Natale cancellato
e preside da bocciare

All’istituto comprensivo Garofani di Rozzano, alle porte di Milano, un concerto di Natale in cui si sarebbe cantato «Tu scendi dalle stelle» – uno dei più bei canti della tradizione natalizia italiana, che generazioni di scolari hanno imparato a memoria (le parole, scritte nel 1754, sono di Sant’Alfonso de’ Liguori) – è stato cancellato in nome della laicità scolastica. Non si voleva urtare la sensibilità delle famiglie di religione non cattolica, come i musulmani. La cosa ha provocato polemiche a non finire e le ire del Centrodestra, dalla Lega (Salvini ha detto che così si fa un favore all’Isis) a Fratelli d’Italia.

Ma anche dal Centrosinistra sono piovute critiche infuocate. Sono partite interpellanze alla Sovrintendenza scolastica e interrogazioni al prefetto. Naturalmente in questi casi si cerca di tirare dalla giacchetta il Natale per la propria causa politica, com’è avvenuto spesso per il presepio e il crocifisso rimossi dalle scuole. Certo ci piacerebbe che molti politici si spendessero per i diritti delle persone con la stessa passione con cui hanno difeso le statuine del presepio.

Ma tutto questo non toglie nulla ai termini della questione: dove sarebbe questa pretesa laicità scolastica quando si cancellano i riti, i canti e le tradizioni religiose italiane? A parte il fatto che la laicità è un incontro di culture, una possibilità di arricchimento per chi viene da fuori, e non un gioco di rimozioni a somma zero, per quale motivo si urta la sensibilità di chi ha una religione diversa dalla nostra, quella che l’Italia cattolica possiede da duemila anni, se viene in contatto con il nostro patrimonio culturale e religioso? La religiosità è sancita anche dalla nostra Costituzione, che è quanto di più laico, nel senso più alto della parola, possa esserci. Alla fine dei lavori della Costituente, il laico Benedetto Croce invocò l’inno liturgico «Veni Creator» a protezione della nostra Carta e nessuno, nemmeno dai banchi dei comunisti, se ne scandalizzò.

Facendo seguito alla logica del capo d’istituto di Rozzano, dovremmo togliere dal Paese tutto ciò che urta la sensibilità degli stranieri di religione diversa che vivono sul suolo italico, dai campanili delle chiese alle facciate delle cattedrali, dalle edicole votive agli angoli delle strade ai capolavori di argomento religioso, da Giotto alle cappelle del Sacro Monte dipinte da Guttuso.

Ma a ben vedere dovremmo coerentemente sospendere le manifestazioni religiose, le processioni, la Messa in televisione, le funzioni all’aperto, gli antichi templi dei siti archeologici, le rappresentazioni teatrali, il cinema, moltissimi libri, insomma tutto ciò che noi siamo, che rappresenta da dove veniamo, perché la religione fa parte dello spirito e lo spirito fa parte della dimensione umana. Ma credo che la lista sarebbe molto lunga: sarebbe a rischio persino il panettone delle «Tre Marie» esposto nei supermercati.

Dovremmo, in parole povere, rinunciare alla nostra libertà. Senza contare – come ben si è visto con la rivoluzione francese - che molto spesso la laicità è di per sé un valore che si contrappone alla religiosità e dunque quando si fa qualcosa in nome della laicità semplicemente si sostituisce un valore con un altro valore.

La storia è piena di operazioni del genere. Ecco perché il preside di Rozzano farebbe bene a ripristinarla quella festa di Natale, per farla conoscere, apprezzare e gustare anche alle famiglie musulmane, laiche, induiste, o scintoiste che siano, facendola scendere dalle stelle e non lasciandola sospesa nel cielo amorfo di questa pretesa laicità amministrativa e burocratica.

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