leader politici e amministratori locali condannati per reati legati all’esercizio della loro funzione. Ma non mancano gli assolti, anche dopo processi infiniti e accuse improbabili: da Antonio Bassolino (Pd), assolto per 19 volte in 17 anni perché «il fatto non sussiste» a Filippo Penati (Pd), dall’ex governatore del Piemonte Roberto Cota (Lega) all’ex presidente della Regione Lazio Francesco Storace (centrodestra), da Leopoldo Di Girolamo, ex sindaco Pd di Terni, all’ex sindaco di Parma Pietro Vignali (Forza Italia) a Clemente Mastella (centrodestra) e alla moglie Sandra Lonardo (senatrice del Gruppo misto), sottoposta a forti misure restrittive, da Renato Schifani (Forza Italia), ex presidente del Senato, al presidente della Regione Campania Stefano Graziano (Pd), anche lui accusato, nell’aprile 2016, come Mannino di concorso esterno in associazione di tipo mafioso, archiviato 5 mesi dopo. Fu accerchiato dai 5 Stelle e dal circo mediatico-giudiziario. «Quello di Graziano - scrisse l’attuale ministro degli Esteri Luigi Di Maio, senza dubbi o prudenze - è l’ennesimo scandalo che ormai ogni settimana coinvolge il Pd. Non gli stiamo più dietro. Non ha senso stracciarci le vesti ancora una volta. Non è il primo e non sarà l’ultimo scandalo che li coinvolgerà». Come gira il vento... Fermiamoci qui: la lista degli assolti è davvero lunga. E poi ci sono i politici mai indagati ma costretti a dimettersi per ragioni di opportunità, perché si è parlato di loro nelle inchieste, come i ministri Maurizio Lupi e Federica Guidi.

A inizio mese è stata invece assolta Nunzia De Girolamo: nel 2013 era ministro delle Politiche agricole nel governo Letta (per l’Ncd, poi passata a Forza Italia, ora ha abbandonata la politica) e si dimise dopo essere stata indagata con l’accusa di aver pilotato appalti e consulenze esterne dell’Asl di Benevento. Specificando di parlare nei panni di marito (e non da esponente del Pd o da ministro del governo Conte in carica), Francesco Boccia ha detto che bisogna intervenire sui ritardi e le inefficienze dei processi. Rivestendo gli abiti da ministro, potrebbe spingere il governo a fare le riforme che curino la giustizia penale: dal rafforzamento degli organici alla depenalizzazione dei reati minori che ingorgano le Procure al potenziamento dei filtri di garanzia per evitare che vengano allestiti processi che non stanno in piedi. Per i politici e per i cittadini.

© RIPRODUZIONE RISERVATA